Lettera a Edoardo Pantano (20 marzo 1882)
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20 marzo 1882
Rivendicando al popolo la gloriosa riscossa del Vespro, voi non avete fatto soltanto con l'Amari un servigio alla verità, della storia, ma sventato opportunamente le trame di coloro che, divenuti a un tratto e quasi per miracolo zelatori ardentissimi dell'onore italiano, vorrebbero dare alla Commemorazione di quel fatto il significato di una protesta se non d'una rappresaglia contro la Francia.
Se non conoscessimo l'indole di costoro e il fine a cui tendono le loro male arti, noi potremmo a buon diritto meravigliarci di sì fatta gente, che, pronta sempre finora nel reprimere e soffocare, quanto l'è stato possibile, i più nobili sentimenti del nostro popolo, si fa ora un sacro dovere di aizzarlo ed accanirlo contro la nazione francese, della quale essa non odia altro che la forma libera del reggimento.
Gli spegnitoi di ieri si son mutati oggi in accenditoi.
Povera Italia, se dovesse da loro aspettarsi la luce! Essi paiono strani ma pure sono logici, Amoreggiatori indefessi della Francia imperiale, non possono veder di buon occhio una repubblica, qualunque essa sia, che minaccia, non ostante le sue colpe, durare assai più che non l'avevano creduto.
Una repubblica fra la così detta razza latina!
Quale scandalo!
Una nuova repubblica accanto al felice italo regno!
Qual fomite di contagio! — Il popolo italiano, essi belano, è stato vilipeso a Tunisi, calpestato a Marsiglia: bisogna mostrare agli arroganti provocatori che noi abbiamo sangue nelle vene, che sappiamo farci rispettare: noi siamo gli ammiratori di Giovanni da Procida, noi! — Parlano di popolo italiano, di dignità e di indipendenza nazionale! Loro, i sollecitatori di un'altra santa alleanza!
Parlano di risentimenti del sangue! Loro, gli spettatori di Mentana ! Pretendono farsi rispettare ! I protettori e gli zimbelli del prete Pecci! Strane vicende di tempi!
Chi ci ha insultato a Tunisi ed a Marsiglia? La Francia? No; quelli che ci offendono in Francia sono i complici di coloro che parlano di rappresaglia in Italia: la stessa voce da maschere diverse; è la borghesia, crassa, furba, codarda che broglia, traffica e puttaneggia nei due paesi: la in berretto frigio, qui in ciarpa tricolore.
Bisogna scoparla: è la parola di Garibaldi.
Sì, perchè Garibaldi intende di parlare appunto di coloro che spadroneggiano in Francia, provocando l'Italia e calunniando la libertà.
Il vincitore di Dijon ha schiaffeggiato i trionfatori di Tunisi: è la libertà che schiaffeggia gli usurpatori.
Se Victor Hugo discendesse un tratto dall'olimpo della sua gloria a mirare in faccia la patria, a giudicare la repubblica dei Ferry, il Poeta dell'amore e della libertà non parlerebbe diversamente: a Napoleone il Piccolo seguirebbe la Piccola Repubblica.
Cessate dunque da menar gazzarra attorno al letto del vostro eroe; non confondete ad arte la santa indignazione di Garibaldi colle vostre collere fratricide, o confettatori di Giovanni da Procida.
La commemorazione del VI Centenario del Vespro, voi l'avete dimostrato, egregio signor Pantano, è un nobile richiamo del nostro popolo ad una delle sue glorie più schiette; è un avviso tempestivo alle male signorie, qualunque abbiano a essere le loro maschere e le loro forze; è una conferma di fratellanza tra i popoli nell'odio degli usurpatori, nel culto alla libertà.
Apostoli rimpiccicottati dell'onore d'Italia, lustratori di stemmi, leccatori di corte, emissari di Berlino e di Vienna, risparmiateci la vostra calorosa rettorica: il popolo italiano ha compreso.