Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo (2 febbraio 1882)
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2 febbraio 1882
Catania, (2 febb. 1882).
I. - Dei tuoi nuovi lavori godo assai; purchè tu non metta troppa carne al fuoco ad un tempo.
II. - Le tue lettere mi saranno sempre gradite, i tuoi sospetti sono ingiusti. Li perdono alla tua poca esperienza di me.
III. - La mia salute è per le terre; e se continua così, non la sfango.
IV. - I miei nemici ripullulano con queste piogge benefiche. Il Capuana sta per publicare in Firenze una satira del mio Giobbe.
Non ti pare una bella trovata?
Lascia il villano di Mineo la greggia
E il paterno mestiere,
E, belando in toscan, messalineggia
Con l'arte e col sedere.
V. - Cofanaro non ha corrispondente toscano, perchè in Toscana raccolgono e someggiano l'uva, non ne' cofani, ma nei bigonci o nelle bigonce che sono più piccole.
VI. - Ti do facoltà amplissima di far ristampare l'Epitalamio, purchè ci mettan la data di quando fu scritto.
VII. - Eccoti la ballata del Giobbe, ma non darla a nessuno, fosse tuo fratello; molto meno a donne, italiane o russe che siano.
Un paese conosco, ove non ride
Caldo e raggiante il Sole;
Ma quanto infido è il Sol, tanto son fide
L'anime e le parole.
Ivi oceani non son, non son vulcani,
Nè abissi il suol nasconde;
Non fiamme d'amorosi impeti umani,
Non mar d'ire profonde;
Ma deserti di fiori entro una blanda
Fascia di nivea luna;
Laghi, a cui fan gli azzurri ampia ghirlanda,
Senz'onda ed aura alcuna.
In palagi d'opale e di coralli
Avvolte in roseo velo
Pallide giovinette intesson balli
In tra la terra e il cielo.
In tra la terra e il ciel, come fragranza
Che il freddo acre molce,
S'alza un canto di pace e di speranza
Monotono, ma dolce.
O fratel mio, tal rigido paese
E' qui, dentro il mio core:
O amico e difensor bello e cortese,
Io non conosco amore.
VIII. - Ed ora addio, mio carissimo; e che il tuo Don Juan trovi presto la parola dell'amore e della redenzione.
Il tuo MARIO.
IX. - Ho dato mano ad un'altra serie di liriche sotto il titolo di «Laocoonte».