Lettera 13

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1623 - 12 1624

A Bellosguardo

San Matteo, 10 dicembre 1623

Molto Illustre e Amatissimo Signor Padre.

Pensavo di poter presenzialmente dar risposta a quanto mi disse V. S. nell’amorevolissima sua lettera scrittami già son parecchi giorni. Veggo che il tempo ne impedisce, sì che mi risolvo con questa mia notificargli il mio pensiero. Dicogli adunque che il sentire con quanta amorevolezza Lei si offerisce ad aiutare il nostro monastero, mi apportò gran contento. Lo conferii con Madonna e con altre Madri più attempate, quali mi mostrorno quella gratitudine che ricercava la qualità dell’offerta; ma perché stavano sospese, non sapendo infra di loro a che risolversi, Madonna scrisse per questo al nostro Governatore, ed egli rispose, che per esser il monastero tanto bisognoso, gli pareva che ci fossi più necessità di adimandar qualche elemosina che altro. Fra tanto io ho discorso più volte sopra questo con una monaca, ch’è di giudizio, e di bontà mi pare che sopravanzi tutte l’altre; ed ella mossa, non da passione, o da interesse alcuno, ma da buon zelo, m’ha consigliato, anzi pregato a domandargli cosa che a noi indubitatamente sarebbe molto utile e a V. S. molto facile ad ottenere: cioè che da Sua Santità ci impetrassi grazia che potessimo tener per nostro confessore un Regolare o Frate che dir lo vogliamo, con condizione di cambiarlo ogni tre anni, come si costuma per l’altre; e per questo di non levarsi dall’obedienza dell’ordinario, ma solo per ricever da questo i Santi Sacramenti: ed è questo a noi tanto necessario che non si può dire, e per moltissime cause, alcune delle quali ho qui notate nell’inclusa carta che gli mando.

Ma perché so che non può V. S., mediante una semplice mia parola, muoversi a dimandar questo, oltre all’informarsene con qualche persona esperimentata, potrà, quando vien qui, cercar così dalla lunga d’intender qual sia circa di questo l’animo di Madonna, e di qualcun’altra di queste più attempate, senza però mai scoprir la causa per la quale gliene dimanda. E di grazia non ne parli niente con messer Benedetto, perché senz’altro lo manifesterebbe a Suor Chiara, e lei poi a tutte le monache; ed eccoci rovinate, perché in fra tanti cervelli è impossibile che non ci siano variati umori; e per conseguenza qualcuna, a chi potessi dispiacere questo, e metter qualche impedimento acciò non si ottenessi. E pure anco non è conveniente, per rispetto di dua o tre, privar tutte in comune di tanto utile che di questo, sì per lo spirituale come per il temporale, ne potrebbe riuscire.

Resta adesso che V. S. con il suo retto giudizio, al quale ci apportiamo, vada esaminando se gli par lecito il domandar questo, e in che modo si deva domandare per ottenerlo più facilmente; perché, quanto a me, mi pare che sia domanda lecita, tanto più per averne noi estrema necessità.

Ho voluto scrivergli oggi, perché, essendo il tempo tanto quieto, penso che V. S. sia per venir da noi avanti che torni a rompersi, e acciò che già sia informata dell’uffizio che è necessario che faccia con questo vecchie, come già gli ho detto.

Perché temo d’infastidirla più troppo, lascio di scrivere, riserbando molte cose che mi restano per dirgliene alla presenza. Oggi aspettiamo monsignor Vicario che viene per l’elezione della nuova Abbadessa. Piaccia a Dio che sia eletta quella ch’è più conforme al suo volere; e a V. S. conceda abbondanza della sua santa grazia.

figliuola Affezionatissima

S. M. Celeste.

[ Segue il memoriale di Suor Maria Celeste ]

La prima e principal causa, che ne muove a domandar questo, è il veder e il conoscere che la poca cognizione ed esperienza, ch’hanno questi preti, degli ordini e obblighi ch’abbiamo noi religiose, ci dà grand’occasione, o, per dir meglio, buona licenza che viviamo sempre più dilandito e con poca osservanza della regola nostra; e chi dubita che, mentre viviamo con poco timor di Dio, non siamo anco per vivere in continua miseria quanto alle cose temporali? Dunque bisogna levar la prima causa ch’è questa che già gl’ho detto.

La seconda è che, per ritrovarsi il nostro monastero nella povertà che sa V. S., non può sodisfar ai confessori, che ogni 3 anni si partono, dando loro il dovuto salario avanti che si partino: onde che io so, tre di quelli che ci sono stati hanno a avere buona somma di danari, e con questa occasione vengono spesse volte qui a desinare, e pigliano amicizia con qualche monaca; e, quel ch’è peggio, ci portano in bocca, e si dolgon di noi dovunque vanno, sì che siamo la scorta di tutto il Casentino, di dove vengono questi nostri confessori, usi più a cacciar lepre che a guidar anime. E credami V. S. che se io volessi raccontargli le goffezze di questo, che abbiamo al presente, non verrei mai alla fine, perché sono incredibili e infinite.

La terza sarà, che un Regolare non sarà mai tanto ignorante, che non sappia molto più d’uno di questi tali, o se non saprà, non andrà almanco per ogni minimo caso che fra di noi occorra, a domandar consiglio in vescovado o altrove, come si deva portare o governare, come tutto il giorno fanno questi preti; ma ne addimanderà a qualche padre letterato della sua Religione. E così le nostre cause si sapranno in un convento solo e non per tutto Firenze, come si sanno al presente. Dopo che, se non altro per esperienza, saprà benissimo un frate i termini che deva tenere con monache, acciò che vivine più quiete che sia possibile; dove che un prete, che vien qui senza aver, si può dir, cognizione di monache, ha compito il tempo determinato di 3 anni che ci deve stare, avanti ch’abbia imparato quali siano gli obblighi ed ordini nostri.

Non domandiamo già più i padri d’una Religione che d’un’altra, rimettendoci nel giudizio di chi ne impetrerà e concederà tal grazia. Ben è vero che quelli di Santa Maria Maggiore, che molte volte son venuti qui per confessori straordinari, ci hanno dato gran satisfazione; e credo che farebbono più il caso nostro. Prima, per esser Padri molto osservanti e in buona venerazione; e dopo questo, perché non ambiscono a gran presenti, ne si curano (essendo usi a viver poveramente) di far una vita esquisita, come altri d’altra Religione hanno voluto, quando ci son venuti; e come fanno i preti che ci son dati per confessori, che, venendo qui per tre anni soli, in quel tempo non cercano altro che l’utile e interesse proprio, e quanta più roba possono cavar da noi, più valenti si reputano.

Ma, senza ch’io stia ad estendermi più oltre con altre ragioni che gli potrei addurre, può V. S. informarsi in quale stato si trovavano prima il monasterio di San Jacopo, quello di Santa Monaca ed altri, e in quale si trovano al presente, poiché son venuti al governo di frati che hanno saputo ridurli per la buona strada.

Non per questo domandiamo di levarci dall’obbedienza dell’ordinario, ma solo d’esser sacramentate e governate da persone esperimentate, e che sappiano qualcosa.