Lettera ai lavoratori americani

russo

Lenin 1918 1919 Anonimo Lettera ai lavoratori americani Intestazione 16 aprile 2018 75% Filosofia

20 agosto 1918

Compagni,

un bolscevico russo, che ha partecipato alla rivoluzione del 1905 e che ha poi trascorso molti anni nel vostro paese, si è offerto di farvi pervenire questa mia lettera. Ho accettato tanto più volentieri la sua proposta appunto perché i proletari rivoluzionari d'America sono chiamati, soprattutto oggi, a svolgere una funzione di grande rilievo come nemici intransigenti dell'imperialismo americano, che è l'imperialismo più giovane e più forte e che è intervenuto per ultimo nella carneficina mondiale dei popoli per la spartizione dei profitti capitalistici.Proprio oggi i miliardari americani, moderni proprietari di schiavi, hanno aperto una pagina singolarmente tragica nella storia sanguinosa del sanguinario imperialismo, dando il proprio consenso - poco importa se diretto o indiretto, esplicito o ipocritamente dissimulato - all'intervento armato delle belve anglo-giapponesi che mirano a strangolare la prima repubblica socialista.

La storia dell'America moderna, la storia dell'America civile, ha inizio con una serie di grandi guerre, realmente liberatrici e realmente rivoluzionarie, che sono molto rare tra le innumerevoli guerre di rapina, provocate, come l'odierna guerra imperialistica, da un conflitto tra i sovrani, tra i grandi proprietari terrieri e i capitalisti nella spartizione dei territori invasi o dei profitti trafugati.La guerra con cui ha avuto inizio la vostra storia è stata la guerra del popolo americano contro i briganti inglesi, che opprimevano l'America e la tenevano in stato di schiavitù coloniale, così come ancora oggi queste piovre "civili" opprimono e tengono in stato di schiavitù coloniale centinaia di milioni di uomini in India, in Egitto e in tutte le zone del mondo.

Da quella guerra sono trascorsi circa centocinquant'anni. La civiltà borghese ha dato tutti i suoi frutti rigogliosi. L'America si è conquistata il primo posto tra i paesi liberi e progrediti per il grado di sviluppo delle forze produttive del lavoro umano associato, per l'impiego delle macchine e di tutte le meraviglie della tecnica moderna. Essa si è conquistata al tempo stesso uno dei primi posti per la profondità del baratro che separa un pugno di miliardari impudenti, che guazzano nel fango e nel lusso, da milioni di lavoratori, i quali vivono in eterno sull'orlo della miseria.Il popolo americano, che ha dato al mondo l'esempio di una guerra rivoluzionaria contro la schiavitù feudale, è stato asservito alla moderna schiavitù salariata, capitalistica, esercitata da un pugno di miliardari, e ha finito per assolvere la funzione del boia salariato, soffocando -a vantaggio della canaglia straricca- le Filippine del 1898, con la scusa di "emanciparle", e accingendosi a soffocare la repubblica socialista di Russia nel 1918, con la scusa di "difenderla" dai tedeschi.

Ma quattro anni di carneficina imperialistica dei popoli non sono passati invano. Fatti evidenti ed innegabili hanno smascherato sino in fondo gli inganni tramati contro il popolo dai malfattori dei due gruppi di briganti, sia di quello inglese che di quello tedesco. Quattro anni di guerra hanno dimostrato la legge generale del capitalismo in rapporto ad una guerra tra briganti per la spartizione del bottino: i più ricchi e i più forti hanno tratto più profitto e depredato di più; i più deboli sono stati saccheggiati, torturati, schiacciati e soffocati senza pietà.

I briganti dell'imperialismo inglese erano i più forti per il numero dei loro "schiavi coloniali". I capitalisti inglesi non hanno perduto ancora neanche un palmo dei "propri" territori (cioè dei territori che hanno arraffato nel corso dei secoli), ma hanno saccheggiato tutte le colonie tedesche in Africa, hanno depredato la Mesopotamia e la Palestina, hanno strangolato la Grecia e hanno cominciato a depredare la Russia.

I briganti dell'imperialismo tedesco erano i più forti per il grado di organizzazione e disciplina del "proprio" esercito, ma erano più poveri di colonie. Hanno perduto tutte le loro colonie, ma hanno saccheggiato una metà dell'Europa e strangolato il maggior numero di paesi piccoli e deboli. Che grande guerra "di liberazione" dall'una parte e dall'altra! E come hanno saputo "difendere" bene "la patria" i briganti dei due gruppi, i capitalisti anglo-francesi e tedeschi, con i loro lacchè, con i socialsciovinisti, cioè con i socialisti che sono passati dalla parte della "propria" borghesia.

I miliardari americani erano forse i più ricchi e disponevano della posizione geografica più sicura. Si sono arricchiti più di tutti. Hanno trasformato tutti i paesi, persino i più ricchi, in loro tributari. Hanno arrabatto centinaia di miliardi di dollari. E ogni dollaro reca tracce di fango: è il fango dei contratti segreti stipulati tra l'Inghilterra e i suoi "alleati", tra la Germania e i suoi vassalli, trattati per la spartizione del bottino, trattati di mutua "assistenza" per opprimere gli operai e perseguitare i socialisti internazionalisti. Su ogni dollaro c'è il fango delle "redditizie" forniture militari, che in ciascuna paese hanno arricchito i ricchi e condotto alla rovina i poveri. Ogni dollaro reca tracce di sangue, di quel sangue che hanno profuso dieci milioni di morti e venti milioni di invalidi nella nobile, grande, sacrosanta lotta di liberazione combattuta per decidere a chi spetti la parte più grossa del bottino, al brigante inglese o al brigante tedesco, combattuta per decidere se saranno i carnefici inglesi o invece quelli tedeschi i primi a strangolare i popoli di tutto il mondo.

Se i briganti tedeschi hanno battuto tutti i primati per la ferocia delle loro repressioni militari, i briganti inglesi hanno battuto tutti i primati non solo per il numero delle colonie arraffate, ma anche per la raffinatezza della loro ripugnante ipocrisia. Proprio oggi la stampa borghese anglo-francese e americana diffonde in milioni e milioni di copie menzogne e calunnie contro la Russia, cercando ipocritamente di giustificare la poderosa campagna militare contro il nostro paese con il pretesto di "difenderlo" dai tedeschi!

Non occorrono troppe parole per sentire questa menzogna disgustosa e vile. Basterà ricordare un fatto che tutti conoscono. Quando, nell'ottobre 1917, gli operai della Russia hanno rovesciato il loro governo imperialistico, il potere sovietico, potere degli operai e dei contadini rivoluzionari, ha proposto apertamente una pace giusta, senza annessioni e senza indennizzi, una pace che non ledesse la parità di diritti di tutte le nazioni, e ha proposto questa pace a tutti i paesi belligeranti.

Ebbene, proprio la borghesia anglo-francese e americana ha allora respinto la nostra proposta, rifiutandosi persino di intavolare trattative con noi in vista di una pace generale! Proprio questa borghesia ha tradito gli interessi di tutti i popoli e prolungato la carneficina imperialistica!

Proprio essa, per trascinare di nuovo la Russia nella guerra imperialistica, si è estraniata dalle trattative di pace e ha lasciato mano libera ai capitalisti, non meno rapaci, di Germania, che hanno imposto con la violenza alla Russia la pace annessionistica di Brest!

è difficile immaginare un'ipocrisia più ripugnante di quella con cui la borghesia anglo-francese e americana fa ricadere su di noi la "colpa" per la pace di Brest. Nostri "accusatori" sono proprio i capitalisti di quei paesi da cui dipendeva la possibilità di trasformare le trattative di Brest in negoziati generali in vista di una pace generale! Le carogne dell'imperialismo anglo-francese, che si sono arricchite con il saccheggio delle colonie e con la carneficina dei popoli e che stanno prolungando la guerra per quasi un anno dopo Brest, "accusano" oggi proprio noi bolscevichi, che abbiamo proposto una pace giusta a tutti i paesi, proprio noi che abbiamo lacerato, reso di pubblica ragione ed esposta al pubblico ludibrio i criminosi trattati segreti stipulati tra l'ex zar e i capitalisti anglo-francesi.

Gli operai del mondo intero, in qualunque paese vivano, simpatizzano per noi, ci applaudono e ci acclamano perché abbiamo spezzato le catene dell'imperialismo e dei suoi sporchi trattati, perché ci siamo conquistati la nostra libertà a prezzo dei sacrifici più gravi, perché, pur essendo la nostra Repubblica socialista torturata e saccheggiata dagli imperialisti, siamo rimasti fuori dalla guerra imperialistica e abbiamo issato innanzi a tutto il mondo la bandiera della pace, la bandiera del socialismo.

Non meraviglia che la banda degli imperialisti internazionali ci detesti per questa ragione, non meraviglia che essi ci "accusino", e che con loro ci "accusino" tutti i loro lacchè, compresi i nostri socialisti rivoluzionari di destra e i menscevichi. Dall'odio di questi cani di guardia dell'imperialismo per i bolscevichi, come dalla simpatia degli operai coscienti di tutto il mondo, attingiamo nuova fiducia nella giustezza della nostra causa.

Non è un socialista chi non capisce che per battere la borghesia, per trasferire il potere agli operai, per iniziare la rivoluzione proletaria internazionale, non si può e non si deve arrestare davanti a nessun sacrificio, nemmeno a quello di una parte del proprio territorio, nemmeno a quello imposto dalle gravi sconfitte che infligge l'imperialismo. Non è un socialista chi non dimostra con i fatti di esser pronto a far subire i più gravi sacrifici alla "sua" patria, purché progredisca realmente la causa della rivoluzione socialista.

In nome della "loro" causa, per garantirsi cioè il dominio mondiale, gli imperialisti d'Inghilterra e di Germania non hanno esitato a rovinare del tutto e a strangolare vari paesi, cominciando con il Belgio e la Serbia e continuando con la Palestina e la Mesopotamia. Ebbene, in nome della "loro" causa, per emancipare i lavoratori di tutto il mondo dall'oppressione del capitale, per conquistare una pace stabile generale, i socialisti dovrebbero forse aspettare che si profili una linea di sviluppo che non prevede sacrifici, dovrebbero forse temere di sferrare la battaglia finché non verrà loro "garantito" un successo facile, dovrebbero forse porre la sicurezza e l'integrità della "loro patria", creata dalla borghesia, al di sopra degli interessi della rivoluzione mondiale socialista? Son mille volte degni di disprezzo quei furfanti del socialismo internazionale, quei lacchè della morale borghese che la pensano a questo modo!

I predoni dell'imperialismo anglo-francese e americano ci "accusano" di "intesa" con l'imperialismo tedesco. O ipocriti! O canaglie che calunniano il governo operaio, tremando di paura per la simpatia che gli operai dei "loro" paesi manifestano verso di noi! Ma la loro ipocrisia verrà smascherata. Essi fingono di non capire la differenza che corre tra l'accordo dei "socialisti" con la borghesia (nazionale e straniera), contro gli operai, contro i lavoratori, e l'accordo stipulato con la borghesia di un dato colore nazionale contro la borghesia di un altro colore, per difendere gli operai che hanno sconfitto la propria borghesia, per consentire al proletariato di utilizzare gli antagonismi tra i diversi gruppi della borghesia.

In realtà ogni europeo conosce perfettamente questa differenza, e il popolo americano, come mostrerò tra poco, ha imparato a "conoscerla" in modo particolarmente chiaro lungo il corso della sua storia. Ci sono accordi e accordi, ci sono fagots et fagots, come dicono i francesi.

Quando, nel febbraio del 1918, i predoni dell'imperialismo tedesco hanno lanciato i loro eserciti contro la Russia inerme, che, avendo fiducia nella solidarietà internazionale del proletariato, aveva smobilitato il suo esercito prima che la rivoluzione internazionale fosse pienamente matura, io non ho esitato un attimo a stipulare un certo "accordo" con i monarchici francesi. Il capitano francese Sadoul, che a parole simpatizzava per i bolscevichi ma di fatto serviva anima e corpo l'imperialismo francese, mi ha presentato un ufficiale di nome de Lubersac. "Sono un monarchico, il mio scopo è la disfatta della Germania", mi ha dichiarato de Lubersac. Cela va sans dire, ho risposto. Ma questo non mi ha impedito affatto di "accomodarmi" con de Lubersac sui servigi che volevano renderci gli ufficiali francesi del genio, facendo saltare in aria le ferrovie per bloccare l'invasione tedesca. Ecco un esempio di "accordo" che sarà approvato da ogni operaio cosciente, ecco un esempio di accordo fatto in favore del socialismo. Ci siamo scambiati una stretta di mano il monarchico francese ed io, ben sapendo che ognuno di noi avrebbe fatto impiccare ben volentieri il suo "partners". Ma in quel momento i nostri interessi coincidevano. Contro i predoni tedeschi all'offensiva abbiamo utilizzato allora, nell'interesse della rivoluzione socialista russa e internazionale, i contro-interessi non meno predoneschi di altri imperialisti. Abbiamo servito così gli interessi della classe operaia della Russia e degli altri paesi, abbiamo consolidato il proletariato e indebolito la borghesia del mondo intero, abbiamo manovrato, cosa legittima e obbligatoria in ogni guerra, ci siamo ritirati in attesa della definitiva maturazione della rivoluzione proletaria che si sta sviluppando rapidamente in vari paesi progrediti.

E, per quanto schizzino veleno i pescecani dell'imperialismo americano e anglo-francese, per quanto ci calunnino e sprechino milioni per corrompere la stampa dei socialisti-rivoluzionari di destra, dei menscevichi e degli altri socialpatriota, io non esiterei un solo istante a stipulare un "accordo" analogo con i predoni dell'imperialismo tedesco, se l'offensiva dell'esercito anglo-francese contro la Russia dovesse imporlo. So bene, del resto, che la mia tattica avrà l'approvazione del proletariato cosciente della Russia, della Germania, della Francia, dell'Inghilterra, dell'America, in breve, di tutto il mondo civile. Questa tattica faciliterà la rivoluzione socialista, ne accelererà l'avvento, indebolirà la borghesia internazionale, rafforzerà le posizioni della classe operaia vittoriosa.

Già da molto tempo il popolo americano ha applicato questa tattica, con grande vantaggio per la rivoluzione. Quando esso conduceva la sua grande guerra di liberazione contro gli oppressori inglesi, aveva davanti a sé anche gli oppressori francesi e spagnoli, a cui apparteneva allora una parte dell'attuale territorio degli Stati Uniti d'America. Nella sua difficile guerra di liberazione il popolo americano ha stipulato "accordi" con alcuni oppressori contro altri, per indebolire gli oppressori e rafforzare coloro che si battevano per via rivoluzionaria contro l'oppressione, nell'interesse della massa oppressa. Il popolo americano ha approfittato della rivalità tra i francesi, gli spagnoli e gli inglesi, e a volte ha combattuto insieme alle truppe dei francesi-oppressori e degli spagnoli-oppressori contro gli inglesi-oppressori, ha prima sconfitto gli inglesi e si è liberata poi (in parte anche grazie al riscatto) dei francesi e degli spagnoli.

Il processo storico non è il marciapiede del Nievski prospekt, diceva un grande rivoluzionario russo, Cernyscevski. Chi "accetta" la rivoluzione del proletariato solo "a patto" che essa si svolga in modo rettilineo e facile, che l'azione comune dei proletari dei diversi paesi si realizzi di colpo, che ci sia in partenza la garanzia contro la sconfitta, che la strada della rivoluzione sia ampia, sgombra, dritta, che nel marciare verso la vittoria non si debbano compiere a volte i sacrifici più gravi, che non "ci si chiuda nella fortezza assediata" o che ci si apra un varco per gli stretti, impraticabili, tortuosi e perigliosi sentieri di montagna, costui non è un rivoluzionario, ma un uomo che è rimasto prigioniero della pedanteria degli intellettuali borghesi e che di fatto andrà sempre a finire nel campo della borghesia controrivoluzionaria, come fanno i nostri socialisti-rivoluzionari di destra, i menscevichi e pesino (ma più raramente) i socialisti-rivoluzionari di sinistra.

Sulle orme della borghesia questi signori si dilettano a imputarci del "caos" della rivoluzione, dello "sfacelo" dell'industria, della disoccupazione e della fame. Quanta ipocrisia racchiudono queste accuse, formulate da chi ha acclamato e sostenuto la guerra imperialistica o si è "accordato" con Kerenski che continuava questa guerra! La responsabilità di tutte queste sventure ricade infatti proprio sulla guerra imperialistica. E una rivoluzione generata dalla guerra non può non conoscere difficoltà e sofferenze incredibili, avute in eredità da una lunga guerra, devastatrice e reazionaria, che ha sterminato i popoli. Accusarci dello "sfacelo" dell'industria o del "terrorismo" significa fare gli ipocriti o dar prova di un'ottusa pedanteria, dell'incapacità di capire le condizioni fondamentali di quella lotta di classe furibonda ed esasperata al massimo che si chiama rivoluzione.

In fondo, gli "accusatori" di questo genere, se "riconoscono" la lotta di classe, si limitano ad un semplice riconoscimento verbale, perché nei fatti cadono di continuo nell'utopia piccolo-borghese dell'"intesa" e della "collaborazione" tra le classi. In un'epoca di rivoluzione la lotta di classe assume di necessità, inevitabilmente, sempre ed in ogni paese, la forma della guerra civile, e la guerra civile non può concepirsi senza le distruzioni più gravi, senza il terrorismo, senza le restrizioni della democrazia formale nell'interesse della guerra. Solo dei preti melliflui - poco importa che siano cristiani o "laici", come i socialisti da salotto, come i socialisti parlamentari - possono non vedere, non comprendere, non sentire questa necessità. Solo gli inerti "uomini nell'astuccio" possono, per questi motivi, estraniarsi dalla rivoluzione, invece di estraniarsi con passione ed energia nella lotta quando la storia esige che i problemi più importanti dell'umanità siano risolti con la lotta e con la guerra. Il popolo americano ha una tradizione rivoluzionaria, ereditata dai rappresentanti migliori del proletariato d'America, che hanno più volte manifestato la loro più piena simpatia per noi bolscevichi. Questa tradizione è la guerra di emancipazione contro gli inglesi nel secolo XVIII e, poi, la guerra di secessione del secolo XIX. Sotto certi aspetti, se si considera soltanto lo "sfacelo" di alcuni rami dell'industria e dell'economia nazionale, nel 1870 l'America è stata respinta indietro rispetto al 1860. Ma solo un pedante, solo un imbecille potrebbe negare su questa base l'immensa portata progressiva, rivoluzionaria, storico-mondiale, della guerra civile americana del 1863-1865!

I rappresentanti della borghesia capiscono che l'abolizione della schiavitù dei negri e il rovesciamento del potere dei proprietari di schiavi meritavano che tutto il paese conoscesse lunghi anni di guerra civile e le rovine, le devastazioni, il terrorismo che sempre si accompagnano alla guerra. Ma oggi, quando si tratta del compito infinitamente più alto di abolire la schiavitù salariata, capitalistica, e rovesciare il potere della borghesia, i rappresentanti e i difensori della borghesia, e insieme con loro i socialisti riformisti che, atterriti dalla borghesia, cercano di disfarsi della rivoluzione, non possono capire la necessità e la legittimità della guerra civile.

Gli operai americani non seguiranno la borghesia. Essi saranno con noi, per la guerra civile contro la borghesia. Tutta la storia del movimento operaio americano e mondiale conferma questo mio convincimento. Ricordo le parole di Eugene Debs, uno dei dirigenti più amati dal proletariato americano. Verso la fine del 1915, se non sbaglio, nel giornale Appeal to Reason, in un articolo intitolato What shall I fight for (e che io ho già citato all'inizio del 1916 nel discorso tenuto ad un assemblea operaia a Berna, in Svizzera), Debs scriveva che avrebbe preferito farsi fucilare anziché votare i crediti per la guerra in corso, criminale e reazionaria, e che lui, Debs, conosceva una sola guerra sacrosanta e legittima, dal punto di vista dei proletari, la guerra contro i capitalisti, la guerra per emancipare l'umanità contro la schiavitù salariata.

Non mi stupisce che Wilson, capo dei miliardari americani, lacchè dei pescecani capitalisti, abbia imprigionato Debs. Imperversi pure la borghesia contro i veri internazionalisti, contro i veri rappresentanti del proletariato rivoluzionario! Quanto più essa sarà crudele e inferocita, tanto più sarà vicino il giorno della rivoluzione proletaria vittoriosa.

Ci accusano delle distruzioni causate dalla nostra rivoluzione... Ma chi dunque ci accusa? I tirapiedi della borghesia, di quella stessa borghesia che, dopo quattro anni di guerra imperialistica, ha quasi distrutto tutta la civiltà europea e ricondotto l'Europa alla barbarie, allo stato selvaggio, alla fame. Questa borghesia vorrebbe oggi che non facessimo la rivoluzione sul terreno di queste distruzioni, tra le macerie della cultura, tra le rovine causate dalla guerra, con uomini che la guerra ha ridotto allo stato selvaggio! Oh, quant'è umanitaria e giusta questa borghesia!

I suoi servitori ci accusano di terrorismo... i borghesi d'Inghilterra hanno dimenticato il 1649 e i borghesi di Francia hanno dimenticato il 1793. Il terrore era giusto e legittimo quando veniva esercitato a vantaggio della borghesia contro i signori feudali. Ma è diventato mostruoso e criminale nel momento in cui gli operai e i contadini poveri osano esercitarlo nei confronti della borghesia! Il terrore era giusto e legittimo quando veniva esercitato per sostituire una minoranza sfruttatrice con un'altra. Ma è diventato mostruoso e criminale quando si è cominciato a esercitarlo per rovesciare ogni minoranza sfruttatrice, nell'interesse della stragrande maggioranza della popolazione, nell'interesse del proletariato e del semiproletariato, nell'interesse della classe operaia e dei contadini poveri!

La borghesia imperialistica internazionale ha fatto sterminare dieci milioni di uomini e ne ha resi invalidi altri venti milioni nella "sua" guerra, in una guerra scatenata per decidere a chi spetti il dominio mondiale, ai predoni inglesi o invece ai predoni tedeschi.

Se la nostra guerra, se la guerra degli oppressi e degli sfruttati contro gli oppressori e gli sfruttatori, causerà mezzo milione o un milione di vittime in tutto il mondo, la borghesia comincerà a dire che i primi sacrifici erano legittimi e i secondi sono invece delittuosi.

Il proletariato dirà ben altro.

Sin da ora, tra gli orrori della guerra imperialistica, il proletariato sta facendo propria nel modo più completo e determinato la grande verità a cui ci educano tutte le rivoluzioni, la verità che i maestri migliori, i fondatori del socialismo moderno, hanno lasciato in eredità agli operai. Questa verità dice che una rivoluzione non potrà essere vittoriosa, se non avrà schiacciato la resistenza degli sfruttatori. Noi operai e contadini lavoratori avevamo il dovere, dopo aver conquistato il potere statale, di schiacciare la resistenza degli sfruttatori. Siamo orgogliosi di averlo fatto, siamo orgogliosi di farlo tuttora. Rimpiangiamo soltanto di non agire con la dovuta fermezza e decisione.

Sappiamo bene che la furibonda resistenza della borghesia contro la rivoluzione socialista è inevitabile in tutti i paesi e che essa si farà più disperata con lo sviluppo stesso della rivoluzione. Il proletariato spezzerà questa resistenza, diventerà definitivamente maturo per la vittoria e per l'esercizio del potere nel corso della lotta contro la resistenza della borghesia.

Strepiti pure la prezzolata stampa borghese per ogni errore commesso dalla nostra rivoluzione! Non abbiamo paura dei nostri errori. Gli uomini non sono diventati dei santi solo perché è cominciata la rivoluzione. Le classi lavoratrici, oppresse, abbruttite, strette per secoli nella morsa della miseria, dell'ignoranza, della barbarie, non possono organizzare la rivoluzione senza commettere errori. E, come ho già avuto occasione di dire, il cadavere della società borghese non può essere rinchiuso nella bara e seppellito. Il capitalismo abbattuto imputridisce, si decompone in mezzo a noi, infettando l'aria con i suoi miasmi, avvelenando la nostra vita, afferrando quanto c'è di nuovo, fresco, giovane, vivo, con i mille fili e legami di ciò che è vecchio, putrido, morto.

Per cento nostri errori sbandierati ai quattro venti dalla borghesia e dai suoi lacchè (compresi i nostri menscevichi e socialisti-rivoluzionari di destra) si contano diecimila grandi atti d'eroismo, che sono tanto più grandi ed eroici proprio perché sono semplici, invisibili, nascosti nella vita quotidiana di un quartiere operaio o di un villaggio sperduto, proprio perché sono compiuti da uomini che non hanno l'abitudine (e neanche la possibilità) di far conoscere a tutti ogni loro successo.

Ma, anche se le cose non stessero così, e io so bene che quest'ipotesi è infondata, anche se per cento azioni giuste si contassero diecimila errori, la nostra rivoluzione sarebbe tuttavia - e lo sarà davanti alla storia - grande e invincibile, perché per la prima volta, non una minoranza, non i soli ricchi, non i soli stati colti, ma le masse, la stragrande maggioranza dei lavoratori, costruiscono da sé una nuova vita, risolvono con la loro esperienza gli ardui problemi dell'organizzazione socialista.

Ogni errore commesso in questo lavoro, nella sincera e coscienziosa attività con cui decine di milioni di semplici operai e contadini trasformano tutta la loro esistenza, ogni errore di questo genere vale mille e milioni di "infallibili" successi ottenuti dalla minoranza sfruttatrice nell'arte di ingannare e turlupinare i lavoratori. Perché solo a prezzo di questi errori gli operai e i contadini impareranno a costruire una nuova vita, impareranno a fare a meno dei capitalisti e si apriranno - tra mille ostacoli - la strada verso il trionfo del socialismo.

Commettono errori nella loro attività rivoluzionaria i nostri contadini che, d'un sol colpo nella notte dal 25 al 26 ottobre (vecchio calendario) 1917, hanno abolito ogni proprietà privata della terra e oggi, un mese dopo l'altro, nonostante le immani difficoltà, correggendo essi stessi i propri difetti, assolvono essi stessi il difficile compito di organizzare le nuove condizioni della vita economica, di lottare contro i kulak, di assicurare la terra ai lavoratori (e non ai ricchi), di passare alla grande agricoltura comunista.

Commettono errori nella loro attività rivoluzionaria i nostri operai che, nello spazio di pochi mesi, hanno nazionalizzato quasi tutte le grandi fabbriche e officine e oggi, con un duro sforzo quotidiano, imparano una cosa per loro nuova, imparano a gestire interi settori industriali, mettono in moto le aziende nazionalizzate, superando la formidabile resistenza opposta dalla routine, dallo spirito piccolo-borghese, dall'egoismo, e, una pietra dopo l'altra, gettano le fondamenta dei nuovi rapporti sociali, della nuova disciplina del lavoro, del nuovo potere dei sindacati operai sui loro aderenti.

Commettono errori nella loro attività rivoluzionaria i nostri Soviet, creati sin dal 1905 dal possente slancio delle masse. I Soviet degli operai e dei contadini sono un nuovo tipo di Stato, un tipo nuovo e superiore di democrazia, una forma della dittatura del proletariato, un modo di gestire lo Stato senza e contro la borghesia. Per la prima volta la democrazia è qui al servizio delle masse, al servizio dei lavoratori, cessando di essere una democrazia per i ricchi, quale è in tutte le repubbliche borghesi, persino nelle più democratiche. Per la prima volta le masse popolari, sulla scala di un centinaio di milioni di uomini, cominciano ad instaurare la dittatura dei proletari e dei semiproletari: e questo è un compito tale che, ove non venga assolto, non si può neanche parlare di socialismo.

Lasciate che i pedanti o coloro che sono inguaribilmente imbevuti di pregiudizi democratici borghesi o parlamentaristici scuotano la testa, perplessi, davanti ai nostri Soviet, indugiando, per esempio, sull'assenza di elezioni dirette! Questi tali non hanno dimenticato e non hanno imparato un bel niente dai grandi rivolgimenti degli anni 1914-1918. L'unione della dittatura del proletariato con la nuova democrazia, con la democrazia per i lavoratori, l'unione della guerra civile con la più larga partecipazione delle masse alla politica, non si realizza di colpo e non rientra nelle logore forme dell'abitudinario democratismo parlamentare. Un mondo nuovo, il mondo del socialismo: ecco come si presenta in prospettiva ai nostri occhi la Repubblica dei Soviet. E non meraviglia che questo mondo non nasca già pronto e d'un sol colpo, come Minerva dalla testa di Giove.

Mentre le vecchie Costituzioni democratiche borghesi esaltavano, ad esempio, l'uguaglianza formale e la libertà di riunione, la nostra Costituzione sovietica, proletaria e contadina, respinge l'ipocrisia di un'uguaglianza puramente formale. Quando i repubblicani borghesi rovesciavano i troni, non i preoccupavano affatto dell'uguaglianza formale tra i monarchici e i repubblicani. Quando si tratta di rovesciare la borghesia, solo i traditori o gli imbecilli possono postulare l'uguaglianza formale per la borghesia. Quando tutti gli edifici migliori sono accaparrati dalla borghesia, la "libertà di riunione" per gli operai e per i contadini non vale un soldo bucato. I nostri Soviet hanno confiscato ai ricchi, nelle città e nelle campagne, tutti gli edifici migliori e li hanno consegnati - tutti - agli operai e ai contadini per le loro associazioni ed assemblee. Ecco la nostra libertà di riunione per i lavoratori! Ecco il senso e il contenuto della nostra Costituzione sovietica, della nostra Costituzione socialista!

Ed ecco perché tutti noi siamo profondamente persuasi che, qualunque sventura si abbatta ancora sulla nostra repubblica dei Soviet, essa è invincibile.

è invincibile perché ogni colpo vibratole dall'imperialismo inferocito, ogni sconfitta inflittole dalla borghesia internazionale, mobiliterà sempre nuovi strati di operai e contadini, li addestrerà a prezzo di grandi sacrifici, li temprerà, susciterà un uovo eroismo di massa.

Noi sappiamo, compagni operai d'America, che forse il vostro aiuto si farà ancora aspettare, perché lo sviluppo della rivoluzione nei diversi paesi procede in forme diverse e con un ritmo diverso (e non può accadere altrimenti). Sappiamo che la rivoluzione proletaria europea, pur essendo maturata in fretta negli ultimi tempi, può anche non divampare nelle prossime settimane. Noi facciamo affidamento all'inevitabilità della rivoluzione internazionale, ma questo non significa affatto che, come imbecilli, contiamo nell'inevitabilità della rivoluzione entro un periodo di tempo breve e determinato. Abbiamo già avuto due grandi rivoluzioni nel nostro paese, il 1905 e il 1917, e sappiamo che le rivoluzioni non si fanno su ordinazione o in base ad un accordo. Sappiamo che le circostanze hanno spinto avanti il nostro reparto, il reparto russo del proletariato socialista, non in forza dei nostri meriti, ma per effetto della particolare arretratezza della Russia, e che talune rivoluzioni potranno subire delle sconfitte prima che scoppi la rivoluzione internazionale.

E tuttavia sappiamo molto bene che siamo invincibili, perché l'umanità non sarà spezzata dalla carneficina imperialistica, ma riuscirà ad avere il sopravvento su di essa. Proprio il nostro paese ha spezzato per primo le pesanti catene della guerra imperialistica. Abbiamo sopportato i sacrifici più gravi per distruggere queste catene, ma siamo riusciti a spezzarle. Noi non dipendiamo più dall'imperialismo e, dinnanzi a tutto il mondo, abbiamo innalzato la bandiera della lotta per il completo rovesciamento dell'imperialismo.

Ci troveremo come in una fortezza assediata finché gli altri reparti della rivoluzione socialista internazionale non verranno in nostro aiuto, ma questi reparti esistono e sono numericamente più forti del nostro; essi crescono, si sviluppano e si consolidano via via che l'imperialismo prosegue le sue atrocità. Gli operai stanno rompendo con i socialtraditori, con i Gompers, Henderson, Renaudel, Scheidemann, Renner. Gli operai muovono, con passo lento ma sicuro, verso la tattica comunista, verso la rivoluzione proletaria, che sola può salvare dalla rovina la cultura e l'umanità.

In breve, noi siamo invincibili, perché è invincibile la rivoluzione proletaria mondiale.

N. Lenin

Note

  1. Lettera di N. Lenine ai proletari americani // La politica estera dei Soviets : Come la Russia bolshevika conquisto la Germania imperiale / V. I. Lenin, G. V. Chicherin, J. Reed - Brooklyn, N.Y. Libreria editrice dei Lavoratori industriali del mondo, Italian I.W.W. Pub. Bureau, 1919. - 51 p.