Li pericoli der temporale

Giuseppe Gioachino Belli

1835 Indice:Sonetti romaneschi IV.djvu sonetti letteratura Li pericoli der temporale Intestazione 17 marzo 2024 75% Da definire

Li portroni L'arrampichino
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LI PERICOLI DER TEMPORALE.

     Santus Deo, Santusfòrtisi,[1] che scrocchio![2]
Serra, serra li vetri, Rosalia;
Ché, ssarv’oggnuno, viè una porcheria,[3]
Te sfraggne,[4] nun zia mai,[5] com’un pidocchio.

     Puro[6] lo sai quer ch’aricconta zia
Ch’assuccèsse a la nonna der facocchio,
Ch’arrivò un tono e la pijjò in un occhio,
Che mmanco poté ddì ggesummaria.

     E la soscera[7] morta de Sirvestra?
Stava affacciata; e cquella je disceva:
“Presto, ché ss’arifredda la minestra.„

     E vvedenno[8] che llei nun ze[9] moveva,
L’aggnéde[10] a stuzzicà ssu la finestra...
Cascò in cennere[11] llì cco cquanto aveva!

13 gennaio 1835.

Note

  1. Sanctus Deus, Sanctus Fortis, etc.: trisagio angelico che si recita, segnandosi, al balenare, o allo scoppiar del tuono.
  2. Quasi croccamento: lo scoppio elettrico.
  3. Fulmine. La plebe ha ripugnanza di chiamarlo col suo nome.
  4. T’infrange.
  5. Non sia mai.
  6. Pure.
  7. Suocera.
  8. Vedendo.
  9. Non si.
  10. L’andò.
  11. Crede il nostro popolo che il fulmine passando presso una persona, la incenerisca, lasciandole nulladimeno tutte le forme del corpo e delle vesti, che si dissolvano poi al minimo urto.