Libro detto strega o delle illusioni del demonio/Libro terzo
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Gianfrancesco Pico della Mirandola - Libro detto strega o delle illusioni del demonio (XV secolo)
Traduzione dal latino di Leandro Alberti (1524)
Traduzione dal latino di Leandro Alberti (1524)
Libro detto strega o delle illusioni del demonio
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Il terzo libro del dialogo detto strega, del signore Giovanfrancesco Pico dalla Mirandola & c., volgariggiato dal ven. P. F. Leandro delli Alberti bolognese.
Le persone parlano:
Apistio, Dicasto, Fronimo, Strega.
Apistio, Dicasto, Fronimo, Strega.
- APISTIO
- Di poi che havemo scacciato la fame colli cibi e vivande, ti priego, Dicasto inquisitore delli heretici, vogli esser contento, che possa chiedere inanti di tutte l’altre cose una certa mia dubitatione. La quale ha grandemente fedito l’animo mio, no con uno scrupolo, ma con una aguta lanza, pensando fra me se è vero imperò quello che ha narrato la strega.
- DICASTO
- Piacimmi, addomanda pur quello che tu vuoi.
- APISTIO
- Non guari mi satisfano quelle cose che dicono alcuni della pena che è data da Iddio a cotesti biasimevoli huomeni e donne, per l’antidetti vitii e sceleritade, cioè che spesse volte faciono la penitentia nell’inferno dopo la morte, et ivi siano martoriati gravemente. Non serebbe meglio che le prohibisse Iddio non si facessino, che dipoi l’haverano fatte, di darli la penitentia?
- DICASTO
- Meglio certamente serebbe, s’el se referisce questo a colui che ha fatto le malvagie opere, perché s’el non havesse operato male, haverebbe fatto ben per sé.
- APISTIO
- Dunque perché non le prohibisse Iddio? Non serebbe maggiore cosa, e più divina, se fussero divinamente vietate?
- DICASTO
- Sono ben vietate con la legge, ma non con l’opera. Cioè, Iddio le prohibisce mediante la legge, ma non vuole per forza tenire l’huomo non operi a suo piacere.
- APISTIO
- Perché è permessa da Iddio la malgradevole operatione, et il peccato? cioè, perché permette che l’huomo facci il peccato?
- DICASTO
- Perché è libero l’huomo, et è in suo arbitrio e volunta e libertà di operare sicome a lui piace, o il ben o il male.
- APISTIO
- Non sarebbe stato meglio, che non fussi mai nato colui, lo quale conosceva Iddio, che dovea rovinare in queste grandi sceleritade et iniquitade?
- DICASTO
- Sì, serebbe stato certamente meglio, che non fussi mai apparuto al mondo colui chi persevera ne’ peccati per insino al fine di sua vita, ma che fussi morto nel ventre di sua madre.
- APISTIO
- Ma se mai non fusse stato per verun modo, pensi che tu fosse meglio per quello?
- DICASTO
- Per chi?
- APISTIO
- Per lui.
- DICASTO
- Perdonammi, il mio Apistio: tu parli molto scioccamente. È possibile tu non consideri che questa è una pazzesca questione? Conciosia che tanto fra sé sono contrarii, ello e niente, che uno è rovinato dall’altro. Non sai tu che non può intervenire veruna cosa o sia prospera over sinestra a niente che ci imaginamo?
- APISTIO
- Per qual cagione dunque ha creato Dio colui, lo quale conosceva dovesse andare alli eterni supplitii?
- DICASTO
- Per sua somma et infinita bontà.
- APISTIO
- Come sia possibile cotesto?
- DICASTO
- Così è possibile: perché non sia soverchiata la infinita bontà di Iddio della perversa malitia dell’huomeni. E così se narra, che respondesse santo Pietro Apostolo a Simon Mago, sendo interrogato da quello quasi di simile cosa, se ben referisce Clemente la disputatione fatta fra essi. Dimmi un puoco, Apistio, ti parebbe fussi ben che cessassi Iddio da tanto gran beneficio, cioè di creare le anime, per respetto dell’huomo che’l dovesse dapoi male usare? conciosia che è opera di somma bontà e de infinita potentia. Anchora, se ben considerarai con la mente tua tutte le vertude et opere di Iddio dimostrate al mondo, tu vederai che se cava fuori la giustitia da se medeme, solamente strengendo quelli, li quali più presto hanno vuoluto fuggire la bontà e la benignità di quello, che receverla. Né anchora per questo se istingue, overo se diminuisce la misericordia, conciosia che manco punisce quelli che rechiederebbe il rigore della giustitia. E sovente uscisse qualche cosa da essa sceleragine perpetrata per li rei e cattivi huomeni e donne, cavata da Iddio per qualche megliore fine. De cui dice santo Agostino, che è tanto buono, che non permetterebbe venisse verun male, se non vuolesse da quello trarne maggior ben. Il che spesse volte, si non sempre, è stato veduto uscirne de’ mali il ben, dalli dotti huomeni, se ben forsi non sia suto considerato dal rozzo volgo. E per dimostrare che così sia stato, voglio narrare alcuni puochi essempii, benché se puotrebbono ramentare infiniti. Leggiamo qualmente fussi venduto il giusto Giosepho da frategli, con grave loro peccato. Il rozzo volgo non pensa più oltra, ma solamente egli è aggradevole l’historia; ma l’huomeni dotti e di gran spirito, pietosamente considerando, avertiscono qualmente per detta iniqua e malvagia mercantia interviene che dipoi fu fatto Iosepho quasi signore e re di tutto lo Egitto, e che liberò il padre e frategli e tutta la fameglia dalla morte, che gli sarebbe intervenuta per la carestia della vittuaglia. Et anchor conoscono qualmente seguitarono per detta ingiusta venduta molti e grandi misterii, li quale ramentano con gran riverentia. Anchor, per i tormenti et occisioni e crudeltade che fecero i tiranni contro delli servi de Iddio, rispiande la vertù e gloria di essi martiri. Ma che più dirò? Per la crudele morte e durissima passione et vituperosa morte di misser Giesù Christo vero Dio et huomo, apparvi la infinita buontà de Iddio, riscuotando e redimendo tutta l’humana generatione dalla eterna morte, et aprendo la porta della misericordia, et anchor della giustitia.
- APISTIO
- Doh, quanto ben hanno satisfatto a me coteste tue ragioni. Così anche pare a me chi sia il vero quello che tu ha detto. Ma hora, sendo io satisfatto da te quanto a queste dubbitationi, pregoti vogli seguitare il già comenciato ragionamento avanti del pranso, cioè di narrare come egli è cotesto Giuoco cosa vera e non finta, né ritrovata nelle favole, sicome promettesti di dover dimostrare.
- FRONIMO
- Vuo’ tu credere a tutte l’historie?
- APISTIO
- No, perché se ritrovano delle favole narrate con colore de historia, sicome è quella favola samosatena, cioè di Luciano. Anchora sono molte altre historie per cotal modo incerte, e scritte in duoi modi, e sovente anche in più, tanto varie e disconvenevoli fra sé di una medeme cosa, che paiono esser non guari discosto dalle semplici favole.
- FRONIMO
- Certamente tu respondi ben, e non manco ben intendi. Il perché, sicome alcuna volta rispiande fra le tenebre et oscurità delle favole un puoco di lume della verità, così fra le narrationi delle historie che sono fra sé contrarie, forse ne ritroverai una vera, e così sendo l’altre false è necessario di annoverarle fralle favole. Conciosia che non sie possibile, che combatti la verità con la verità. Ma, o Dicasto, a me pare d’intendere quello che vorebbe Apistio.
- DICASTO
- Che cosa?
- FRONIMO
- Una historia da molti testimonii approvata, a cui non se ritrovasse altra narratione contraria di maggiore overo di eguale auttorità.
- APISTIO
- In verità tu hai detto quello che desideravo.
- DICASTO
- I’ vi prometto di dimostrare che, sicome pertene alli Christiani di dover credere che si facci questo maladetto et iscommunicato Giuoco, così anche gli apertene di doverlo istirpare e svelgere e rovinare. E così vi prometto di narrare assai historie, non contrarie fra sé, ma sì ben molto concordevoli e simili. Anchor voglio fare condurvi qui avanti la strega, e la costregnerò con il giuramento acciò confessi il vero. Su, o guardiano della carcere, presto, conduce quivi la strega. E sapiati qualmente li testimonii che vi producerò sono molti, e sono pigliati da quelli che sono havuti dall’huomeni costretti colli giuramenti, et anchora sono iscritti per memoria de quelli seguitarano dietro a noi et anche per approvare la verità.
- APISTIO
- Cotesto ho a piacere de intendere. Horsù dunque, comenza.
- DICASTO
- Benché vi potrebbe mandare a leggere li libri scritti di queste cose con gran sollecitudine, e so che cotesto non spiacerebbe a Fronimo, il quale mostra di havere studiato in tutte le generationi de scrittori per quella degna disputatione che ha fatto, pur non mi pare per hora di farlo, perché conosco che Apistio non remanerebbe contento, il quale dechiara con il suo parlare tanto elegante, di haver gran pratica nelli libri scritti con il polito e terso stilo, et anchor pare dilettarsi grandemente de quelli scrittori politi et ben accomodati nel parlare, et ornati di un certo fausto e pompa di eloquentia, e così pare che non li piacerebbono quelli altri libri privi de detta policia, e di detta elegantia di dire.
- APISTIO
- Può esser, Dicasto, che tu condanni queste figure di rethorica? overo che spreci l’ornato parlare così delli versi come della prosa, o sia sciolta oratione?
- DICASTO
- No. No. Non mai l’ho fatto, né anchor son per farlo.
- APISTIO
- È pur imperò usanza de alcuni, li quali quando haranno intese la dottrina de Parise, cioè quella che è scritta per questiuncelle, di vuoler ischernire e beffare la continuata oratione, ben ordinata e distintamente composta colli colori e figure rethorice, benché anchora pur ho veggiuto delli libri iscritti a Parise da essi barbari elegantemente et ornatamente composti.
- DICASTO
- Vuoresti mai tu che fussi uno di quelli, che sono annoverati fralli rozzi et ineleganti? conciosia che so come così elegantemente scrissero san Giovanni Crisostomo, il magno Basilio, tre Gregorii in greco, et in latino san Geronimo, Agostino, Ambrogio, Cipriano con molti altri?
- APISTIO
- Dimmi, scrissero anche egli versi?
- DICASTO
- Sì, alquanti di loro, acciò lassano alcuni di dire, come era conveniente nell’antidetti tempi di scrivere in quel modo, conciosia che anchora combattevano colli nemici della fede di Christo colli versi. Non mancano anchora ne nostri tempi di quelli, li quali facilmente sono tirati alle sagre cose della santissima fede di Christo con lo elegante stilo, e con lo accomodato parlare. Pur che sia casta, e sobria, cioè soda e senza errore e senza favole, la eloquentia non solamente non debbe essere condennata e riprovata, ma anzi debbe essere da tutti lodato sicome eccelente buono fralli mortali, chi è approvato con la ragione et auttorità delli antichi e sapienti dottori.
- APISTIO
- Che libri sono cotesti? et in che tempo furono scritti?
- DICASTO
- Sono molti. Vero è che alcuni di essi furono scritti già sesanta anni fa, et uno vi è chi fu composto nella nostra età.
- APISTIO
- Chi furono li auttori de ditti libri?
- DICASTO
- Credo che fussero belgi, cioè galli, over germani e thodeschi. Ma di quello ultimo, de cui ho detto, furono li scrittori duoi thodeschi. Li quali si sforzarono di spaccare e rompere li maghi incantatori e le streghe con un martello, e molto più fortemente, e con maggiore giustitia, che non fece Nicocreone tiranno di Cipro ad occidere colli maltelli Anassarco abderite philosopho.
- APISTIO
- De chi stillo sono?
- DICASTO
- Di quello, chi volgarmente se chiama parisino, cioè per questiuncelle, ma sono scritte con molta sottilità, quanto sia possibile a scrivere di essa materia de cui parlano, siccome imperò a mi pare, et anchor sono fermati con la verità delli testimonii de santi huomeni. E non solamente pare a me cotesto, ma anchora a molti eccellenti theologgi. Il prencipio di questo ultimo volume comencia dal Pontefice Maximo, et il fin è approvato con la auttorità di Cesare. Già ho chiaramente e fermamente inteso come l’antidetto libro fu publicamente approvato dalli dottori di sagra theologia dell’università di Colonia Agrippina.
- APISTIO
- Vuorei, Dicasto, che tu mi narrassi quelle cose, le quali tu hai promesso di narrare al proposito nostro, o siano di quelle da quei luoghi cavate overo da altri luoghi, acciò le possamo meglio intendere con il tuo parlare, conciosia che meglio le dechiararai narrandole tu. Il perché sendo anchor quivi presente alla disputatione il nostro Fronimo, credo che anche a lui non serà grave di ramentare dell’altre cose che forsi non si ritrovano scritte, sicome per sua gentilezza hieri et hoggi non li parvi grave di narrare molte cose degne che non sono scritte in quelli libri. Et anchor la strega, la quale già se appropinqua a noi condutta dal guardiano della prigione, forsi ramentarà dell’altre cose, oltro di quelle c’ha raccontato, che non sono anche elle iscritte in verun libro.
- DICASTO
- Son contento di fare hora come vuoi. Pur imperò chiedendovi perdonanza, se diròe qualche cosa che non siati consueti di udire. Conciosia che, se ben ho apparato le littere grece e latine, nondimeno imperò non mi sono con menore studio essercitato fra li theologgi. Li quali lassano la politia et ornamento delli vocaboli, et anchora tanta tersitudine di parlare e solamente se sforzano di conoscere le cose come in verità sono.
- FRONIMO
- Egli è menore danno quello delle parole, che quello della cognitione delle cose. Ma è ben vero, che io istimo che colui debbe esser essaltato e lodato sovra dell’altri, il quale ha l’ornato del parlare congiunto con la cognitione delle cose: cioè sovra di quelli chi hanno solamente o l’uno o l’altro. Vero è che se pur non si possono havere amenduoi, istimo che è meglio di havere la cognitione delle cose, che’l parlare polito et ornato, di eloquentia. Benché, sicome ho possuto conoscere per il tuo ragionare, possevi lassare stare di addomandare questa venia e perdono.
- DICASTO
- Io dirò latinamente al meglio puotrò. Hor su, comenciarò. Avanti di ogni cosa voi dovete sapere come egli è chiaro e manifesto che colui che negasse essere li demonii meritarebbe di esser schacciato fuori della catholica Chiesa, sicome grandemente contrario alla Sagra Scrittura, e maggiormente al Vangelio.
- APISTIO
- Concedo cotesto esser varissimo sanza verun dubbio.
- FRONIMO
- Anche meritarebbe di essere scacciato costui di simile oppenione, cioè che dicesse non esser i demonii, fuori della Accademia e dal Liceo, cioè fuori della schuola di Aristotele. Conciosia che appo di Platone e di tutti e’ Platonici è fatto non puoca memoria delli demonii, a cui non è contrario Aristotele, ma anzi sovente ne fa mentione non solamente nella Ethica, Politica, e Rethorica, ma anchor nell’altri luoghi, li quali hora non scrivo.
- DICASTO
- È ben vero che ne fanno ricordo, ma sono imperò in questo differentiati dalli nostri dottori, cioè che quelli istimano vi siano delli demonii buoni e delli malvagi e perversi. Ma noi dicemo che tutti i demonii sono perversi, iniqui, e malegni. Li quali benché li nominamo sotto di cotesto nome Satanasso, e di diavoli, pur più chiaramente anchora sono significati per questo nome demonio. Il perché dice il propheta David, Tutti li dei delle genti sono demonii. E lo apostolo Paulo anche egli scrive. Non vuorei doventasti compagni delli demonii, e in uno altro luogo dice, Credono e demonii, e tremano di paura. Non fu già mai verun huomo savio che dubitasse, che quando li malifici, incantadori, e streghe e stregoni rovinano le frutta colli suoi malvagi incanti e legano e dipoi sciolgono a suo piacere li beni del matrimonio (cioè che fanno per modo che li congiugati nel matrimonio non possono havere honesti piaceri insieme) e dipoi quando le piace gli danno facultà di puoterli havere, et che anchora tormentano le creature fuori del consueto modo della natura, che non siano fatte dette cose con patti e conventioni delli demonii. Et per questo et anche per molte altre cagioni sono state ordinate molte altre cose contra di cotesti rei et iniqui huomeni e donne dalli theologgi così antichi come moderni, et anchora dalla Sacra Scrittura, e dalle leggi canonice della Santa Romana Chiesa, et anchor dalle leggi imperiali. Imperò che ritroviamo il comandamento de Iddio nel Deuteronomio, come se debbono uccidere li malefici et incantatori; il simile comanda nel Levitico, cioè che siano lapidati li arioli e quelli chi hanno il spirito phitonico, cioè li divinatori. E Gratiano raduna assai cose nelle 24a vigesima sesta causa de’ Decreti, contro di cotesti scelerati malefici. Anchora se possono vedere quelle cose che scrive Santo Agostino ne’ libri della Città di Dio, e della Dottrina Christiana, di questa maladetta generatione. Il perché se posson più puoche cose raccontare oltra di quello che ha esso santissimo e dottissimo huomo scritto in quei luoghi. Io taccio li moderni theologgi, li quali non puoco hanno scritto contra delli malefici et incantatori, e parimente anche contro delli maleficii et incantamenti. Sono anchora constitute leggi contra di essi malefici e mathematici nelle Civili Leggi cioè nel Codigo di Giustiniano Imperadore.
- FRONIMO
- Anchor se vedono assai cose ne’ libri de moderni philosophi, così de’ Platonici come de’ Peripatetici, cioè di Iamblico, di Proclo, e di Porphirio, le quali posson esser molto a proposito.
- APISTIO
- Sicome io non nego che siano e demonii e che posson fare assai cose con la sua perfida malitia, così anche io desidero che mi siano dechiarate quelle cose che propriamente pertengono a queste streghe: cioè se vanno al giuoco overo vi siano portate con il corpo, e non solamente con la volontà o con una imaginatione e finta representatione.
- DICASTO
- Suole dare gran fastidio questa questione e cagionare gran dubio in molte persone, tragendone occasione dalle parole del Concilio, delli quali n’è fatto avanti mentione. Le quali parole leggonsi nella quinta question della vigesima sesta causa. Il perché credono alcuni non esservi presenti alli detti giuochi queste donnuzze e huomuzzi con il corpo, ma solamente con la imaginatione. Ma alcuni altri dicono esser cotesto Giuoco una nuova specie di heresia diversa da quella antica superstitione. Anchora altri vuoleno che la sia totalmente quella medeme, ma che ivi sia fatto solamente la querella et imposta la pena a quelli che istimano essere Diana Dea, overo Herodiade, overo chi credono che si cangiano e trasformano e corpi humani nelli corpi di gatte o de altri animali per opera del demonio, et anchor a quelli che affermaveno di esser forsi per tal modo discernuto il rapto della mente quando se fa, che se può ben conoscere e reconoscere per esso se sia portato il corpo in quel luogo dovi salisse la mente, conciosia che dica san Paulo apostolo di non sapere cotesto. Ma queste streghe, quando sono portate con il corpo, non sono rapite con l’animo, cioè sicome si suole dire, non sono in spirito, ma pur se fussero rapite in questo modo, sarebbe diversa natura del rapto, da diverso prencipio uscita. Vero è che sono portati alli balli, e conviti, et alli lascivi piaceri della notte vuolendo e vigilando. Il perché, Fronimo, è da me approvata la tua distinctione della disputatione di hieri, con la quale conchiudesti come cotesto Giuoco delle streghe e malefiche è antico quanto alla essentia e sostantia ma è nuovo quanto alli accidenti, cioè quanto alle cerimonie.
- FRONIMO
- Se ho ritrovato nell’antiche superstitioni del demonio il cerchio, lo unguento, l’incanto, il caminare delli corpi humani per il spatio dell’aria, li conviti apparecchiati, li piaceri carnali donati all’huomeni e donne dalli demonii in figura de maschi e di femine, che cosa ci manca più, acciò non istimamo essere antico il commertio e familiarità delli spiriti malvagi e scelerati colli perversi et iniqui huomini? Ma perché se ritrovano alcune cose, in questo vituperoso et iscommunicato spettacolo di demonii, hora da molti narrate, le quali non si leggono fussero anticamente dimostrate, ho detto la cagione: cioè che il tutto se attribuisse alla grandissima astutia e malignità del scelerato e perverso nemico dell’huomo. Il quale, in diversi tempi, a diversi ordini e gradi di huomini, have apparecchiato molte arti e modi d’ingannarli, acciò che così, con detti varii costumi, e con diversi inganni e piaceri, tragesse essi huomeni nelle precipitose rovine delli peccati.
- DICASTO
- Per cotesta ragione assai a mi è piaciuto quello che hai detto.
- APISTIO
- Dunque, voi credete che siano portati colà con il corpo?
- DICASTO
- Sì, credo che siano portati alcuna volta con il corpo; et alcuna volta che così facilmente posson esser ingannati: cioè che sendo malamente illusa e schernita la imaginaria potentia, se pensano e gli pare di essere portati corporalmente oltro di Gargara, che è uno delli colli del monte Ida, et anchor gli pare di trapassare lo Ascanio lago di Frigia, et ancho di andare oltro dello ululato dello altissimo Monte Caucaso della India coll’armi delle Amazoni. E pensano di volare colle penne di Dedalo, sicome le pare nel sonno. Ma per queste cose non sono perseguitati né presi dalli inquisitori, né anchor essaminati, né tormentati, né condennati overo giudicati. Ma per questo noi cerchiamo con ogni diligentia cotesti stregoni e streghe e malefici; perché hanno renegato la fede di Christo chi pigliarono nel santissimo battesimo, e promissono di servarla, et anchor perché hanno ischernito e beffato li sagramenti della santa Chiesa, et hanno sprezzato Christo vero dio e vero huomo redentore del mondo, et hanno adorato il nefandissimo e spurcissimo Demonio in vece de Iddio, et anchora per molti altri maleficii, che hanno fatto li quali serebbono troppo longhi da doverli raccontare. Per queste cose et altre simili fatte contro de Iddio e della suo trionphantissima fede, noi li perseguitamo e li essaminamo e facciamo i processi, e così dipoi retrovati e convinti nelle loro sceleritade per tal modo che non lo posson negare, diamoli nelle mani delli reggi, signori, prencipi, e baroni, overo delli loro ufficiali, acciò li puniscano e gli diano la penitentia secondo che comandano non solamente le leggi antiche della Chiesa ma anchora le nuove, et anchora ne’ nostri giorni rinuovate, primeramente da papa Innocentio ottavo e da papa Giulio secondo. Vero è che ti ammonisco che ben avertisse da istimare, che non siano portato al giuoco corporalmente la maggiore parte di cotesti rei huomini.
- FRONIMO
- Il nostro Dicasto, hieri ammonii Apistio e gli feci intendere, come non dovesse sprezzare e farsi beffe di quello chi è creduto da tutti over dalla maggior parte probabile, cioè che se possa fare in tale e in tal modo. Conciosia che è sententia di Aristotele, come non è in tutto falso quello chi è detto da tutti. Il che intendendo quel glorioso Thomaso Acquinato, annoverato fralli santi per la sua bontà e pietà et anchor per la sua egreggia dottrina reputato fralli eccellentissimi dottori, istimò essere delli demonii li quali davano carnali piaceri all’huomeni et alle donne in effigia di maschi e di femine: detti Incubi e Sucubi. E questo maggiormente confermò nel secondo libro delle Sententie, perché vi erano molti saggi, prodi, et ancor dotti huomeni di cotesta oppenione. Il perché, o Apistio, non vuoler contradire a quello che è stato tenuto vero con tanta publica fama, et anchor approvato con il consentimento di tanti eccellenti dottori.
- DICASTO
- Ben et ottimamente l’hai ammonito. Ma anchor, acciò se possa haver maggior certezza di cotesta cosa, vien qui da me, strega, e giura alli santi vangelii de Dio, li quali ho posto sotto le tua mani come tu vedi, di racontare e di respondere il vero di quello serai interrogata. E sappi qualmente sei ubbrigata a tale giuramento, che se tu ne mentirai e dirai pur una menoma bugia, non ritrovarai perdono, né remissione, appo di noi; et anchor pur pensa di non ritrovarla nell’altro mondo appo de Iddio.
- STREGA
- Ho giurato. E così siate certi che non vi ingannarò né anchor mi.
- DICASTO
- Dunque, dimmi: era tu portata al giuoco con il corpo, overo solamente con l’anima, o sia con la imaginatione?
- STREGA
- Con il corpo insieme con l’anima.
- DICASTO
- Come puo’ tu sapere di essere stata portata per aria colà con il corpo congiunto con l’anima?
- STREGA
- Perché io toccava con queste medeme mani il demonio detto Ludovico.
- DICASTO
- Deh, che cosa toccavi tu?
- STREGA
- Il corpo di quello.
- DICASTO
- È mo’ quel, tale quale è ciascuno delli nostri?
- STREGA
- È pur più molle.
- DICASTO
- Vi erano quivi delli altri colli corpi?
- STREGA
- O sì sì, in gran moltitudine.
- DICASTO
- E così dicono tutti l’altri che ho già mai essaminato, anchor sanza darli verun martorio. Et il simile anche dicono li inquisitori dell’altri luoghi: cioè, che essaminando quelli di questa maladetta compagnia, come similmente hanno risposti, non discostandosi da quello che hanno confessato quelli in questo medeme modo. Benché sapiamo che cotesta non è la cagione per la quale debbiano esser martoriati e puniti, ma anci per haver violata e rota la fede promessa nel sacro battesimo, nondimeno imperò tutti e maschi e le femine di questa sceleratissima radunanza e compagnia, così di questo castello come dell’altri luoghi del mondo, così dell’Italia come fuori di essa, dicono in questo modo et confermano esser il vero di esservi portati corporalmente, con quell’altre cose delle quale ne ha detto la strega. Et acciò maggiormente lo posseti credere, vi voglio narrare una historia, che non fu favola, né anchora è cosa antica, ma nuova. Già puochi mesi passati era portato nelle brazza della madre un fanciullino maschio, sicome si suole, a quella fortissima rocca di questo nostro castello che è circondata di larghissime fosse et intorniata di fortissime et anchora altissime mura. Hora, vedendo detto fanciullino, quello sceleratissimo don Benedetto Bernio, il quale fu dipoi brugiato per le sue malvagie opere (sicome avanti dicessimo), che parlava allhora con il castellano della rocca suo parente, gli viene incontinente una brammosa e bestiale voglia di asciucarli il sangue. Il perché molto gli parvi più longo quel giorno che non pare a quelli li quali debbono recevere la mercede delle sue stentate fatiche, per tanto bestiale appetito e desiderio havea di gustare dell’innocente sangue del detto fanciullino. Hor, sendo pur al fine giunto la oscura notte delle sceleritade madre, se fece portar per aria al demonio e fermarsi nella casa dove giaceva il mischinello fanciullo nella cuna. Et asciugò tanto sangue da quello infelice bambino, che romase sicome una trasparente ombra che presto presto passa, non havendo effigia humana. Ma non mai imperò fu conosciuta la cagione dell’infermità di esso, né della pallidezza, per in fino che non fu giudicato e condannato esso malvagio huomo al fuogo. Perché allhora ello addimandò perdonanza al padre del fanciullino per il male havea fatto. E così andò e ritornò per aria passando sovra di quelle alte mura dell’antidetta rocca, la quale vedeti colà. Vadi mo’ avantarsi l’antiquità delli Antropophaggi, cioè de quelli popoli di Scithia chi magnaveno le carni dell’huomeni; et anchora pur maravegliassi la nostra età di quelli huomeni hora ritrovati nelle isole del mare Eoi cioè orientale, che anche essi se cibano colle carni humane: conciosia che nel mezzo della Italia, in una regione molto habitata e frequentata dalli mortali, discosto da ogni ferità e bestialità, si è ritrovata una grandissima compagnia d’huomeni cosi maschi come femine, la quale è pasciuta per instigatione del demonio di sangue humano. Ma ritorno a te, strega. Che piaceri havevi tu nell’opre lascive con un corpo di aria?
- STREGA
- Non so con chi corpo. Ma so ben questo, che havea molto maggiori piaceri con lui che con il mio marito.
- DICASTO
- Non havevi tu mai paura et horrore e spavento, conoscendo che quello era il demonio, con il quale tu havevi questi iscommunicati e scelerati piaceri?
- STREGA
- No. Conciosia che non vedeva altro che una figura di huomo, eccetto che ne’ piedi, li quali non parevano a me sicome la faccia, il petto e l’altre membra.
- APISTIO
- O chi figura, o chi aspetto, o chi effigia di finto animale, et di finta bestia?
- FRONIMO
- Egli è imperò tale che nasconde la crudeltà et asprezza, e dimostra una gentile forma et suave molitia, con altri beltade, dalle quali sono quelli dolcemente tirati e lusengati. Fingono l’antichi che essercitasse Venere l’ufficio di cacciatrice, cercando per le selve li lascivi piaceri di Adono, acciò ne traggesse a sé il cacciatore. Il perché dice lo ingenioso Poeta:
- Nuda il gignocchio al modo di Diana
- Cinta la veste, e cani ellanimali.
- Della preda secura adhotta, e inganna.
- Et anchora non altrimente ingannò il pastore Anchise, eccetto che in quel modo, che è aggradevole ad un huomo, che habitasse nella villa. Così anchor cantassi in un certo hinno da Homero, in che modo se rapresentò pur essa Venere avanti di detto Anchise, in effiggia e grandezza di Admeta vergine. Il perché ivi si ritrovano quelle parole greche, le quali hora le taccio.
- DICASTO
- Deh, per tua fede e gentilezza, sia contento di trasferirle in volgare.
- APISTIO
- Horsù dille in quel modo che facesti hieri, quando tu dicesti quell’altri pur greche nel nostro volgare.
- FRONIMO
- Non sempre è accordata la cetra, sicome si suole dire, per dovere suonare, né anche sempre succedenno piacevolmente e secondo il disio le cose fatte alla sproveduta e presontuosamente. Così nel trasferire il parlare greco in latino et in volgare non si debbe fare senza buon pensero et agevolezza di tempo.
- DICASTO
- Priegoti ch’el vogli hora trasferire giustamente se puoi; se anchora non puoi fare come vuoi, fa al meglio ti sia possibile.
- FRONIMO
- Io son contento, per non parere di esser ostinato. Così vuole dire:
- Ste’ Venere, nata del tonante Giove,
- Avanti di Anchise in forma e figura
- Simile a Adameta fanciulla pura.
- DICASTO
- Che cosa pensi tu volessi significare quella similitudine del Poeta?
- FRONIMO
- Non puoco il dimostrano quelle cose avanti precedono, et anche quelle che seguitano. Conciosia che addomandò colui che caminava solo discosto dalli suoi buoi, lo eccitò e svegliò con il splendore e con la gratia, e lo tirò a doversi maravigliare, fingendossi mortale; e così dipoi, havendoli raccontato la generatione e successione delli suoi antichi con longhe favole, lo condusse al fine alli lascivi piaceri.
- APISTIO
- Ho letto come feci Anchise la meritevole penitentia per dette cose, conciosia che fu percosso dal fulgore, e così ritrovo che gli fu annontiato qualmente così gli dovea intervenire. Il perché ritroviamo quel verso scritto in greco, lo quale hora hora così lo dirò in volgare, perché so vi serà molto aggrado. Lo adirato Giove fedisse con l’ardente fulgure. E benché dimostra ch’ello dovea esser percosso con tale pena e punitione per respetto del peccato chi era manifestato, non dimeno anchora inanti significa come colui serebbe punito dalli Dei, il quale desiderarebbe di vuolere havere amorosi piaceri e libidinose delettationi con essi Dei. Perilché con ingegnose e maravigliose favole fingono l’antichi qualmente per simili cose fussi uccisa Semele, figliuola di Cadmo, dallo fulgure. Né anchora sono contrario a Callimacho, in quella cosa che se narra di Tiresia Thebano, cioè che fu privato del vedere dalla dea Giunone perché havea havuto amorosi piaceri con Pallade, o almanco havea cercato di haverli, benché altramente lo racconta Ovidio. Vero è che Callimacho finge questa cosa con più honesto parlare, dicendo che così gli intervenesse perché vide Pallade ignuda.
- FRONIMO
- Che cosa ne havemo per questa favola?
- APISTIO
- Io te lo dirò. Havemo questo al mio parere: che io penso, o al manco dubito, che siano tutte queste cose e simulate e finte.
- FRONIMO
- Istima tu che apparesseno li demonii in quelli antichi tempi di quelli baroni di Troia e di Grecia, li quali demonii credo che, tu sendo christiano, siano fermamente da te tenuti essere una ria e malvagia schiatta e generatione de spiriti?
- APISTIO
- O si, si, fermamente lo credo.
- FRONIMO
- Deh, non ti rincresca di rispondere. Da chi procede che pare tu non vogli credere che quelli malvagi spinti desiderassino, et anche cercassino, di dare lascivi piaceri alle donne, in forma di huomini, et all’huomini in effigia di donne?
- APISTIO
- Deh, che è ben gran cosa questa da doverti rispondere. Io te lo dirò. Per ciò non lo credo, perché noi sapiamo qualmente non sono i demonii di carne né di ossa, come noi: il perché non si possono delettare in cotesti carnali piaceri.
- FRONIMO
- Egli è pur una gran cosa, Apistio, che tu non ti vuoi ramentare di quello che sovente havemo detto. Il perché se tu te lo ricordassi, non ti maravegliaresti, né anchor diresti quello che hora di’. Già spesse volte è stato detto come danno essi maladetti nemici de Iddio et delli huomini cotesti scelerati piaceri carnali alli huomeni et alle donne, non per delettatione che habbiano essi rei spiriti, ma solamente per ingannare gli huomeni, e conducerli ne’ peccati, et al fine nell’inferno, dove essi sono confinati in perpetuo.
- APISTIO
- Il mio Fronimo, ti prego, non ti turbare. Pur anche io ho un dubio: s’el non fussi per altro, eccetto che per tirare l’huomeni nelli peccati, non se direbbe che havessero havuto figliuoli, conciosia che sovente se leggi delli figliuoli delli Dei. Anche mi ricordo qualmente già, dui di fa, dicesti come era pur qualche fondamento delle favole. Perilché, se gli è qualche fondamento, de chi sono donque figliuoli quelli detti figliuoli delli Dei? perché li spiriti senza carne et ossa non possono generare.
- FRONIMO
- Cotesta non è puoca dubitatione, conciosia che, facendo Moises memoria, nel Genesis, delli figlioli di dio e delli figlioli dell’homini, furono alcuni che istimarono fussero significati per essi quelli piaceri carnali havuti fralli demonii e le donne; et altri, vuoleno siano significati li libidinosi piaceri, che haveano l’huomini della giusta generatione e stirpe di Seth colle femine della ingiusta generatione della schiata di Cain. Il perché, se alcuna volta se legge di qualchuno, che fusse detto figliuolo o di Giove o di Apolline, non però se debbe credere che costui veramente sia nato del sangue delli demonii, conciosia che non hanno sangue; ma se debbe istimare ch’el sia nato del seme di qualche huomo, da cui l’haveran pigliato. Serebbono assai cose da raccontare del modo de cui paiono essere generati gli figliuoli dalli demonii che hanno libidinosi piaceri colle donne: ma per non aggravare le orecchie del pudico lettore pare a me di tacerle nel parlar volgare. Anchor può esser che qualche volta quelli che sono stati reputati figlioli delli dei o delle dee siano stati rubbati sendo fanciullini dalle loro madre per i demonii, sendo anchor esse nel parto, et occultamente posti sotto di quelle donne che ingannaveno et le davano libidinosi piaceri, facendole parere che essi l’havessono generati di quelle. E così con doppia frode le ingannavano, cioè primieramente facendole parere che gli concepisseno e parturisceno e dipoi facendoli nudrigare in vece de suoi, sendo de altrui. Ma se pur fussi qualchuno che volesse dire che in verità fussero stati generati quelli chiamati dalla antichità figliuoli e figliuole delli dei e delle dee, e non esser stata frode in portarli, ma che così fussero generati dalli dei e dee, (benché credo che sia il falso, conciosia che conosco come sono assai cose favole), direi come furono generati del seme delli veri huomeni portati dalli demonii nel tempo della concettione, quando davano lascivi piaceri a quelle. E così in questo modo se defenderebbe da essi il nascimento di Enea nell’Asia e quello di Achille nella Grecia, li quali furono dignissimi huomini ne’ tempi heroici, o sia di quelli eccellenti baroni, così di Troia come della Grecia. Anchor se puotrebbe dire qualmente in questo modo concepì la reina Olimpia, moglie di Philippo, Alessandro Magno, nella Macedonia; e nella Italia la madre del grande Scipione Africano.
- DICASTO
- Il nostro Fronimo, certamente paiono coteste cose che tu hai raccontato molte semiglianti a quelle che narra santo Agostino.
- FRONIMO
- Dirotti anchor molto più avanti, come non solamente tiravano a se li demonii iniqui e scelerati le femine colli lascivi e carnali piaceri, ma anchor tentaveno l’huomeni del maladetto vitio della sodomia, colli maschi. Il perché facilmente era persuaso alli mortali cotesto sozzo e vergognoso amore de’ fanciulli coll’essempio de quelli, li quali erano tentati dalli demonii dicendo che pigliaveno il fiore di essi fanciulli. Hebbe questo vergognoso e scelerato vicio di contra natura primieramente origine dell’Asia, e de indi nella Grecia e nella Italia, e poi in puoco spatio di tempo intrò per insino nelli Celti, popoli della Gallia. Perilché non è dubbio che la captura e presa di Ganimede in Troia non sia antica, e non solamente è manifesto lo molto antico incendio e ruina con il fuogo di Sodoma, di Gomorra, e di quelle altre cittade della Asia, appo delli Christiani e delli Giudei, ma anchor è ramentato dalli Gentili. Fu primo authore appresso delli Thraci, così di questo puzzulento vitio come del culto et honore delli Dei, Orpheo, sendo andato di Asia nella Thracia. Vero è che sono alchuni altri che vuoleno fussi il primo inventore di esso sceleratissimo peccato, no Orpheo, ma Thamira. Fu già per cotal modo volgato e manifestato questo tanto sceleratissimo vitio, che era creduto dalli rei e malvaggi huomini che’l fussi licito. E così pareva appresso delli Celti che’l fusse senza verun punto di peccato, sì come dice Aristotele. Vero è, sicome crediamo che sia estinto e ruinato in quelli paesi per il beneficio della santissima fede di Christo, così maggiormente vi è stato in consuetudine appo delli Persi, per la già antica scelerità, e perché non vi è stata ferma la legge di messer Giesù Christo. Per la quale santissima legge conoscemo quello che è bono e che se debbe seguitare, e parimente intendemo quello che è malo e peccato, e che se debbe fugire. E così il demonio rio e perverso non solamente ritrovò quelli maladetti giuochi, e quelli scelerati piaceri carnali, per tirare a sé con simili piaceri quelle femine erano inclinate alla libidine, et anchor invitandole alla generatione delli figliuoli la natura, ma anchora ritrovò questa abominatione della sozza e sporca libidine contra natura. E non contento anchor di haverla solamente ritrovata, ma acciò maggiormente ne tirassi l’huomeni, anchor prometteva diversi premii a quelli che se fussero grandemente delettati et essercitati in essa. Il perché promesse ad alcuni la perpetua vita, cioè la immortalità, sicome fece a Ganimede. De cui racontano i libri qualmente crederono l’antichi, non manco impiamente che scioccamente, che’l fussi portato in cielo. Ad altri anchor promesse lo indivinare, sicome a Branco pastore. De cui dicono colle sue favole, che gli fu inspirato il vaticinio di Appelline.
- APISTIO
- Io ti priego, non narrare più di coteste cose, le quale sicome sono manifeste a me così sono maravigliose. Ma vorei intendere di quelle che sono occorse per altri tempi. Conciosia che credo siano poche cose occorse, perché io istimo che ben si può suonare la recolta, (sicome communamente se dice) quando se haverà trascorso dalli tempi heroici, cioè da quelli tempi quando furono quelli baroni et huomini riputati dei, e capitanii fortissimi, per insino a Scipione, perché credo non si ritrovano che siano più state simile cose.
- DICASTO
- Che cosa ditu? Tu debbe sapere come sono intervenute in ogni tempo et in ogni età qualche notabili cose.
- APISTIO
- Ma perché non si sano?
- DICASTO
- Assai ben sono manifeste, ma non imperò tutte.
- APISTIO
- Da chi procede, che non siano manifestate?
- DICASTO
- Per hora occorreno a me dua ragioni. Una è, che sendo scatiato il demonio, malegno nemico dell’huomo, dalla segnoria del mondo per forza del sangue e della trionfante morte di messer Giesù Christo, non così importunamente e publicamente colle sue illusioni inganna l’huomo. Perché sicome scacciato e bandito habita nelli luoghi nascosti e deserti, ma anticamente era adorato sotto specie di divinità. L’altra ragione è perché già istendeva le reti dello amore lascivo a tutte le generationi dell’huomini, ma hora sforzasi grandemente di pore li laciuoli solamente per pigliare due generationi d’huomini, cioè li ottimi e li pessimi. Io addomando ottimi quegli che se sono dedicati e consegrati ad Iddio con tutte le sue forze, havendo conculcato e sprezato tutte le delettationi e piaceri anchor honesti di questo mondo. E fa continuamente a questi aspera e crudele guerra. Ma sendo fatta questa guerra da nascosto et occultamente, non si manifesta veruna cosa di quelle, eccetto che alcuna volta per essempio e per salute delli altri. Poi io chiamo quell’altra generatione pessima, cioè quella delle streghe e delli stregoni, delli quali hora parlamo. Tu sai ben quante minacie e quanti tormenti sieno bisogno per cavarli fuori della bocca quelli suoi indiavolati amori e sceleratissimi piaceri. Il perché non parlano liberamente di quelli, e non li raccontano come sono, eccetto che colli suoi nefandissimi compagni del giuoco.
- APISTIO
- Dunque anchor istende la rete del lascivo amore il demonio alli santi huomini, et a quelli chi totalmente se sono avvotati a Dio?
- DICASTO
- Se tu havessi cognitione delle vite e dell’opere di quelli iscritte nelli libri, non haveresti punto di dubitatione. Ma acciò tu ne conosci qualche parte se più non l’haverai conosciuto, ti voglio pur raccontare alcune puoche cose di questi ottimi huomini e santi, cioè in che modo se sforzasse il demonio di doverli pigliare con la rete e laciuolo della libidine e lascivo amore. Narra Sulpitio Severo come fece ogni forza esso nemico dell’huomo per ingannare quello gloriosissimo vescovo santo Martino in figura di Giove, di Mercurio, di Pallade, e di Venere. Dimmi, il mio Apistio, non istimi tu che quando se fingeva de esser Giove, non gli promettesse delli reami e delle signorie? e che quando se dimostrava in effigia di Mercurio, che non gli prometesse la eloquentia, e la dottrina e cognitione di tutte le scientie humane? e quando se appresentava in similitudine di Pallade che non gli offeresse la sapientia e la prestantia nell’arte militare, la quale già haveva sprezzato e renunciato? Che cosa puo’ tu pensare gli promettesse sotto la figura della ingannatrice Venere? havendosi pinto le guance e le labra con la cerusa, cioè con un bello colore, e con il purpurisso, con lo quale tingono le femine le masselle con il bombagio, eccetto che dilettevoli e lascivi piaceri? Non pensi tu che fingesse di esser vestito de ricche robbe e vestimenti di diversi colori et havesse anche finto in questa imagine li vaghi e lusinghevoli occhi per tirarlo nel lascivo amore? et anchor che’l ragionasse de lascivi e libidinosi piaceri? Ti dirà Athanasio santo, con quanti varii modi tentò il malegno spirito quello glorioso abbate S. Antonio nel deserto, il quale Athanasio scrisse la vita e costumi di quello. Anchor è buon testimonio la fredda neve di quanto fuogo di libidine tentasse il serafico Franciesco, nella quale, acciò istinguesse lo incendio di esso, se gli getò dentro ignudo. Te insignarà anchor il cespuglio delle pungenti spine quanta delicatezza di amorosi piaceri presentasse avanti dell’occhi della mente del pudico e casto santo Benedetto, colle quale ritrovò il giovevole rimedio contro di tanta sozza cosa, cruciando la propria pelle del suo delicato corpo. Non crediati imperò ch’el manca di punto anche hora di tirare alcuni della turba e moltitudine nello pazzesco amore e volgari piaceri carnali, pur che veda di possere, ma anzi di continuo grandemente cerca con milli modi e con mille arti per conducerli nella sua malvagia e ria voglia.
- FRONIMO
- Vi voglio narrare una cosa intervenuta ne’ nostri giorni, a confermatione di quello che ha detto il nostro Dicasto. Ho conosciuto un huomo molto essercitato nella militia a piedi, il quale hammi ditto sovente di haver havuto piaceri libidinosi con il demonio, credendo che’l fussi una vera femina. E fu in cotesto modo, si come egli narrava, che era huomo semplice e senza malitia. Sendo esso nella Toscana e caminando per alcune sue occurrentie verso Pisa e venendo da un castello pur del Pisano, dovi havea perduto nel giuoco de’ dadi li danari, e così molto di mala voglia, lamentandosi delli santi et anchor de Iddio per la perduta di essi, eccoti vede seguitare dopo lui dui a cavallo, che parevano mercatanti e parevano che cavalcassino molto in fretta, dove a dietro di uno di essi sedeva in groppa del cavallo una femina, la quale, dimostrando di non potere più oltre stare a cavallo per la gran fretta che facevano, parvi che scendesse in terra. Hor costui, vedendola bella et anche sola, pigliandola per la mane caminavano insieme, e la invitò allo allogiamente seco quando serebono a Pisa, e così parvi che quella gratiosamente accetasse l’invito. E così pur oltra caminando insieme et anchor piacevolmente ragionando, tanto costui se infiammò di amore di lei, che senza verun freno della giusta ragione, e ciecamente chiedendola de piaceri dishonesti e quella consentendoli, ne divienne a quello che tanto pazzescamente brammava. Ma uditi cosa meravegliosa: come hebbe havuto li suoi scelerati disii e discosti da ogni ragione di huomo, ecco che incontenenti quasi tramortì e diviene tanto manco di animo, che giacque nel campo dovi havea commesso il sozzo peccato da sei hore come mezzo morto. Vero è che, sovragiungendo e’ suoi compagni che ne venevano dopo di lui da longhi, e ritrovandolo in cotal modo giacere sanza forze corporali, il portarono alla città, e fu sei mesi infermo, e gli cascarono tutti gli pelli dalla persona, e narrava come per tal modo vi fussero brugiate le calze nella soperficie disovra, come sel fussi stato il fuogo vero l’havesse brugiate. Dipoi diceva come se ricordava che quella femina, ma più presto quel diavolo in forma di femina, l’havea molto pregato che’l dovesse getare a terra una hasta teneva in mane, dovi vi era nella cima un ferro in forma di croce, cioè un spedo, sicome noi diciamo, promettendoli di darli una molto più bella lanza se gli ubidiva.
- APISTIO
- Molto mi ritrovo satisfatto quanto alli piaceri carnali procurati dalli demonii dal principio dell’antiquità.
- FRONIMO
- Hor voglio che tu intendi come ha il demonio questa usanza, per dover pigliare l’huomini, di usare ogni frodo nel conversare coll’huomini, sicome istendesse una rete per invilupparli. Il perché non solamente usa questo nelli piaceri carnali, ma anchor in tutte le altre familiaritade. Et acciò tu possi conoscere che’l sia vero, voglio hora comenzare dalle bataglie di Troia. Che pensi tu vuolesse significare quel dragone di altezza di sette gomiti tanto dimestico, che beveva con Aiace Locrese, et andavali avanti nelli viaggi demostrandoli la via? e così stava tanto dimesticamente con lui, sicome fussi stato un cagnuolo. Che cosa vogliono dimostrare le penne di Dedalo? e le ali del Pegasso? e tutte quell’altri cose annoverate fralli mostri delle favole? Et anche quelli tanti prodigii e miracoli delli philosophi? Che credi tu vuolesse dire quello tanto acelerato viaggio che fece Pythagora, andando e ritornando per una via molto longa da Italia per insino nella isola de Sicilia, in così puoco tempo? Come pensi tu puotesse caminare tanto spatio di paese così velocemente, sicome uno uccello, Empedocle? E in che modo istimi tu che andasse con tanta velocità, sicome la borea, Abaro sovra di una saeta di Appolline a visitare Pythagora? Di che luogo credi tu uscisse quella voce, che retirò Socrate ma non lo sforzò? Che vuol dire quel Genio e familiare spirito di Plotino? Che significa quella occa, che habitava tanto dimesticamente con Lacyde philosopho? E sicome sono puochi e’ philosophi in comparatione dell’altri huomeni, così anchor questo perverso nemico dell’huomo tirava molto più delli mortali nella voragine precipitosa della sporcha libidine, che li tentassi di vana gloria. E non solamente li tentava isteriormente e visibilmente, ma anchor sovente interiormente et invisibilmente. E se tu pensarai che puoco importa siano tentati l’huomini dal demonio di lascivia e di carnali piaceri o interiormente o vero isteriormente, te la saperà dire questa differentia santo Geronimo. Il quale chiaramente scrisse le vite di quelli santi heremite, dovi racconta le grandi tentationi patirono nel deserto dalli demonii, e cotesto fece per ammonitione di quelli doveano venire. Anchor non manco egli scrisse quelle grandi tentationi che’l sustenè, dicendo qualmente in una carne quasi morta solamente buglivano li incendii et asperi fuoghi della sozza libidine.
- APISTIO
- Dunque se affaticò anchor Venere, cioè il demonio, di vuoler combatere con santo Geronimo colli dardi della puzzolente libidine?
- FRONIMO
- E ben se sforzò di fare tutto quello puotè et anche non fece manco crudelle guerra con il glorioso pontifice Santo Martino, sotto questo nome di Venere, sicome racconta Severo dove descrive li laciuoli et istese reti da quello nemico in effigia di Venere. Ma che’l se dimostrasse a santo Geronimo visibilmente o vero il tentasse interiormente, non l’havemo chiaro. Vero è che credo tu habbi letto nelli antiquissimi authori delli Gentili, come havea consuetudine Venere di muovere l’huomini interiormente et anco isteriormente. Ma egli è ben vero che quando se representa alli occhi corporali è facile cosa da dover conoscere, ma quando solamente se dimostra nella imaginatione, et eccitta e muove li sentimenti interiori non sono così facilmente conosciuti da ogniuno li secreti tradimenti et astute insidie di quella. Il perché egli è detto nelli hinni di Orpheo Venere visibile et invisibile. Et anchora è detto che li amori uscisseno di quella feriscono l’anime colle intellettuali saete. Imperò dice Orpheo, in quell’altro hinno greco così in volgare nostro hora da me trasferito, apparente e non aparente, o vero paiono e non paiono. E pur anche in un altro hinno così scrive in greco quello che hora dirò volgarmente, vuolendo dimostrare che siano percosso l’anime colli intelletuali dardi, queste fedisseno l’anime colle intellettuali saete. Anchor se vedono quelli versi di Procolo platonico nell’hinno fatto alla licia Venere in greco via via da me così in volgare tradotti, acciò si manifestano le intellettuali nozze: Havendo inditio delle intellettuali nozze e delli intellettuali hymenei, cioè delli intellettuali Dei delle nozze.
- APISTIO
- Dice Apulegio che quello spirito, il quale conversava tanto dimesticamente con Socrate, era dio e non il demonio.
- FRONIMO
- Ma pel contrario scrive il Plutarco et anco Massimo Tirio chiamandolo il demonio. De cui uno di essi ne ha scritto un libro, e l’altro dui. Per qual cagione se dice che un’altro demonio pigliasse il patrocinio e governo di Platone o di Zenone o ver di Diogene? Perché fu un’altro demonio molto domestico di Plotino? In verità vi dico che questo facevano per inganarli. Sono tutte menzogne quelle che dicono alcuni, come sono varie le nature del demonio, cioè che alcuni di essi se delettano di governare le cittade, e le cose domestice e familiari, et altri volentieri se occupano nelle cose rusticane e della villa, et alquanti allegramente se intromettono nell’opre della terra, et anchora sono reputati molti che habbino cura delle cose marinesche. Sono tutte coteste cose, e l’altri simili, sonnii delli sciocchi e pazzi gentili e pagani, propriamente semili a quelli, narrati da alchuni favolescamente, qualmente alquanti di quelli se essercitaveno nella medicina, et altri haveano cura e governo delli navighevoli legni e delli governatori di essi, e che alquanti erano sovrastanti al divinare, e non puochi alle leggi, et altri allo essercitarsi nell’armi della battaglia. Il perché favolescamente narraveno che inspirasse per li sonnii la medicina Esculapio e Podalirio, e che fussero sovrastanti alle procellose onde e tempeste del mare li Dioscuri, cioè Castore e Poluce figliuoli di Giove. Et anchor dicevano che essercitasseno le opere della guerra dopo la morte Rhesso et Achille, et inanti li tempi di Troia, Theseo; vero è che raccontaveno che quelli primi nascostamente essercitaveno l’arme, ma questo ultimo apertamente e nell’ampio campo. Raccontasi anchor per fama che combattesse nelli campi e pianura di Marathono la effigia di Theseo per li Atheniesi contra delli Medi, e questo anche scrisse il Plutarcho. Deh, vedi una gran pazzia. Credevano costoro che li demoni fussero l’anime separate dalli corpi. Il perché dicevano, che Asculapio medicava, Minone e Rhadamanto giudicava, scacciava le gragnuole e tempeste li Dioscuri o sia Castore e Polluce. Divinava Amphilocho, Mopso, Orpheo, e Trophonio; e le battaglie e guerre trattava Rheso, Achille e Theseo. Di tutte coteste cose era authore il demonio. Et acciò li fussero prestate l’orecchie e dato fede, e così maggiormente fussero tirati l’huomini, e gli facessino li sagrificii, sicome all’anime delli baroni, signori et eccellenti huomini, con una certa vana speranza, fingevano tutte queste cose. Dalle quali superstitioni et inganni non furono contrarii Platone et Aristotele, e maggiormente scrivendo li libri delle publice leggi, e disputando delle institutioni et arti civili e cittadinesche. Anchor è cosa publica, come ne’ nostri giorni son stato tenuti e portati delli demonii nelle guastade, o siano vasi di vetro, e nelle annelli, et in altre cose, et anchor come quelli nemici dell’huomini hanno dato resposte per il ventre, per la cossa, et altri membri delli mortali, sicome dal spirito di Pythia o di Apolline, acciò possemo facilmente conoscere come il scelerato nemico de Dio e dell’humana generatione ha pensato in diversi tempi diverse vie e modi de ingannare l’huomo, sotto specie di familiarità.
- APISTIO
- In verità così anche io istimo.
- DICASTO
- Non dubitare, ma sia pur di buona voglia, conciosia che a puoco a puoco ne verai nella nostra ferma oppenione e vera sententia.
- APISTIO
- Ma non già in questo modo. Ma egli è ben vero che mi lasso conducere dalle ragioni e dalli testimonii.
- DICASTO
- Vieni qui, strega, e sappia come sei costretta con quel medemo giuramento, che eri avanti: e sappia qualmente in brievi serai punita con il nostro fuogo, e dipoi incontinenti con quell’altro che mai non mancarà, se tu mentirai in punto di quello che te interrogarò del vostro maledetto giuoco.
- STREGA
- I’ lo so, e non ho verun dubbio in questa cosa.
- DICASTO
- Dimmi. Magnati e beveti colà al giuoco vostro scelerato? Vero è che, quanto alli piaceri carnali, assai siamo satisfatto. E così più non bisogna di addimandartine.
- STREGA
- Si mangiava là in quel medemo modo e beveva, come era consueto di mangiare in casa con il mio marito e con li miei figliuoli.
- FRONIMO
- Hieri ti proposi Apistio in essempio quella Mensa del Sole cotanto nominata e ramentata da Herodoto e da Solino, et anchor da Pomponio Mela. Il perché tu debbe sappere qualmente il demonio astuto ne tira assai delli poveri e del rozzo volgo, colli piaceri della gola, oltro della speranza e promissioni delle delettationi carnali. Che cosa possemo istimare vuolessino significare quelle carni poste sovra dell’antidetta Mensa del Sole, de cui ne fa mentione santo Geronimo, scrivendo a Paulino, sicome di una cosa molto volgata e molto maravegliosa? Ma chi cosa fusse non lo chiarisse, né anchor dice che uscisseno le ditte carni fuori della terra, né che salisceno sovra di essa mensa, benché lo dica Herodoto. Vero è che Pomponio Mela e Gaio Solino dicono che erano divinamente portate ditte carni. Ma chi è colui di così rozzo ingegno, che non advertisca come fussero quelle vivande e cibi lusinghevoli inganni da ingannare il gusto della ignorante turba? Et anche chi è colui di così puoco discorso, il quale veda Solino contrario ad Herodoto, et il Mela contrario di Solino, che non conosca come variamente è dimostrata questa superstitione: conciosia che quello scriva, qualmente erano ivi poste le carni nel prato appo della città dal magistrato nella oscura notte, che se mangiaveno nel giorno, e che dipoi era detto da quelli del paese fussero uscite fuori della terra? Egli è ben vero che dice Solino come è quella mensa in un luogo dell’ombre, et è sempre apparecchiata abondantemente di lauti, dolci, et aggradevoli cibi et vivande, delle quali ne può mangiare ciascun che vuole et a tutta sua voglia, e benché ne siano mangiate in gran copia da quelli che ne vuoleno, non dimeno imperò non mai mancano, ma sempre ivi crescono divinamente. Ma Pomponio non dice pur una menoma parola, dove si sia questa mensa, o apreso della città overo nella oscura carcere, eccetto che dice come divinamente ivi nascono li cibi. E benché cotesti scrittori non convienono insieme in ogni cosa, pur imperò egli è fermamente da tutti quelli tenuto senza contrarietà, come è una maravegliosa cosa, et anzi divina l’antidetto Convito del Sole. Il che è molto convenevole con questo di Diana, sorella di Phebo, o del Sole, sicome egli dicevano. Anchora istimo non essere puoco a nostro proposito quello che racconta Pomponio Mela nella Descritione del Mondo, cioè che se ritrova un luogo dovi continuamente rispiandono grandi fuoghi nella oscura notte, et paiono esser ivi quasi esserciti di soldati che occupano ampio paese, et ivi siano fermati, suonando cimbali, tamburini, flauti e trombe, che paiono molto maggiore de quelli che usano l’huomini. Dimostravano anchora una similitudine di convito, l’incantamenti e magiche opere de Olisse, sendo sparso il sangue in torno in torno. Nel quale luogo vi venevono li Demonii, et si demostravano in diverse et varie figure. In qual modo diceva il Vinitore, che conversassi l’anima di Olisse cavata da Homero, coll’ombre et imagini di Protesilao e delli altri baroni, sicome dice Philostrato. Ma hora le scelerate e maladette streghe e stregoni de’ nostri tempi cavano il sangue dalli fanciullini, e per maggior parte lo conservano nelli vasi, per fare quel maladetto unguento. E ben che paiono coteste cose assai sofficienti, per haver narrato il detto convito, non dimeno imperò voglio anchor soggiungere la Mensa di Achille.
- APISTIO
- Che cosa serà mo’ questa? stiammo pur ad udire.
- FRONIMO
- Non ti maravigliare. Et anchora ti priego non vogli sprezzare quello che voglio narrare, conciosia che non fingo veruna cosa. Il perché se non mi vuoi credere, addimandalo tu a Massimo Tirio. Il che se tu farai, te lo raccontarà, ma anzi te lo dimostrarà colle sue carte scritte, cioè ti narrarà di una certa cosa iscritta per molti secoli, cioè avanti di mille anni, come ne’ suoi tempi fu manifesta la Mensa di Achille, che era molto simile a quella delle streghe, dovi dicono che hora vi seggiono, mangiono e beveno.
- APISTIO
- Il mio Fronimo, io credo alle tue parole.
- FRONIMO
- Pur quando anchor non mi vuolesti credere, io ti mostrarebbi il libro dell’antidetto authore e greco et anche latino, che è apresso di me. Nel quale anchor vi è scritto di una certa isola del mare Eussino, dovi è il tempio di Achille. Nella quale sovente è stato veduto da lui esso Achille che ha fatto convito a quelli huomini ivi andavano, e che ha conosciuto Patroclo figliuolo di Thete, et altri demonii e (sicome egli dice) li chori delli demonii, cioè le moltitudini di essi, et ancho have veduto li Dioscuri che danno agiutorio alle navi che pericolavono, acciò io lasci di ramentare quello che esso scrisse, come era consuetudine di esser veduto nello Ilio le forze di Hettore. Ma coteste cose non pertengono al convito delle Lemuri.
- APISTIO
- Non pareno queste cose molto discosto dal convito di Nereo e dell’oceano, delli quali ne fanno memoria diversi poeti.
- FRONIMO
- Pensò il maligno et astuto nemico dell’huomo cotesti velenati conviti, acciò privasse l’huomo dello eccellentissimo convito di Christo, che ha apparecchiato sovra della mensa sua nel suo reamo. Ma hora, vi voglio raccontare non un convito finto e scritto dalli Poeti, ma una maravegliosa cosa già puochi anni passati a mi narrata da un grande huomo, ornato così di eccellente dignità, come di dovitia e di ricchezze. Fu un buon sacerdote nelle Alpi Rhetie, cioè di Germania, già dodici anni fa, il quale dovendo portare il sagrosanto viatico del corpo di messer Giesù Christo ad uno gravemente infermo et essendoli molto discosto, e vedendo di non poterlo così presto portare caminando a piedi, sicome era il bisogno, salì su il cavallo, e legossi al collo in una assai honorevole cassetta di legno il santissimo sagramento, e comenzò assai in freta di caminare, per satisfare al debito suo. Hor sendo alquanto caminato, se gli fece incontra uno che lo invitò a sciendere giù del cavallo et andare con lui per vedere uno maraveglioso spettacolo. Il che imprudentemente egli facendo, per vedere cotesta curiosa cosa, come fu scieso, ecco incontinenti sentì di esser portato per aria insieme con colui che l’havea invitato, et in puoco spatio di tempo se vedì porre sovra la cima di un altissimo monte, dovi era una molto ampia et amenevole pianura, intorniata da altissimi alberi, e con spaventevoli ruppi serrata. Nel mezzo de cui vi si vedevano diversi e varii balli, et ancho tutte le maniere de’ giuochi, colle mense apparecchiate di lauti e diversi cibi, et anche se udivano tutte le generationi de suoni e di delettevoli canti, con ogni dolcezza e trastullo e brievemente sentevasi et udevasi tutte quelle cose, le quali suoleno rallegrare li anime dell’huomini. Del che molto maravegliandosi il buon e semplice sacerdote, e pur non havendo ardimento di parlare per la gran maraveglia, e sendo mezzo fuori di se istesso, gli fu chieduto dal compagno che l’havea condotto quivi, se vuoleva adorare e fare riverentia alla Madonna che era ivi, et ufferirli qualche duono, secondo che facevano l’altri. Era a sedere nel mezzo una bellissima Reina ricamente vestita, sovra di una reale segge, a cui se presentava ciascun a duoi a duoi, o a quattro a quattro, con vario ordine a reverirla e ad adorarla, presentandoli diversi duoni. Hor udendo costui ramentare la Madonna e vedendola ornata di tanto spiandor e da tanti sergenti servita, istimò, che la fussi la gloriosa madre di Dio e Reina del cielo e della terra, conciosia che non sapeva, che coteste cose fussero inventioni e ritrovi delli demonii: il perché, se lo havesse istimato, non vi serebbe andato. Hora fra se ben pensando che cosa gli dovesse presentare, pensò di non puoterle offerire più aggradevole presente alla madre, che il corpo sagratissimo del suo unigenito figliuolo, e così andò dove sedeva quella, et adorolla inginocchiandosi alli piedi, e dipoi, levandosi dal collo la cassetta dove era il sagratissimo corpo di misser Giesù Christo, divotamente vi la pose nel gremio. Odi cosa meravigliosa: ecco che incontinenti, come la hebbe posta sovra del gremio di quella Reina, così presto sparui la segge di oro e la Reina eravi su, con tutta quella moltitudine et con ogni cosa che pareva ivi, e più non fu veduto pur un puoco di vestigio di quelli, né delli conviti, né delli giuochi, né apparvi quello che fusse fatto del compagno. Hor conoscendo il semplizzotto prete come fusse stata questa cosa opera del Demonio, tutto smarrito e mezzo fuori di se stesso, comentiò di pregare Iddio, che non lo abbandonasse in quelli silvestri luoghi, privi di ogni habitatione de mortali. E così, girando hor indi e quindi l’occhi, andando mo’ qui, mo’ lì per quelli aspri luoghi per vedere se puoteva ritrovare qualche vestigio di huomini, acciò puotesse intendere dove fusse, e ritrovandosi sempre in maggiori ruine e boschi e selve, al fin pur tanto camino per quelle precipitose ruppi, che dopo molto longa fatica e dopo longo spatio di tempo con gravi affanni, ritrovò un pastore, da cui intese, come era discosto da quel luogo dove andava a portare il corpo di Christo da circa cento miglia. Poi che fu ritornato con gran strachezza alla sua habitatione, andò dal magistrato di Massimiliano Imperatore e raccontoli il tutto per ordine, sicome hora io ho narrato. Ma che coteste cose posson essere fatte dal demonio, te lo dirano li theologgi, li quali mostrano come la natura delli corpi è ubbediente alla volontà delle sostantie separate dalla materia, quanto imperò partente al movere da luogo a luogo. Anchora puotrai intendere assai essempii delli corpi humani portati per aria, da luogo a luogo, se tu vuorai, dalli libri di frate Arrigo et di frate Giacopo Thodeschi, eccellenti theologgi dell’ordine de Frati Predicatori, chiamati Il maltello, lo quale fecero, confirmandolo con assai testimonii di molte cose che essi videnno colli proprii occhi. Lo quale maltello puotrai havere, se tu lo vuoi usare contro di quelli, che sono duri, e non vogliono credere il vero, accioché tu li pieghi a dover credere quello che sono ubbrigati, overo li spacchi in cento migliara de pezzi.
- APISTIO
- Certamente ho udito una maravigliosa cosa, la quale non può offuscare la nera notte, né ancho se può dire che fusse un sonnio, né che sia suta confessata per paura, overo per martorio o per qualche altra finta cagione. Ma vorebbi intendere da che puote procedere che sparissino tutte quelle cose nel toccare di quella hostia sagrata, conciosia che li demonii non solamente non temano il toccare di quella, ma ancho cercano e comandano che siano portate assai di quelle al giuoco, e dipoi ne fanno gettare in terra con grandi scherni, e li fanno dare sovra delli piedi, e li fan fare tutte quelle vergogne si posson fare, sicome disovra ha narrato la strega.
- DICASTO
- Tu non ti debbi per questo maravegliare, conciosia che sapiamo come se spaventano e’ demonii per il segno della santissima croce, e nondimeno anchora qualche volta appariscono in figura di Christo crocifisso, acciò più facilmente posson ingannare l’huomeni. In verità ti dico che tu non ti maravegliaresti se tu havessi letto le opere e la vita di santo Martino, e di s. Francesco e di molti altri santi, e se ancho tu havessi ben essaminato come messer Giesù Christo, sendo anchor in questa mortale carne, il quale scatiava li demonii, si lasciò tentare ad esso demonio, e gli permesse che lo portasse sovra del pinnacolo del tempio, e de indi poi sovra del monte, et anche permesse maggior cosa, cioè che fusse maltrattato da quelli perfidi Giudei servi del demonio e tormentato et ultimamente crocifisso. Oltre de ciò, tu presupponi che le streghe narrano che li demonii conculcano, e diano delli piedi sovra delle hostie consegrate, ma non è così, conciosia che non fanno cotesto li demonii, ma è ben vero che lo fa questo la malegnità dell’huomini, a suggestione di essi demonii. Anchora credo che così come fa la fede insieme con la riverentia che fanno l’huomini in essa santissima croce, e nella sagrosanta hostia consagrata, che il maladetto demonio se ne fugge, così anchor vi facci fare tanti vituperii esso per la gran malitia de essi e per il vituperio li fanno. Ma quanto al semplicetto prete, credo che fussi la semplicità di quello cagione che sparessino tutti quelli apparecchiamenti e tutte quell’altri cose, e maggiormente la forza della fede fece che non solamente non fu ingannato in suo danno, ma anchor fece che fu perservato, acciò puotesse narrare alli altri e dechiarare come quella cosa, de cui hora pariamo, che pareva esser molto dubiosa, cioè se le streghe e stregoni vano al giuoco con il corpo o vero solamente con la fantasia et imaginatione, overo se vi possono andare, può esser vera, et è vera e non una imaginatione. Anchor permette alcuna volta la possanza de Iddio, che sia schernito il sagramento e la croce e l’altri cose divine et alcuna volta no: segondo che a lui pare. E perché lo fa, se può sempre dare qualche ragione in generale, ma non se può imperò sempre isplicare in particolare, conciosia che è tanto rozzo e grosso l’occhio dell’intelletto nostro a dovere investigare li secreti della divina magiestà.
- APISTIO
- Hormai son satisfatto con queste ragioni e ritrovomi contento, sendo uscito delle nere et oscure caverne delle dubitationi.
- FRONIMO
- Ben vedi se tu hai altro dubbio, e sù presto chiede la chiarezza a Dicasto, perché già gli molto possenti e veloci cavalli quasi hanno tirato il carro del sole appo del suo segno, quanto al nostro hemispherio: acciò non bisognasi poi remanere qui cotesta notte, sendo serate le porte del castello. Il perché staressimo molto male agevoli, questa notte dell’inverno, in cotesto monastero a pena comenzato, dovi non si ritrova ancor verun letto.
- APISTIO
- A mi pare che non ci sia altro da chiedere, eccetto che delli venificii o siano incanti.
- DICASTO
- Di che cosa dubiti?
- APISTIO
- Se sono fatti veramente o pur che paiono esser fatti solamente con la imaginatione. Conciosia che assai ha manifestato la forza della divina giusticia, sempre giusta e non sempre conosciuta, perché Iddio alcuna volta permette, se pur se fanno, et alcuna volta il prohibisca.
- FRONIMO
- Non te ricordi di Lucio samosateno, e di Lucio madaureso?
- APISTIO
- Si ben. Et ancho mi ricordo di avere alcuna volta letto dette cose, et anche già duoi giorni fa le ho udito ramentare a te. Ma egli è ben vero che dubito assai non siano favole e che in verità non fussero fatte così quelle cose che se narrano in quel Asino greco et anche latino.
- FRONIMO
- Così come io non dubito che siano assai cose finte, e molto più di quello che so et anchor, se pur così vuoi, che siano tutte quelle cose che sono ne’ detti libri favole et imaginationi, così anche credo che dette favole e fittioni siano cavate da qualche vero fondamento. Conciosia che il nostro divo Aurelio Agostino istimò che quelle trasformationi e tramutationi iscritte da Varrone, cioè delli augelli di Diomede, delle bestie di Circe e delli lupi di Archadia, pigliassono origine e principio da qualche cosa vera. Et anchor racconta nel decimo ottavo libro della Città di Dio, come era usanza ne’ tempi suoi di fare molte cose assai simili a quelle che narra o vero finge Apulegio. Vero è che dice come gli demonii non possono fare veruna cosa con la forza della sua natura, se non la permette Iddio. Li occolti giudicii di cui, sono infiniti, e non vi si ritrova imperò verun di essi ingiusto. Il perché, se pare che li demonii faciono qualche cosa simile a quelle che ha creato l’omnipotente e vero Iddio, e che pare che mutano una specie di uno animale in un’altra, o vero tramutano una creatura in un’altra, non è vero che così sia; ma è ben vero che così fa apparere, o vero imprimendo dette specie e figure finte nell’imaginatione e fantasia, o vero mettendo avanti li occhi corporali un’altra finta specie e figura. E così qualche volta parerà a colui che ha conturbata la fantasia, di esser una cosa in luogo di un’altra, et il simile parerà all’altri; nondimeno serà imperò quel medemo, o vero gli preporà una similitudine avanti l’occhi, la quale di continuo gli farà parere essere così, e così crederà di esser veduto anche dall’altri. E cotesta non è gran meraveglia, perché se un corpo può ingannare li sentimenti corporali e farli parere una cosa altrimento di quelo che è, sicome vediamo che fa il vietro, il quale imprime quel suo colore nell’occhio per cotal modo che fa parere tutte l’altre cose simile a sé nel colore benché siano altrimento in sé colorate; quanto maggiormente i spiriti ignudi da ogni corpo, cioè li demonii, puotrano conturbare la fantasia et ingannare l’occhi e l’altri sentimenti delle creature inferiori? E così, in cotesto modo, istimarai fussero quelle opere di quei asini, e di quella specie di quello prestante cavallo che portava li grandi pesi, la disputatione del philosopho che disputava senza corpo le cose di Platone, le astute opere delli lupi di Arcadia, e li versi di Circe che trasformarono li compagni di Olisse. E così tutte coteste cose se debbono attribuire al spirito imaginario, overo alla fantasia, che così era ingannata, a cui pareva essere quella cosa che non era. Il simile anchor diremo della cerva in vece de Iphigenia, e li augelli in vece delli compagni di Olisse: cioè, che fussero poste simili imagini e figure dalli demonii avanti l’occhi dell’huomini, o pur anche forsi vi fussi posta una vera cerva et anche veri augelli, non vi apparendo Iphigenia né li compagni di Olisse, o sendo ivi presente o vero portati in altri luoghi.
- DICASTO
- O quanto ben, e quanto brievemente hai tu raccontato quelle cose di santo Agostino, e non manco vere, sicome io istimo. Egli è ferma conclusione tenuta dalli theologgi qualmente sono soggietti naturalmente i sentimenti dell’huomini e la imaginatione e fantasia, alla possanza delli demonii, perché sono essi sentimenti e imaginatione, inferiori e manco nobili di dette sostantie separate e prive di ogni corpo, e così, sendo più nobili, gli sono soggiette queste cose men nobili. Il perché anchor voglio narrare alcune verissime cose, a cotesto proposito, per confermare quello che havemo detto. Egli è raccontato nelle Vite de’ santi Padri, come fu acconciata una giovene per incanti in cotal modo che pareva una sfrenata cavalla. Il perché sendo presentata avanti di santo Machario, per le orationi di esso fu levato davanti l’occhi di ciascun quel prestigio e quella illusione del demonio, e così pareva in quel modo sicome era in verità. Puotè il demonio commovere li interiori sentimenti a molti, alli quali pareva fussi altrimente quella meschina giovine di quello che era, ma non puotè movere imperò essi sentimenti interiori di santo Machario, fortificati principalmente con lo adiutorio di Iddio, a farli parere quello che non era. Anchor non astregneva la finta figura di quel huomo, che pareva uno asino nella città di Salamina della isola di Cipro, li occhi di ciascun che lo vedeva da istimare che’l fusse un asino, eccetto di quella donna maga et incantatrice, la quale gli havea per tal modo conturbato la fantasia colli suoi maleficii, che anche a lui pareva di esser doventato uno asino, e così portava le legna in vece di giumento. Vero è che fu agiutato per prudentia di alcuni mercatanti genovesi, li quali vedendolo inginocchiare e prostrare in terra avanti la porta della chiesa per fare riverentia ed adorare Iddio, istimarono che quello non fusse una vera bestia, e così cercarono di agiutarlo e di fare portare la meritevole pena alla incantatrice. In verità vi dico che possono fare li malegni demonii apparere molte cose altrimenti di quelle che sono, e possono movere molte cose e rappresentarle nella fantasia, e fare parere una cosa in altro modo di quello che è et anchora fare il simile nelli corporali sentimenti, in un medesimo huomo. Oltro di ciò, occorre che sono ingannati li occhi di quelli che vedono, et ancho è conturbato l’occhio della mente, sendo mossa la imaginatione. Anchor, sicome già avanti dicessimo, può esser portato il corpo per diversi luoghi. Il perché interviene che quelli, li quali non ben e sollicitamente essaminano queste cose a parte per parte, facilmente sono ingannati, e così, non ben chiaramente considerando li libri delli dotti e litterati huomini, non posson drittamente giudicare quanta differentia è fralle cose create e quelle che uscisseno da qualche natura delle creature, e fra quello che è intiero e quello che è parte, e fra il vero e quello che è simile al vero, e quello che dimostra la sua imagine e quello che dimostra quella d’altrui. E non ben pesano con la giusta bilanza la forza di tutta la natura, né la possanza delli demonii. Et al fine ancho non considerano li giudicii de Iddio, li quali spesse volte sono occultissimi a noi, ma imperò sempre sono fatti con somma giustitia.
- FRONIMO
- Hormai se appropinqua la sera e già comencia di apparere la oscura notte, il perché l’hora tarda ci invita di ritornare a casa. Sicché, Apistio, se non sei satisfatto per questa nostra longa disputatione, non posso più veder che cosa dobbian fare acciò possi esser contento. Conciosia che tu hai possuto conoscere come questo maladetto et iscommunicato giuoco non è fittione né favola, così per li libri dell’antichi, come per l’opere fatte ne’ tempi nostri; e come egli è in sostantia antichissimo e nuovo per molte conditioni; et che è stato mutato secondo la maligna e perversa volontà delli demonii, e forsi anchor lo mutarà, perché è tanta la astutia e suttilità di esso iniquo ingannatore dell’huomini, che continuamente cerca nuovi modi da posser ingannare noi. Ho dimostrato a te li cerchi, li unguenti, le parole magiche et incanti, li viaggi per li grandi spatii dell’aria, li lascivi e libidinosi piaceri delli demonii, che si sono ritrovati così ne’ tempi nostri, come ne’ tempi delli baroni antichi. Et ho dimostrato qualmente pensarono li perversi demonii di dover calonniare e vituperare l’humana generatione dalla prima antiquità, cioè dal primo huomo, per infino ad hora. E come ha ingannato l’huomo colle sue resposte, colli ragionamenti, con la familiarità e dimestichezza, e come ha cercato per ogni via e modo di ingannare ogni sesso et ogni età colli simulacri e varie imagini, et che se è sforzato di usurpare la divinità e farsi adorare come Dio, et che ha fatto nuocevoli conviti alli mortali, et che li ha portato a similitudine di un giumento che habbia le ali, e come ha desiderato di haver li sceleratissimi piaceri carnali colli huomini. Ma perché io ti veggio hora molto stracco per tanto viaggio che hai fatto con l’animo tuo in diverse regioni e paesi della Italia, della Sicilia, et oltro del Ionio mare, e dello Eusino, et anchor perché te ho condotto colli miei ragionamenti nell’Africa, nell’Asia, e per infino alli Hiperborei Monti, e dovi non ti ho condotto? Il perché serà homai tempo ne debbi ritornare meco a casa.
- APISTIO
- Tu di’ il vero, sì ben hormai è hora. E così teco ne vengo, e molto satisfato.
- DICASTO
- Sei tu dunque contento di quello che havemo detto? Et in verità ne vieni nella nostra oppenione?
- APISTIO
- Sì, certamente son contento, et in verità vi dico, che credo quello che è stato detto.
- DICASTO
- Di’ tu pur da dovero, o per giuoco?
- APISTIO
- Può esser questo, Dicasto, che tu istimi che io dica quello per iscrizo e giuoco, che ha creduto tutta la antiquità e tutta anchor la posterità? Io dico quello, che ancho confermano colli isperimenti et essempii li poeti, oratori, historici, leggisti, philosophi, theologgi, l’huomini prudenti, li soldati, li rustici e contadini; benché se ritrovano alcuni savioli, li quali, riputandosi più dotti e savii di tutti l’altri, che questo niegano.
- DICASTO
- Dunque, sicome io vedo, tu hai mutato oppenione?
- APISTIO
- Che bisogna più affirmarlo? Già te l’ho detto. E così, perché io ho vestito l’animo mio di un altro habito e vesta, e pare a me di haver ritrovato la verità di quello che prima non credevo in questa cosa, giacendo nella nera et oscura tenebra della ignorantia e della falsità, desidero grandemente di mutare il nome e di pigliarne un altro convenevole a questo nuovo habito, de cui hora son vestito.
- DICASTO
- Molto mi piace. E così, per satisfare alla tua honesta voglia, ti darò un nome conveniente sì come addimandi. Dunque, per lo avenire serai chiamato Pistico.
- APISTIO
- O quanto a mi piace questo nome. Hora così per ogni modo voglio esser chiamato.
- FRONIMO
- Se più non ci resta cosa alcuna de cui tu habbi desiderio de intendere, egli è hora che ci partiamo, con buona licentia del Reverendo Padre Inquisitore, e che presto presto retorniamo al castello. Il perché, vale, reverendo padre.
- DICASTO
- Ite in pace.
FINIS