Lettere al padre/1633/107

Lettera 107

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1633 - 106 1633 - 108

A Siena

San Matteo, 3 settembre 1633

Amatissimo Signor Padre.

Il sentir ragionar d’andar in campagna mi piace per la parte di V. S., sapendo quanto quell’abitazione gli sia utile e gustosa, ma mi dispiace per la parte nostra, vedendo che anderà in lungo il suo ritorno: ma sia pur come si voglia, mentre ch’ella per grazia di Dio benedetto si conserva sana e lieta, tutti gli altri accidenti sono tollerabili, anzi si fanno soavi e gustosi con la speranza che tengo che da queste sue e nostre mortificazioni il Signor Iddio, come sapientissimo, sia per cavarne gran bene per sua pietà.

La disgrazia del vino è stata grande per V. S. e sto per dire maggiore per noi, che, perché lei trovassi le botti ben condizionate, non ne aviamo mai bevuto un pocolino, e di quella che V. S. lasciò manomessa ne pigliammo poco, perché presto prese il fuoco e non ci piaceva più, e quel poco di bianco, per aspettar troppo lungamente V. S., diventò aceto: ve ne sono in casa sei fiaschi dell’ultimo che si è venduto, che è ragionevole per la servitù: ve ne erano alcuni di quel primo che si levò via che era diventato cattivo affatto, e non ho voluto che lo bevino: fino al nuovo bisognerà che lo comprino a fiaschi, e pregherò il signor Rondinelli che indirizzi Geppo ove possa andare a trovarne di quella sorte che sarà proporzionato per loro.

Per la muletta si è fatto provvisione di 3 migliaia di paglia buonissima, e si è pagata sette lire e quattro crazie il migliaio; strame quest’anno non ce ne è stato, oltre che non sodisfa alla bestiolina.

È un gran pezzo che avevo mandato il ragazzo a pigliar l’oriuolo, ma il Maestro non glie lo volse dare dicendo che voleva aspettare che V. S. tornasse; ieri mandai di nuovo a dirgli che lo rimandassi in ogni maniera, e disse che bisognava prima rivederlo, che tornassi un altro giorno, e così si farà, e se per sorte non lo dessi, ordinerò al ragazzo che stia con il signor Rondinelli.

Signor Padre, vi fo sapere ch’io sono una Bufola, assai maggior di quelle che sono in costete maremme, perché vedendo che V. S. mi scrive di mandar sette uova di cotesto animale mi credevo che veramente fossino uova, e facevo disegno di far una grossa frittata, persuadendo che fussino grandissime, e ne avevo fatta allegrezza con Suor Luisa, la quale non ha avuto poco da ridere della mia goffaggine. Domattina, che sarà domenica, il ragazzo andrà a San Casciano a pigliar le bisacce, come V. S. ordina; intanto li rendo grazie per tutte le cose ch’ella dice di mandare.

Quando V. S. tornerà qua, non ci ritroverà il signor Donato Gherardini rettore di Santa Margherita a Montici e fratello della nostra Suor Lisabetta, perché è morto due giorni sono, e ancora non si sa chi deva essergli il successore.

Suor Polissena Vinta avrebbe desiderio di saper se in alcuni sollevamenti, ch’è fama che siano seguiti costà, v’interviene il signor cavalier Emilio Piccolomini, figlio del capitan Carlo che fu marito d’una nipote della medesima Suor Polissena; la quale, per poter maggiormente raccomandarlo al Signore, desidera di sapere da V. S. qualche verità, poiché molte cose che si dicono non si posson credere; né stimar che sieno altro che bugie e favole del vulgo.

Procurai che le due lettere, che mi mandò incluse, fossero subito recapitate; altro non posso dirle se non che, quando ricevo sue lettere, subito lette torno a desiderare che giunga l’altro ordinario per averne dell’altre, e particolarmente adesso che aspetto qualche arrivo di Roma.

La madre Badessa, il signor Rondinelli e tutte l’altre gli tornano duplicati saluti, e da Dio benedetto gli prego abbondanza di grazia celeste.

sua figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.