Lettere (Machiavelli)/Lettera XII a Francesco Vettori
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Magnifico oratori Francisco Victori Reipublice Florentine apud Summum Pontificem.
Magnifico oratore. Io vi scrissi 8 o 10 dì sono, et risposi alla vostra de' 23 del passato, et dissivi, circa al venir mio costà, quello che mi teneva sospeso. Attendo la oppinione vostra et dipoi seguirò quello che da voi sarò consigliato.
La presente vi scrivo per conto di Donato nostro del Corno. Voi sapete e casi sua come stanno, et la lettera che nel principio trasse dalla M.tia di Giuliano ad el magnifico Lorenzo. Morì dipoi M. Francesco Pepi, che haveva presa in collo questa causa, onde restò Donato quasi che privo di speranza. Pur, per non si abbandonare, noi andamo, Donato et io, a trovare Jacopo Gianfigliazzi, el quale ci ha promesso gagliardamente di non lasciare a fare cosa alcuna: et pure dua dì fa, con la lettera che voi gli scrivete, di questa materia li ripariamo, et lui ci promesse meglio che prima, et ci concluse che per di qui a mezzo gennaio non ci si penserebbe, per haversi a fare l'altre imborsationi prima. Et domandandogli noi se li pareva che si traessi di nuovo lettere da Giuliano, disse che non sarebbe se non bene, ma che si voleva indugiarla all'ultimo per haverla in sul fatto, perché, havendoli hora, la sarebbe al tempo vecchia, et bisognerebbe rifarsi da capo. Pertanto e' bisognerà fare di havere al tempo questa lettera; et, quando voi non havessi tratto quella di che voi scrivesti ultimamente a Donato, la potrete lasciar passare. Quando fussi tratta, bisognerà pensare poi in sul fatto che si havessi a fare.
A noi pare, fondati in sulla sapienza di quella che si trasse in prima, che una lettera, senza che ci sia chi ricordi, sia un favore morto. Però noi giudicavamo necessario che si operassi costì, quando fussi possibile, che ser Niccolò Michelozzi havessi questa commissione da Giuliano qui, lo ricordassi a Lorenzo, o per lettera che Juliano li scrivessi o per lettera che e' gli scrivessi Piero Ardinghelli in nome di Juliano; perché ogni scusa che havessi ser Niccolò, se li farebbe ricordare ne' debiti tempi questa materia. Et perché noi pensiamo che a Piero Ardinghelli fussi facile condurre questa cosa, vi facciamo intendere che voi ce lo affatichiate dietro, con prometterli che ne sarà di meglio quello che voi giudicherete bisogni offerirli; et Donato ve ne farà honore. Et a questo non mancherà modo, perché lui sa come la M.tia di Giuliano ha fatto a favorire maestro Manente, et qualchuno altro che Giuliano vuole che sieno serviti; et così bisogna che e favori di Donato naschino: et se Piero vorrà, credo si possa haver tutto. Pertanto a noi pare, che si usi questa medicina di Piero, et che tutti e favori, che hanno a venire venghino dalli 8 a' 15 di gennaio perch'è Piero in sul fatto per le cagioni dette. Et perché voi sappiate ogni cosa et veggiate se Donato merita di essere messo nel numero delli affetionati servitori della Ill.ma Casa de' Medici, sappiate che circa uno dì poi che furno tornati in Firenze, Donato portò alla M.tia di Giuliano cinquecento ducati (se li era prestato gratis, et senza esserne richiesto) de' quali ne è ancora creditore. Questo non vi si dice perché voi lo diciate ad alcuno, ma perché, sapendolo, voi pigliate questa impresa con più animo.
Donato et io non facciamo forza di affaticharvi et riaffaticarvi in questa cosa, perché, sapendo quanto siate officioso amico, crediamo, richiedendovi, farvi piacere, et però lui ad un tratto vi si raccomanda et scusa, quando pure bisognassi, et ciò che vi si scrive vi si dirà per nostra opinione, ma sempre si approveranno tutti e modi, che da voi saranno presi come più prudenti.
Quelli quattro versi, che voi scrivete del Riccio nel principio della lettera di Donato, noi li dicemmo a mente a Giovanni Machiavelli: et in cambio del Machiavello et del Pera vi adnestamo Giovanni Machiavelli. Lui ne ha fatto un capo come una cesta; et dice che non sa dove voi havete trovato chi tocchi, et che ve ne vuole scrivere in ogni modo; et per un tratto Philippo et io ne havemo un piacere grande.
E' si trova in questa nostra città, calamita di tutti i ciurmatori del mondo, un frate di S. Francesco, che è mezzo romito, el quale, per haver più credito nel predicare, fa professione di profeta; et hier mattina in Santa Croce, dove lui predica, dixe multa magna et mirabilia: che avanti che passassi molto tempo, in modo che chi ha 90 anni lo potrà vedere, sarà un papa iniusto, creato contro ad un papa iusto, et harà seco falsi profeti, et farà cardinali, et dividerà la Chiesia; item, che il re di Francia si haveva adnichilare, et uno della casa di Raona ad predominare Italia. La città nostra haveva a ire a fuoco et assacco, le chiese sarebbono abbandonate et ruinate, i preti dispersi, et tre anni si haveva a stare senza divino offitio. Moria sarebbe et fame grandissima; nella città non haveva a rimanere 10 huomini, nelle ville non harebbe a rimanere dua. Era stato 18 anni un diavolo in uno corpo humano, et detto messa. Che bene dua milioni di diavoli erano scatenati per essere ministri della sopradetta cosa, et che egli entravano in di molti corpi che morivano, et non lasciavano putrefare quel corpo, acciò che falsi propheti et religiosi potessono fare resuscitare morti, et essere creduti. Queste cose mi sbigottirono hieri in modo, che io haveva andare questa mattina a starmi con la Riccia, et non vi andai; ma io non so già, se io havessi hauto a starmi con il Riccio, se io havessi guardato a quello. La predica io non la udi', perché io non uso simili pratiche, ma la ho sentita recitare così da tutto Firenze.
Raccomandomi a voi, il quale saluterete il Casa da mia parte, et ditegli, che se non tiene altri modi che si habbia tenuti qui, ch' e' perderà il credito con cotesti garzoni, come e' l'ha perduto con questi. Valete.
Addì 19 di Dicembre 1513.