Lettera a Calcedonio Reina (29 aprile 1887)
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Catania , 29 aprile 1887
Tu vuoi convertirmi a tutti i costi, mio caro Neddu; e dell'intenzione, che è certo buona, perchè d'animo ingenuo e benevolente, io ti sono gratissimo; ma, credi amico mio, di conversione io non ho punto bisogno.
La mia religione io l'ho; e quale essa sia tu lo sai, e lo sanno tutti coloro che hanno letto le mie opere; nè i miei amici dovrebbero sperare e desiderare che l'animo mio si muti Dum memor ipse mei, dum spiritus hos reget artus: salvo che la loro mente non veda per me altra salvezza che nel rammollimento del mio cervello e nell'assoluta rovina delle mie facoltà.
Giacchè la mia religione, mio caro Neddu, non è soltanto figlia del sentimento, ma è anche frutto di meditazioni e di convinzioni incrollabili; e non è cieca ed egoistica a spirazione a una felicità avvenire, ma bisogno operoso di amore e di carità, ma coscienza virile e imperterrita del vero, e coraggio, e direi anche forza irresistibile di predicarlo e di attuarlo e di farlo trionfare per il bene e per la felicità possibile del genere umano.
Che mi vai tu dunque parlando di chiesette in campagna e d'inferno e di paradiso?
Io ho distrutto per sempre queste volgari illusioni, e chi sospetta che io l'abbia fatto per fatuo desiderio di fama, acquistabile a prezzo di scandali, non conosce davvero l'animo mio, nè la mia vita; e fa prova più di malignità che di benevolenza.
Io rispetto le altrui opinioni, tollero gli altrui sentimenti qualunque siano, ma desidero che siano tollerati e rispettati i miei; e, se nella foga giovanile o nei primi impeti di ribellione io derisi e flagellai crudelmente gli animi dei credenti, ora riconosco che ho avuto torto, e mi ravvedo, e chiederei perdono alle coscienze offese; anche essendo certo di non ottenere da esse quella tolleranza, che io loro spontaneamente concedo.
Ma da questo a mutare le mie convinzioni c'è, come vedi, un abisso.
Vero è che io mi querelo qualche volta degli uomini e della natura, che la mia fede negli ideali umani vacilla, ma, se io non avessi argomento di scontentezza e momenti di scoraggiamento e di dubbio, io non sarei uomo, nè innamorato: chè l'essere felice, tu sai, è proprio degli dèi o dei porci; ed io, povero bipede pensante, me ne sto in mezzo, forse più vicino ai primi che ai secondi con tua buona pace.
Ma lasciamo questi discorsi, mio caro don Calcidonio: a noi importa l'amarci, non il convertirci.
Qualunque siano le nostre opinioni, noi siamo onesti però ci stimiamo e ci vogliamo bene: e l'amicizia nostra sarà di conforto a noi fino all'ultimo ed esempio a quei miseri che oggi sono amici come fratelli e domani si addentano come bestie, per intolleranza di opinioni e per ignobili affetti.
Addio, e vieni presto.