Li dilettanti del lotto

Giuseppe Gioachino Belli

1837 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura Li dilettanti del lotto Intestazione 27 marzo 2024 100% Da definire

Oggni uscellaccio trova er zu' nido Li gatti dell'appiggionante
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837

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LI DILETTANTI DEL LOTTO.

1.

     Ma cch’asstrazzione![1] arrabbieli! saette!
Guasi sce ggiurerìa[2] che sto scontento[3]
O le mi’ palle nu’ le mette drento,
O cche le sa scanzà ssi cce le mette.

     Giuco da un anno due, tre e ottantasette,
Co la promessa amb’uno e terno scento:[4]
Ciaffògo[5] sempre er mi’ lustrin[6] d’argento;
E cquanno sémo llì nnun vinco un ette.

     Quattro nummeri drent’a la ventina!
Eppoi nun dite so’ ccose accordate!
Dar capo viè la tiggna,[7] Caterina.

     Ecchele cqua: ccinquantadu’ ggiucate
Senza un nummero. Eppuro la cartina
Cór terno scritto me la diede er frate![8]

25Fonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte febbraio 1837.


Note

  1. Che estrazione!
  2. Ci giurerei.
  3. [Sgarbato, malcreato.]
  4. La promessa è la indicazione che si fa sulla schedola della giuocata, della cifra della vincita corrispondente al valor della posta. Ambo uno promette uno scudo: terno cento promette cento scudi: ma v’è poi l’augumento del venti per cento agli ambi e dell’ottanta ai terni.
  5. Ci affogo.
  6. Mezzo paolo. [Cioè, poco più di venticinque centesimi.]
  7. Proverbio.
  8. I frati, massimamente i francescani mendicanti, hanno grande riputazione di maghi.
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2.

     Ch’hai ggiucato? — Ottantuno pe’ ssiconno.[1]
Bbono: me piasce. Io sce ll’ho ddrent’a un terno
E a ’n ambo; e pprima che ffinischi inverno,
Nun c’è ccaso, ha da usscì, ccascassi er monno.[2]

     La figura de nove,[3] sor Rimonno,
Ha da fà st’anno sospirà er Governo.
Vedi ch’er ventisette lo chiudérno[4]
Pe’ Ffiorenza, e ppe’ Rroma l’arivònno?[5]

     Te sbajji,[6] Checco[7] mio: quello è er zimpatico
De l’antr’anno: pe cquesto è er discidotto.
De ste regole cqui ssei poco pratico. —

     Bbe’, è ffigura de nove quello puro.[8]
E in tutta la seguenza, o ssopra o ssotto,
Pe’ ssei mesi sc’è er nummero sicuro.

25 febbraio 1837.


Note

  1. Per secondo estratto.
  2. Cascasse il mondo.
  3. [Cioè: “i numeri esattamente divisibili per nove.„ E così figura di uno, di due ecc. Locuzioni cabalistiche da aggiungere ai vocabolari.]
  4. Lo chiusero. Quando le poste raccolte sopra un numero, o un ambo, o un terno qualunque, ecc., superano una certa mèta prestabilita, il di più vien restituito ai giuocatori, annullandone i giuochi; e allora dicesi esser chiuso il numero, ecc.
  5. Lo rivogliono.
  6. Ti sbagli, per “sbagli.„
  7. Francesco.
  8. Pure.
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3.

     Come diavolo mai me so’[1] accecato
A nun capì la gàbbola der mago!
Ma ssenti: l’incontrai sabbito[2] ar lago;[3]
Disce: “È da jjeri che nun ho mmaggnato.„

     Lo porto all’osteria: lui maggna: io pago:
L’oste sparecchia; e ddoppo sparecchiato,
Er mago pijja un cane llì accucciato[4]
E jje lega la coda co uno spago.

     Io fo un ambo: tre er cane, e ccoda ar nove.
Ebbè, azzécchesce[5] un po’? ppe’ pprim’astratto[6]
Viè ffora com’un razzo er trentanove.

     Ma eh? ppoteva dàmmelo ppiù cchiaro?
Nun l’averìa[7] capito puro[8] un gatto?
L’avevo da legà, pporco-somaro!

26 febbraio 1837.


Note

  1. Mi sono.
  2. Sabato.
  3. In ogni sabato e domenica di agosto, si allaga artificialmente la Piazza Navona.
  4. Cucciato. [No. In questo caso, anche in Toscana si direbbe accucciato. V. l’ultima nota del sonetto: L’età ecc., 14 mar. 34.]
  5. Azzeccaci: indovinaci.
  6. Estratto.
  7. L’avrebbe.
  8. Pure.