Lirica (Ariosto)/Capitoli/VIII. - Un inno di gaudio prorompe dal...

VIII. - Un inno di gaudio prorompe dal...

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VIII. - Un inno di gaudio prorompe dal...
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VIII

Un inno di gaudio prorompe dal labbro del poeta
nel descrivere una gioconda notte d’amore.

     O piú che ’l giorno a me lucida e chiara,
dolce, gioconda, aventurosa notte,
quanto men ti sperai tanto piú cara!
     Stelle a furti d’amor soccorrer dotte,
5che minuisti il lume, né per vui
mi fur l’amiche tenebre interrotte!
     Sonno propizio, che lasciando dui
vigili amanti soli, cosí oppresso
avevi ogn’altro, che invisibil fui!
     10Benigna porta, che con sì sommesso
e con sì basso suon mi fusti aperta,
ch’a pena ti sentì chi t’era presso!
     O mente ancor di non sognar incerta,
quando abbracciar da la mia dea mi vidi,
15e fu la mia con la sua bocca inserta!
     O benedetta man, ch’indi mi guidi;
o cheti passi che m’andate inanti;
o camera, che poi cosí m’affidi!
     O complessi iterati, che con tanti
20nodi cingete i fianchi, il petto, il collo,
che non ne fan piú l’edere o li acanti!
     Bocca, ove ambrosia libo, né satollo
mai ne ritorno; o dolce lingua, o umore,
per cui l’arso mio cor bagno e rimollo!
     25Fiato, che spiri assai piú grato odore
che non porta da l’indi o da sabei
fenice al rogo, in che s’incende e more!
     O letto, testimon de’ piacer miei;
letto, cagion ch’una dolcezza io gusti,
30che non invidio il lor nettare ai dèi!

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     O letto donator de’ premi giusti,
letto, che spesso in l’amoroso assalto
mosso, distratto ed agitato fusti!
     Voi tutti ad un ad un, ch’ebbi de l’alto
35piacer ministri, avrò in memoria eterna,
e quanto è il mio poter, sempre vi essalto.
     Né piú debb’io tacer di te, lucerna,
che con noi vigilando, il ben ch’io sento
vuoi che con gli occhi ancor tutto discerna.
     40Per te fu dupplicato il mio contento;
né veramente si può dir perfetto
uno amoroso gaudio a lume spento.
     Quanto piú giova in sí suave effetto,
pascer la vista or de li occhi divini,
45or de la fronte, or de l’eburneo petto;
     mirar le ciglia e l’aurei crespi crini,
mirar le rose in su le labra sparse,
porvi la bocca e non temer de’ spini;
     mirar le membra, a cui non può uguagliarse
50altro candor e giudicar mirando
che le grazie del ciel non vi fur scarse,
     e quando a un senso satisfar, e quando
all’altro e sí che ne fruiscan tutti,
e pur un sol non ne lasciar in bando!
     55Deh! perché son d’amor sí rari i frutti?
deh! perché del gioir sí brieve il tempo?
perché sí lunghi e senza fine i lutti?
     Perché lasciasti, oimè! cosí per tempo,
invida Aurora, il tuo Titone antico,
60e del partir m’accelerasti il tempo?
     Ti potess’io, come ti son nemico,
nocer cosí! Se ’l tuo vecchio t’annoia,
ché non ti cerchi un più giovene amico?
     e vivi, e lascia altrui viver in gioia!