Lettera di Pietro Aretino a Agnolo Firenzuola

Pietro Aretino

1541 Indice:L'asino d'oro.djvu lettere letteratura A Agnolo Firenzuola Intestazione 21 maggio 2012 100% letteratura

[p. viii modifica]« Nel vedere io, M. Agnolo caro, il nome vostro iscritto sotto la lettera mandatami lagrimai di sorte, che l’uomo che me la diede fece scusa meco circa il credersi di avermi arrecato novelle tanto triste, quanto me l’aveva portate buone. Ma se il ricevere carte da voi mi provoca a piangere per via d’una intrinsica tenerezza, che sarà di me in quel punto, che Cristo mi farà dono del potervi [p. ix modifica]stampare i baci dell’affezione nell’una gota e nell’altra? per Dio, che egli è siffatto il desiderio, ch’io tengo in far ciò, che lo metto ora in opra con la veemenza del pensiero. Onde mi pare veramente gittarvi al collo le braccia; e nel così parermi, i miei spiriti commossi dalla isviscerata carità dell’amicizia ne dimostrano segno non altrimenti, che la imaginazione fusse in atto. Ma, chi non si risentirebbe nel pensare agli andari nobili della conversazione di voi, che spargete la giocondità del piacere negli animi di coloro, che vi praticano con la domestichezza, che a Perugia scolare, a Fiorenza cittadino ed a Roma prelato vi ho praticato io: che rido ancora dello spasso, che ebbe Papa Clemente la sera, che lo spinsi a leggere ciò, che già componeste sopra gli Omeghi del Trissino. Per la qual cosa la santitade sua volse insieme con monsignor Bembo personalmente conoscervi. Certo che io ritorno spesso con la fantasia ai casi delle nostre giovanili piacevolezze; nè crediate che mi sia scordato la fuga di quella vecchia, che isgomberò il paese impaurita dalla villania, che di bel dì chiaro, e di su la finestra, voi gli diceste in camicia ed io ignudo. Ho anco in mente il conflitto, ch’io feci in casa di Camilla Pisana allora, che mi lasciaste ad intertenerla: e mentre me ne rammento, veggo il Bagnacavallo, il quale mi guarda e tace; e guardandomi e tacendo odo dirmi dal suo stupire della tavola arroversciata; egli ci sta bene ogni male. Intanto sento la felice memoria di Iustiniano Nelli cadere là per allegrezza di tale rovina, come caddi io per la doglia tosto, che intesi il suo essere morto a Piombino; danno grande a Italia tutta, non che a Siena sola. Imperocchè egli oltre il possedere la eccellenza e dei costumi, e della dottrina, e della bontade; fu non pure uno dei primi sostegni della propria republica, ma dei più [p. x modifica]perfetti fisici, che mai curasse infermitade umana. Si che onoriamolo con l’esequie delle laude, da che noi, che gli fummo fratelli in dilezione, non lo possiamo riverire con altro.

Di Venezia, il XXXVI d’ottobre, M.D.XXXXI.

Poscritto. Il chiarissimo Varchi non meno nostro, che suo; per essere venuto a vedermi a punto nel serrare di questa, ha voluto che per mezzo di lei, vi saluti da parte di quello animo, che di continuo tiene a presso della signoria vostra. »


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