11 Giugno 1893.
Le difficoltà che questo libretto presentava ad essere musicato non erano poche, né lievi.
Tali difficoltà saranno state assai più serie per un esordiente; di ciò va tenuto calcolo, per valutare con onesto criterio tanto i meriti che i difetti dello spartito.
Il pubblico, che era venuto alla prima rappresentazione senza preconcetti, fu subito favorevolmente disposto dal preludio, nel quale non mancano idee melodiche interessanti, né varietà d’effetti strumentali, sviluppati con abile condotta.
Il pezzo fu replicato, e il maestro ebbe tre chiamate.
Due piccoli, cori, specie di stornelli nella prima scena, hanno poco di notevole.
Segue un’aria di Jana (soprano), che frutta un’altra chiamata al maestro; ma io non sono troppo dell’avviso del pubblico; il disegno ritmico del pezzo mi sembra comune, e lo strumentale dove domina il corno e l’arpa, mi è parso vuoto e scolorito.
All’arrivo degli sposi c’è un coro, abbastanza buono come concezione, ma trattato all’antica, con risposte troppo ripetute fra le sezioni, specialmente sulla parola «felicità» un taglio non sarà inopportuno.
Le strofe cantate da Cola (baritono) hanno una certa vivacità, se bene poco distinta; la risposta del coro è volgaruccia assai.
L’autore ha una rivincita nel duetto fra Jana e Nino (tenore), ed è chiamato nuovamente alla ribalta.
La Ruggiera, chiede il coro; ed i suonatori preludiano il ballo paesano. Ma prima della danza Paolo vuol benedire gli sposi; poi questi cantano una specie di stornello, cui l’arpa sola fa da modesta accompagnatrice. L’atto finisce con la ripresa del coro nuziale, seguito da una delle soliti fragorose perorazioni.
Un grazioso intermezzo, che poteva essere applaudito di più, apre il secondo atto.
In questo è notevole un’aria del basso, melodica e di buona fattura: anzi non posso a meno di ammirare il maestro Frontini, che ha trovato una melodia spontanea su versi di questa risma:
Muta, tetra qui s’aggira,
Piange, o brontola da sé...
Suda freddo, smorta al pari
D’un cadavere si fa;
E, convulsa, con le nari
Sanguinanti, in urli dà.
È male d’amore, ripete il dottore. Sarà: io avrei sospettato un caso d’idrofobia .. La preghiera di Jana:
Signora del cielo, perdono ! è la pagina più appassionatamente aspirata dello spartito; applaudita con calore viene essa pure bissata.
Anche il duetto fra Jana e Cola non manca di brani appassionati e di contrasti efficaci: felice specialmente la frase amorosa.
Il duetto finisce coll’entrata del coro, metà almeno del paese, che, a dispetto del verismo, viene a vedere la processione dalle finestre di Paolo.
Nella scena della processione (una delle migliori situazioni del libretto), l’effetto dei contrasti non è abbastanza raggiunto musicalmente; tuttavia vi si rivelano buoni intendimenti e giusta misura nel taglio del pezzo.
Jana disperando d’essere ascoltata dalla Vergine, è presa da delirio ed impreca:
Gotesta ebrea!
Potea salvarmi. Non ha voluto
Sia maledetta!
bestemmie troppo sapienti per essere naturali in bocca ad una contadina di quell’epoca, e troppo volgari per non disgustare, almeno, il senso estetico del pubbblico.
Il terzo atto si apre con una canzone dei vendemmiatori, una cosetta semplice, popolare, che se non giungesse dopo altri canti del genere, sentiti durante l’opera, produrrebbe maggiore effetto.
Anche i versi sono di una semplicità graziosamente poetica.
Viene dopo un duetto tenore e soprano, come ho già detto troppo lungo, e per di più uniforme di metro poetico, mentre fra i due personaggi vi è contrasto di sentimenti.
Ciò nonostante il duetto piace, per merito di alcune frasi espressive, svolte con abilità di tecnicismo. Più debole riesce l’impressione alla scena fra Jana e Cola, dove manca la frase scenica, che è segreto degli autori provetti: la sequela d’imprecazioni di Cola raggiunse un effetto piuttosto comico.Una buona situazione musicale, di effetto non sfruttato, si presentava, a mio modesto avviso, quando Nedda scopre il tradimento del marito e della sorella; ma invece l’azione è troncata dal sopraggiungere dei vendemmiatori: Il finale non raggiunge l’efficacia drammatica voluta Sia pure che Nino dovesse passare dall’ironia dello stornello all’omicidio; ma bisognava procedere rapidamente, togliere gl’incisi, i fronzoli, e sopratutto far cantare uno stornello solo, non due; se no addio effetto, addio emozione.
In questo terzo atto fu ripetuto il coro dei vendemmiatori; e qui, come dopo il duetto, l’autore ebbe applausi e chiamate.
Concludendo il maestro Frontini ha rivelato ingegno, coltura e non comuni attitudini a scrivere per il teatro. Ai giorni nostri, meno che mai, è possibile di superare in una prima prova tutte le difficoltà che s’incontrano nello scrivere un’opera; per ciò molti giovani che tentano il teatro potrebbero invidiare all’egregio Frontini l’esito soddisfacente della sua prima prova. Con lo studio e la pratica si formerà uno stile, che ora gli manca, acquisterà esperienza di scena e d’istrumentazione. dove fra le cose ben fatte sonvi pure talune mende.