La pastorella mia
con l’acqua della fonte
se lava el dì la fronte
e ’l seren petto. 5In bianco guarnelletto
umilmente conversa,
solimato né gersa
non adopra.
Non porta che la copra 10balzi, cuffie e gorgiere
come voi, donne altiere
e superbe.
Una ghirlanda d’erbe
se pon nell’aurea testa 15e va ligiadra e presta
e acostumata.
E spesso va insaccata
per fin quasi al genocchio
e con festevol occhio 20sempre ride.
Si la guardo, non stride
come queste altre ingrate,
è piena d’onestate
e gentilezza. 25Con tal delicatezza
porta una vectarella
de sovra la cappella
che m’abaglia.
Alcuna fiata scaglia 30da me non per fuggire
ma per farme languire
e poi ritorna.
Ohimé, ch’è tanto adorna
la dolce mia bambina 35che pare un fior de spina
a primavera!
Beato chi in lei spera
e chi la segue ognora!
Beato quel ch’adora 40le sue guance!
O dolci scherzi e ciance
porgen quei duo labretti
che paron rubinetti
e fraganelle! 45Le picciole mamelle
paron due fresche rose
de maggio, gloriose
in sul matino.
El suo parlar divino 50spezzar farebbe un ferro,
so certo ch’io non erro,
dico el vero.
Dà luce all’emispero
la mia pastorelluccia 55e con la sua boccuccia
piove mele.
È saggia, ancor fidele,
non se corroccia e sdegna,
qualche fiata se ingegna 60per piacere.
Quando io la sto a vedere
parla, ride e motteggia,
alor mio cor vaneggia
e trema tutto. 65Ohimè, che m’ha condutto
che si la sento un poco,
divento un caldo foco
e poi m’aghiaccio!
E molto più disfaccio 70si veggio le sue ciglia
minute ad maraviglia.
O ciel, ch’io moro!
Li suoi capelli d’oro,
i denticelli mondi, 75bianchi, politi e tondi
me fan vivo.
Io son poi del cor privo
si la veggio ballare,
ché me fa consumare 80a parte a parte.
Non ho ingegno né arte
ch’io possa laudarla,
ma sempre voglio amarla
in fine a morte.