Lettere (Andreini)/Lettera XLI

XLI. Del Pensiero.

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Lettera XL Lettera XLII
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Del Pensiero.


P
Erch’io dissi l’altr’hieri, che voi siete il mio bene, meco sì fieramente vi mostrate sdegnata? Volete forse, ch’io menta chiamandovi mio male? sò pur, che i mentitori son’odiati da voi. Io v’hò chiamata mio bene, e con ragione, perche noi diciamo quello esser nostro bene particolare, che a noi conviene, e quello à noi conviene, che habbiamo, o stimiamo di poter havere; perche nè la Natura, nè la Ragione si propongono mai fine, che non possano, o non credano d’ottenere. Hora volendo e la Natura, e la Ragione, e l’amor mio, e la mia fede, e la mia servitù, ch’io speri, anzi pur, ch’io tenga per fermo d’ottenervi, perche non hò da chiamarvi mio bene? vorreste forse per così fatto mezo licentiarmi dall’amor vostro? o negarmi il premio dovuto per la mia lunga servitù? o vietare al pensier mio, che di voi non pensi? vorrete poter voi quello, ch’io stesso non potrei

[p. 42r modifica]volendo? io per me non potrei, benche i’ volessi, vietare al mio pensiero, che non pensasse continuamente di voi, e che non portasse à voglia sua la bella imagine vostra nel cuor mio, avvenga ch’egli in virtù de i raggi di lei v’entrerebbe per forza, nè sarebbe in me spirito tanto ardito, che osasse di chiuderli contra le porte del mio seno, godendo il cuore d’havervi in se raccolta vorrebbe, che ogn’un tacesse, e più tosto consentirebbe al mio morire, che far difesa. Io v’amo dunque, e v’assicuro, che tanto fuoco è in me, quanta bellezza è ’n voi, e così non manchi fede, alla mia fede, com’io sò di dir il vero, e prima gli anni del viver mio, giungeranno al lor fine, ch’io coi passi del Tempo, m’allontani dal sentiero del vostro amore, v’amerò fin ch’io viva, & amandovi, non rimarrò di sperare, che siate mia, e giustamente, perche quella speranza è giusta in noi, che nasce dal nostro merito. Io sò, che per amarvi fedelmente vi merito più d’ogn’altro; dunque la mia speranza è giusta, nè crediate di levarlami di mano, che non vi gioverà l’andar trovando inventioni, per raffredar le mie fiamme, compiacendovi così d’agghiacciar, con la crudeltà quelli che sono accesi, come d’arder con la bellezza quelli che son gelati. Se foste Argo al ferirmi, perche esser Talpa al sanarmi? hora, che s’avvicina il tempo prescritto al premio del mio lungo, e fedel servire, per non concederlo, vi fingete (ingrata) occasione di sdegno? deh nò, deh nò di gratia: Per pietà consentite, ch’io v’ami, e ch’io vi serva, se per mia disaventura non mi [p. 42v modifica]volete morto, essendo ch’egli è impossibile, ch’io viva senza la gratia vostra.