Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde/I

La storia della porta

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II

L'avvocato Utterson era un uomo dall'aspetto scostante, mai illuminato da un sorriso, freddo, scarno e impacciato nella conversazione, restio a lasciarsi andare; magro, alto, grigio, cupo, eppure in qualche modo amabile. Quando si incontrava con gli amici, e se il vino era di suo gusto, qualcosa di eminentemente umano traspariva dai suoi occhi; qualcosa che non trovava mai modo di esprimersi nel suo conversare, ma che nel dopo cena era eloquente non solo nei silenziosi tratti del volto, ma più spesso e con più forza, in quello che faceva. Pretendeva da sé stesso austerità; quando era da solo, per mortificare una propensione per il vino delle annate migliori, prendeva del gin; e sebbene andare a teatro fosse per lui una occasione di svago, da vent'anni non ci aveva più messo piede. Tuttavia nei confronti degli altri aveva accettato di essere tollerante; talvolta meravigliandosi, quasi con invidia, della forte pressione degli istinti coinvolti nelle loro malefatte; e in tutti i casi gravi, era propenso più ad aiutare che a rimproverare.

«Sono incline all'eresia di Caino,» era curiosamente solito dire: «lascio che mio fratello se ne vada all'inferno come gli pare». A causa di questa fama, gli capitava spesso di essere l'ultima conoscenza degna di reputazione e l'ultima positiva influenza nella vita di uomini avviati alla perdizione.

Non c'è dubbio che l'impresa riuscisse facile ad Utterson; poiché egli era massimamente riservato, e anche la sua amicizia sembrava essere fondata su di una universale benevolenza. È un tratto tipico delle persone dotate di modestia accettare una cerchia di amicizie bella e fatta dalle mani delle circostanze occasionali; e questo era il modo di fare dell'avvocato. I suoi amici erano i suoi consanguinei o quelli che conosceva da tempo; i suoi affetti, come edera, crescevano con il tempo, senza implicare una particolare affinità con la persona coinvolta. Quindi non stupisce il legame che lo univa al signor Richard Enfield, ben noto uomo di mondo, suo lontano parente. Per molti era un rompicapo che cosa questi due potessero vedere l'uno nell'altro, o quali interessi essi potessero trovare in comune. È stato riferito, da coloro che ebbero occasione di incrociarli durante le loro passeggiate domenicali, che essi non si parlavano, palesandosi curiosamente annoiati; e avrebbero salutato con evidente sollievo la comparsa di un amico. Nonostante ciò, i due uomini tenevano in grandissimo conto le loro escursioni, stimandole tra le attività settimanali più preziose, e non solo mettevano da parte occasioni di divertimento, ma anche si sottraevano agli impegni d'affari, per potersele godere senza interruzioni.

Una volta capitò che in una di queste passeggiate la strada li conducesse giù in un vicolo laterale di un affollato quartiere di Londra. La strada era stretta e come si suol dire tranquilla, ma nei giorni feriali ospitava un fiorente commercio. I suoi residenti guadagnavano bene, a quanto pare, e tutti rivaleggiavano sperando di fare ancora meglio, collocando, con il surplus dei loro guadagni, addobbi civettuoli, per questo le vetrine dei negozi lungo la strada apparivano invitanti, come file di sorridenti commesse. Anche di domenica, quando velava il suo fascino più florido e si mostrava relativamente libera dal traffico, la via brillava, a paragone con le sue squallide vicinanze, come un fuoco in un bosco, e con le sue persiane dipinte di fresco, gli ottoni ben lucidati, la generale lindezza e aria di allegria, immediatamente catturava e risultava gradita agli occhi del passante.

Due portoni prima dell'incrocio, dal lato sinistro andando verso est, la fila delle case era interrotta dall'ingresso ad una corte interna; e giusto in quel punto, un sinistro fabbricato aggettava il suo frontone sulla strada. Era alto due piani; non mostrava finestre, null'altro che una porta al piano terra e il fronte cieco di un muro scolorito sulla parte superiore; portava in ogni tratto, i segni di una prolungata e sordida trascuratezza. La porta, che non era dotata né di campanella né di battente, era screpolata e scolorita. I barboni trovavano riparo sotto la sua copertura e usavano i suoi pannelli per accendere gli zolfanelli; i ragazzini tenevano il mercatino sui gradini; gli studenti avevano provato l'uso del loro coltello sulle modanature; e per quasi una generazione nessuno era venuto a scacciare questi visitatori occasionali o per riparare i loro danneggiamenti.

Enfield e l'avvocato erano sul lato opposto della strada; ma quando furono all'altezza dell'entrata, il primo alzò il suo bastone e la indicò.

«Hai mai notato quella porta?» chiese, e dopo che il suo compagno ebbe risposto affermativamente, soggiunse «nella mia testa si collega con una vicenda molto strana».

«Davvero?» disse Utterson, con un lieve mutamento nella voce, «quale vicenda?»

«Beh, è andata in questo modo,» rispose il signor Enfield «io stavo rincasando da un posto che stava in capo al mondo ed erano circa le tre di un nero mattino d'inverno, il mio percorso attraversava una parte della città dove non c'era letteralmente nulla da vedere se non lampioni, una strada via l'altra e tutti addormentati – tutto illuminato come per una processione e tutto così vuoto come in una chiesa – finché alla fine raggiunsi quella condizione mentale di quando uno è teso nell'ascolto e comincia a desiderare ardentemente la vista di un agente di polizia. Tutto ad un tratto, scorsi due figure: una era un uomo di bassa statura, che procedeva in modo scomposto di buon passo verso est, e l'altra era una bambina, di forse otto o dieci anni, che correva a più non posso giù da una traversa. Beh, sai, com'era prevedibile all'altezza dell'angolo i due finirono uno contro l'altro; e poi venne la parte parte orribile della cosa, perché l'uomo in tutta calma prese a calpestare la bambina a terra, lasciandola piangente. A sentirselo raccontare può anche sembrare poca cosa, ma da vedere fu tremendo. Quella cosa non aveva un aspetto umano, sembrava piuttosto un maledetto Juggernaut. Io lanciai un urlo e girati i tacchi afferrai quel signore per il colletto e lo riportai indietro, intanto intorno alla bambina piangente si era radunato un capannello. Lui era assolutamente passivo e non oppose resistenza, tuttavia mi diede un'occhiata così minacciosa da farmi gelare. Le persone accorse erano parenti, e in poco tempo sopraggiunse il dottore, per chiamare il quale la bambina era stata mandata fuori. Beh, a suo dire la bambina non stava poi così male, più che altro era terrorizzata, e si sarebbe potuto supporre che la cosa avrebbe potuto concludersi così. Tuttavia mi avvidi di una singolare circostanza. Io avevo trovato quel signore detestabile sin dalla prima occhiata. Lo stesso avevano fatto i parenti della bambina, com'era naturale. Però fu più che altro il dottore che mi colpì. Egli era il classico farmacista-infermiere, senza colore e senza età, con un forte accento di Edimburgo, e con l'emotività di una pietra. Beh, sai, anche lui era come noi altri; ogni qualvolta gettava lo sguardo sul mio prigioniero, vedevo che gli veniva la nausea e impallidiva dalla voglia di farlo fuori. Io sapevo cosa gli passava per la testa, proprio come lui sapeva ciò che avevo in mente io; ed essendo fuori discussione che potessimo accopparlo, optammo per la nostra seconda miglior cosa da fare. Dicemmo all'uomo che avremmo potuto e voluto montar su un tale scandalo sull'accaduto che avrebbe infangato il suo nome da un capo all'altro di Londra. Se avesse avuto una qualche amicizia o una qualche reputazione, noi ci saremmo impegnati per fargliela perdere. E per tutto il tempo, mentre lo svergognavamo, dovevamo tenergli le donne come meglio potevamo a distanza, poiché erano scatenate come delle arpie. Io non vidi mai un cerchio di volti così pieni d'odio; e nel mezzo c'era lui con una sorta di maligna freddezza beffarda — seppure intimorita, come mi parve di vedere — e vittoriosa, sai, davvero come fosse Satana. “Se volete monetizzare questo incidente,” disse “evidentemente non posso sottrarmi. Sono un gentiluomo e desidero evitare ogni scandalo. Fissate voi la cifra.” Beh, noi lo torchiammo chiedendo un centinaio di sterline a favore della famiglia della bambina, chiaramente egli avrebbe preferito spuntare una cifra inferiore, ma c'era qualcosa in noi che minacciava guai, così alla fine cedette. Il passo successivo era farsi dare quel denaro; e dove credi che ci abbia portato, se non là dov'è quella porta? Tirò fuori una chiave, entrò, e in un baleno fu di ritorno con dieci sterline in monete d'oro e un assegno da riscuotere presso la banca Coutts, pagabile al portatore e firmato da una persona che io non posso riferire, anche se è uno dei punti chiave della mia storia; tuttavia si tratta di un nome quanto meno molto noto e spesso riportato nelle cronache dei giornali. La cifra era salata; ma la firma era una garanzia per cifre anche maggiori, purché fosse valida. Io mi presi la briga di mettere in evidenza quanto tutto l'accaduto non fosse credibile, perché, nella vita reale, un unomo non s'incammina verso la porta di uno scantinato alle quattro del mattino e se ne viene fuori con l'assegno di un altro per chiudere una faccenda da un centinaio di sterline. Ma egli era assolutamente tranquillo e beffardo. “Datti pace,” disse “io resterò con voi fino all'apertura della banca e sarò io stesso a farmi liquidare l'assegno.” Sicché noi tutti, il medico, il padre della bambina, il nostro amico e io stesso, ci levammo da lì e andammo a passare il resto della nottata nei miei alloggi; e il giorno seguente, dopo aver fatto colazione, andammo tutti insieme in banca. Consegnai io stesso l'assegno per l'incasso e precisai che avevo molti motivi di ritenere che fosse un falso. Nulla di tutto questo. L'assegno era genuino.»

«Una brutta storia!» esclamò Utterson.

«Vedo che la pensi come me» disse Enfield. «Sì, è una brutta vicenda, dal momento che il mio uomo era un individuo con il quale nessuno vorrebbe avere a che fare, un personaggio davvero abominevole; mentre la firma sull'assegno era di una persona squisita, un nome illustre, e (che è anche peggio) uno di quegli individui che si adopera per far del bene. Immagino ci sia di mezzo un ricatto; un uomo specchiato che paga a caro prezzo alcune follie di gioventù. La Casa del ricatto è pertanto il nome che ho dato all'edificio con la porta. Tuttavia, come capirai, anche questa ipotesi, è ben lungi dallo spiegare tutto» aggiunse, e dette queste parole si fece di umore meditabondo.

Utterson lo sottrasse a queste meditazioni chiedendogli in modo piuttosto inaspettato: «e non sai se il firmatario dell'assegno vive là?»

«È un bel posto, non è vero?» rispose Enfield «però si dà il caso che io abbia annotato il suo indirizzo; egli abita in una qualche piazza o qualcosa di simile».

«E non hai mai chiesto in giro a proposito dell'edificio con la porta?» chiese Utterson.

«No, sai, mi sono fatto qualche scrupolo» fu la risposta. «Decisamente non me la sento di fare domande, è troppo nello stile del giorno del giudizio. Tu butti là una domanda, ed è come buttare una pietra. Ti siedi tranquillo sulla cima della collina, e la pietra rotola giù, trascinandone altre; e poi qualche mite vecchietto (l'ultimo a cui avresti pensato) prende un colpo sulla testa nel suo giardino dietro casa, e i parenti sono costretti a cercarsi una nuova famiglia. No, sai, ne ho fatto una mia regola: più c'è puzza di guai, meno domande faccio.»

«È davvero una buona regola» disse l'avvocato.

«Tuttavia ho studiato il luogo per conto mio,» continuò Enfield. «Ha poco dell'aspetto di una abitazione. Non ci sono altre porte, e nessuno entra o esce da lì fuorché, una volta ogni tanto, il signore della mia avventura. Vi sono tre finestre che danno sul cortile al primo piano; sotto non ce ne sono; le finestre sono sempre chiuse, ma sono pulite. E poi c'è un camino, che di solito fuma; pertanto qualcuno deve viverci. E tuttavia non è neanche così certo; perché gli edifici sono messi attorno alla corte in modo tale che è difficile stabilire dove inizi uno e dove finisca l'altro.».

La coppia continuò a camminare ancora per un po' in silenzio; e poi

«Enfield,» disse Utterson, «la tua è una buona regola.»

«Sì, penso che lo sia» replicò Enfield.

«Malgrado tutto questo» continuò l'avvocato,«c'è un punto su cui voglio interrogarti: qual'è il nome dell'uomo che calpestò la bambina?»

«Bene,» disse Enfield,«non vedo che male ci sarebbe a dirlo. Si chiamava Hyde.»

«Ehm,» disse Utterson, «e qual'è il suo aspetto?»

«Non è facile descriverlo. C'è qualcosa che non va nel suo aspetto, qualcosa di sgradevole, talvolta di decisamente detestabile. Io non ho mai visto un uomo che mi abbia disgustato a tal punto, eppure ancora stento a capirne il perché. Deve essere in qualche modo deforme; dà una forte sensazione di deformità, eppure non saprei mettere a fuoco la cosa. È un uomo dall'aspetto fuori dell'ordinario, eppure in verità non posso indicare nulla che sia anomalo. No, davvero; non ci riesco, non riesco a descriverlo. E non è una mancanza di memoria; perché ti assicuro che è come se lo avessi davanti agli occhi anche in questo momento.»

Utterson camminò ancora per un tratto in silenzio ed evidentemente oppresso dal peso delle sue congetture.

«Sei sicuro che abbia usato una chiave?» s'informò infine.

«Ma dai… amico mio» rispose Enfield, molto sorpreso.

«Sì, lo so,» disse Utterson; «lo so che deve sembrarti strano. Il fatto è che, se non ti domando il nome dell'altra persona coinvolta, è perché io già lo conosco. Vedi, Richard, la tua vicenda mi ha coinvolto da vicino. Se sei stato inesatto in qualche punto, faresti meglio a correggerlo.»

«Penso che avresti potuto avvisarmi» rispose l'altro, lievemente contrariato. «Tuttavia io sono stato scrupolosamente esatto, come dici te. Il tizio aveva una chiave; e c'è di più, ce l'ha ancora. Gliel'ho vista usare meno di una settimana fa.»

Utterson sospirò profondamente, ma non disse una parola; poco dopo il giovanotto riprese a parlare. «Ecco un'altra lezione che mi insegna ad essere più riservato», disse. «Provo vergogna per la mia lingua lunga. Accordiamoci per non parlare di questa vicenda mai più.»

«Di tutto cuore,» rispose l'avvocato. «qua la mano, Richard.»