Lettere (Giovanni Pico della Mirandola)/IV
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Magnifico Lorenzo.
Se nostro S.r vole commettere qui, o ad quello Vescovo che scrive lo oratore, o ad altri che intenda s’io sento delle conclusione mie quello che sua S.tà ne ha determinato, o altramente, lo po’ fare et io sarò paratissimo et ad lui et ad ogni altro far sempre intendere ch’io ho le predecte conclusioni per tale, quale nostro S. ha indicato che lo siano: nè mai o in scripti o in parole tentarò cosa alcuna in oppositum.
Quando volessino ch’io confessassi havere mai per alcun tempo transgresso lo edicto di N.S. et non observato quello che S.S.tà nella bolla sua comanda, prima a loro non è onore che de’ loro comandamenti sia stato tenuto poco conto, alla fede non è utile, ma piuttosto scandalo, a me è gravissimo preiuditio, perchè quantunche io sia poi absoluto dalla pena che ne consequirebbe, non posso mai essere absoluto dall’infamia et onta del peccato, del quale bisogna nella absolutoria si faccia expressa mentione, et quod peius est saria cosa iniustissima, perchè io confessarei havere facta cosa ch’io non fea mai. Il che a loro po’ esser manifestissimo: però che la bolla di N.S. fu publicata in Roma a dì XV di Dicembre, et non prima, di che tutta a città po far testimone, et ad mia notitia pervenne alli sei del mese sequente, essendo io nel cammino di Franza. E benchè la data della bolla sia del mese di Agosto, nondimeno sanno ch’io non sono, nè veruno altro è obligato ad obedirgli insino che la non è publicata. Da quello tempo in qua, non solo io non ho transgresso in parte alcuna lo edicto di N.S., ma non ho mai curato altro, se non da ogni canto et per ogni via a me possibile far constare alla S.tà sua la mia obedientia et levargli ogni suspitione che potesse essere in contrario. Di questo ne ponno far fede gli Oratori soi che erano in Franza, se non voglono tacere el vero, alli quali offersi non una, ma molte volte et privatim et publice etiam nel mezo della Università di Parigi confessare el iuditio mio delle conclusioni esser tale, quale N.S. havea iudicato. La M.tia Vostra si po ricordare quante volte gli ho fatto intendere ch’io non desidero altro che far cognoscere al nostro S.re la obedientia mia.
Quando loro allegassino che prima ch’io partissi da Roma io giurai non diffendere le conclusioni dannate da quelli padri ad li quali nostro S.re havea data questa cura, io non giurai mai questo, ma bene giurai de avere le conclusioni mie per tale quale Nostro Signore et loro le iudicassino. Et benchè del parere delli Padri fussi già certo, non era certo di quello di N.S., dal quale principalmente dependeva, nè mai seppi el loro iuditio esser confirmato da sua Santità, se non quando lessi la bolla, ne la quale Sua S.tà dice: quorum iuditium apostolica auctoritate firmamus.
Hor voglo intrar in iustificatione della causa mia, nè per altro merito cercho la declaratione di N.S. che per intercessione della M.tia V. la quale non mi valerebbe a niente se la causa mia fusse chiara talmente che etiam li inimici miei in modo alcuno la potessino calumniare. Vaglami la auctoritate vostra ad questo, che senza altra discussione di questa cosa, la quale avendosi ad far e per lettera sarebbe di gran tempo et gran fastidio, che N.S. sia contento fare in mio benefitio quello più ch’el può senza preiudicare o alla fede o al honor suo. Quello che io desidero è un breve ne la forma ch’io scriverò di sotto. Faccia vedere la Sua Santità se per concederlo ne li po nascere o danno o vergogna o scandalo alcuno nella ecclesia di Dio, ch’io so gli sarà dicto di no, se ne saranno domandati uomini non passionati. El breve voria che fusse in questa forma:
«Havendo tu già proposto per disputare alcune conclusioni etc., fu iudicato per noi che el libro di quelle non fusse letto, come in una nostra tale bolla si contiene etc.; di poi nacque qualche suspitione che tu non avessi obedito ad lo edicto nostro etc. Et havendo noi indagato questa cosa diligentemente tandem ad noi è constato della innocentia tua circa ciò et havemo apertamente conosciuto te non havere in cosa alcuna contrafacto ad la decta bolla nostra, poichè tu havesti notizia d’esta. Et per questo, ad ciò che la tua innocentia sia così nota ad ogni altro come la è ad noi, declariamo per questo breve te non essere incorso alcuna pertinacia eretica e consequentemente niuna censura o pena debita ad chi incorre in simile errore, ma t’havemo per bon figlolo di Santa Chiesia».
In questa sententia vorei el breve adaptandolo con quelli termini che usa la corte et che sono necessarii per far la absolutione la più efficace, di che se haverà parere da chi se ne intende quando nostro S. sia disposto al farlo. Potrà anche la M.tia dell’Oratore mandare un poco di minuta del breve voranno far loro, se N.S. è disposto.
E perchè el Conte Antonio mio fratello mi dice Monsignor di Napoli havergli decte due cose, l’una che da non so che Vescovo da Parigi gli è stato significato ch’io parlai là contro la bolla di N.S., l’altra ch’io scrivo di novo di questa materia, alla prima dico che sono contento che N.S. mai mi faccia grazia alcuna quando possa con vero intendere che a Parigi in veruno loco nè publico nè privato parlassi contro alla bolla sua. Anzi feci sempre lo opposito, come ho dicto e sanolo li oratori che erano là se lo voglano dire.
Alla S.ria io non ho scripto altro di nuovo che quella expositione sopra el Genesi ch’io ho mandata alla M.tia. Vostra, e lei po far fede se è contra el Papa o no, che tanto è distante dalle materie di quelle conclusioni quanto è el cielo dalla terra. Et per certo questa mia opera sarebbe in tutto vana di cercare con tanta instantia ch’el se intendesse ch’io fussi stato obediente a N. S. quando io fussi in proposito di far pubblicamente l’opposito.
FILIUS IO. DELA MIR.LA.
1489 d’Agosto a dì XXVII