Lettere (Campanella)/LXVIII. Al medesimo

LXVIII. Al medesimo

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LXVII. A Galileo LXIX. Al cardinale nipote Antonio Barberini
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LXVIII

Al medesimo

Spiega la sua del 25 settembre scritta con molta concisione e prudenza, perché dubitava, e ancora dubita, che non la pigliassero con lui; pur nondimeno insiste nel suggerire il metodo di difesa e molto spera se il suo amico possa farsi udire dal papa e da’ cardinali.

 Molto illustre signor mio osservandissimo,

Per dir il vero, quella sera che scrissi a Vostra Signoria eccellentissima, io stavo con gran paura, perché si fe’ la causa con molte sbravate contra i novi filosofi etc., e ci fui nominato io. Ed alcuni mi dissero ch’ho fatto mal ad informar un cardinale per aiuto suo — e non so se quello l’ha detto o li fu rinfacciato che io l’avessi soggerito. E ’l Mostro disse ad un amico, che m’ha fatto piacere a non mostrar l’Apologia mia stampata in Germania in difesa di Vostra Signoria. Ed è la veritá: che non la mostrò perché non la volessero vedere [p. 245 modifica]né chiamarmi in sua difesa, perché in quella non si determina ma si disputa ad utranque partem, e la occultò apposta etc. Ed io scrissi concisamente e quasi per cifra, perché dubbitavo e dubito ancora non la pigliassero contra me.

Io non so se l’ambasciatore ha fatto l’ufficio, com’ella mi scrisse; ma so che non solo non fui chiamato io né il Castelli, ma che non voleano ch’io lo sapessi. Ma però dico di novo ch’è impossibile che Vostra Signoria non abbia soddisfazione, se si piglia il principio ch’io dissi per la difesa; anzi impossibilissimo. Ma mentre non si può parlare, ed io son figlio d’obedienza, mozzai le parole. Se Vostra Signoria venisse e fosse udita, come io spero, da Sua Beatitudine in concilio patrum, mi confidarci etc.

Vostra Signoria perdoni alla pusillanimitá nata da lunghi affanni e calunnie; e sappia che gli uomini non mirano al vero, ma a dar gusto e scusar se stessi con accusar noi etc. Questo deve bastar a pensar quel che si deve fare, se questi decreti novi non sono irretrattabili; se non, pazienza: quel che vuol Dio, è forza vogliamo anche noi. Io vedo che quanto piú ci sforzamo a manifestarci amici e servi de’ padroni, tanto piú si studiano a mostrar il contrario gli altri etc.

Dio consoli Vostra Signoria eccellentissima e tutti noi.

 Frascati, a’ 22 d’ottobre 1632.

Di V. S. eccellentissima
servitore affezionatissimo e di core
Fra Tomaso Campanella.


Fanno tutto il possibile con parole e scritture a provare che Vostra Signoria ha contravenuto a quanto li fu ordinato e corretto, per salvar se stessi o per etc.


Al molt’illustre ed eccellente signor e padron mio osservandissimo, il signor Galileo Galilei, filosofo e matematico dell’Altezza di Toscana,

Firenze.