Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo (13 novembre 1891)
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Catania, 13 nov. '91
Non puoi immaginare con quanta gioia abbia riveduto, dopo tanto silenzio, il tuo scritto. La 2° «Aurispiana» è stata da un pezzo stampata, (publicata, non credo) e te la mando oggi stesso, sotto fascia.
Dei tuoi nuovi lavori, anzi fatiche, non so se debba compiacermi o dolermi.
Che tu sprechi tanto fiore d'ingegno e di tempo per provare, che un Faccio o un Aurispa qualunque si trovava in Napoli o in Roma o a casa del diavolo nel tal quarto d'ora, a me par proprio peccato; ma vedendoti armeggiare con tanta disinvoltura e valore in così fatti spineti, mi viene una gran voglia di baciarti e d'ammirare la facilità è la felicità straordinaria del tuo ingegno.
Triste è in ogni modo la condizione degli uomini di lettere in Italia, se per farsi uno stato (e non molto splendido, oh no davvero!) è necessario inzavorrarsi il cervello di letame erudito e nascondere l'ingegno con una foglia di fico, come se fosse una pudenda!
Buona fortuna, in ogni caso; e mandami tutto ciò che stampi, te ne prego. Di mio avrai fra poco una traduz. del Prometeo di Shelley.
Così potessi finir presto l'Atlantide, poema satirico, in 15 canti, in ottave! Ne ho già scritto una metà buona.
Oh! come farà lor levar le berze!...
Non ho mai scritto con tanta foga, con tanta vena e con tanta forza irresistibile; e ciò mi prova che ho trovato un buon filone.
Vedremo un po' se i morti son buoni ancora a fare impallidire i trionfatori!
Addio, addio, ed abbimi sempre per tuo
RAPISARDI.