Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Simon Sanese

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Pietro Cavallini Romano Taddeo Gaddi

SIMON SANESE

Pittore

Felicissimi si possono dir gli artefici che, oltra l’eccellenza dell’arte loro, sono il piú delle volte accompagnati dalla natura di gentilezza e di bonissimi costumi. Ma piú felici ancora si possono chiamare quando, nascendo al tempo di qualche dotto o raro poeta, gli diventano amici, perché, oltra il dolce e virtuoso trattenimento della pratica loro, nel fargli un picciol ritratto od altra qualsivoglia cosa dell’arte, spesso poi ne ritraggono scritti del loro purgato et eterno inchiostro, in lode delle eccellenti pitture loro, le quali divengono eterne dove erano prima mortali. Laonde, fin che durano gli scritti loro, essi medesimamente in venerazione et in pregio si conservano. Perché le pitture, che sono in superficie et in campo di colore, non possono avere quella eternità che danno i getti di bronzo e le cose di marmo allo scultore. Le quali, ancora che tacciano, recano per la loro eccellenza e maraviglia e stupore ad ogni persona intelligente in tale arte. Fu adunche quella di Simone grandissima ventura, oltra la sua virtú, venire al tempo di Messer Francesco Petrarca, et abbattersi in Avignone alla corte, dove trovò questo amorosissimo poeta desideroso di avere la imagine di madonna Laura ritratta con bella grazia dalle dotte mani di maestro Simone. Perché, avendola poi come desiderava, ne fece memoria ne’ due sonetti, l’uno de i quali comincia:

Per mirar Policleto a prova fiso
Con gli altri che ebber fama di quell’arte,

e l’altro:

Quando giunse a Simon l’alto concetto
Ch’a mio nome gli pose in man lo stile.

Et invero questi sonetti hanno dato piú fama alla povera vita di maestro Simone che quanti pagamenti gli furono mai fatti per le sue opere e per le sue virtú, perché questi si consumano tosto, e quella, mentre gli scritti vivono, vive anch’ella con esso loro. Era maestro Simon Memmi sanese singulare maestro e bonissimo dipintore e molto stimato da i prelati in quel tempo. E questo nacque perché, dopo la morte di Giotto maestro suo, avendolo seguito a Roma quando dipinse la nave del musaico e l’altre sue cose, Simone, contrafacendo la maniera di Giotto, fece una Vergine Maria nel portico di San Pietro, et un San Pietro e San Paulo in quel luogo, vicino dov’è la pina di bronzo, in un muro fra gli archi del portico da la banda di fuori, e vi ritrasse un sagrestano di San Pietro che accende alcune lampade a dette sue figure. La quale opera fu del continuo tenuta molto bella da i cortigiani e da chi conobbe Simone. Ora stando la corte in Avignone per li comodi e per le voglie di papa Giovanni XXII, Simone fu fatto venire in quel luogo con grandissima instanza, dove lavorando molte pitture in fresco et in tavola, ne riportò lode infinita insieme con grandissima utilità. E ritornato in Siena sua patria, vi fu molto stimato, nascendo questo primieramente da l’eccellenti opere sue, e dal favore che aveva ricevuto appresso tanti signori nella corte del papa. Onde, dalla Signoria di Siena, gli fu dato a dipignere nel palazzo loro, in una sala, una Vergine Maria con molte figure attorno, la quale, finita che fu, venne in grandissimo nome fra gli artefici di quella città. Et avendola lavorata in fresco, volse ancora mostrare a’ Sanesi ch’egli era valentissimo maestro nella tempera. E perciò, dipignendo una tavola in detto palazzo, fu cagione di avere a fare nel duomo di Siena due bellissime tavole, e sopra la porta dell’opera del duomo una Nostra Donna co ’l Fanciullo in collo, in attitudine garbatissima e bella, dove è uno stendardo sostenuto in aria da alcuni angeli che volano e guardano allo ’ngiú certi santi, i quali intorno alla Nostra Donna fanno bellissimo componimento et ornamento grande.

Costui fu condotto dal generale di Santo Agostino in Fiorenza dove, lavorando il capitolo di Santo Spirito, mostrò invenzione e giudicio mirabile nelle figure e ne i cavalli fatti da lui, come in quel luogo ne fa fede la istoria della Passion di Cristo, nella quale si veggono ingegnosamente tutte le cose lavorate da lui esser lavorate con discrezione e con bellissima grazia. Veggonsi i ladroni in croce rendere il fiato, e l’anima del buono esser portata in cielo con allegrezza da gli angeli, e l’altra con alcuni diavoli con l’ali irsene tutta rabuffata a la ingiú, a ’l tormento dell’inferno. E si può dire che bellissima avvertenza mostrasse Simone in questa opera, figurando il pianto de gli angeli intorno al Crocifisso, il quale espresse con attitudini amarissime. Ma non è cosa che dia maggior contentezza che ’l vedere quegli spiriti che fendono l’aria con le spalle visibilissimamente, e quasi girando sostengono il moto del volar loro. Ma farebbono molto maggior fede de la eccellenza di Simone, se il tempo non avesse tolto via la bontà di questa opera, veramente lodatissima e bella. Costui lavorò tre facciate nel capitolo di Santa Maria Novella. Nella prima, che è sopra la porta donde vi si entra, fece la vita di San Domenico, et in quella che segue verso la chiesa, figurò la Religione di San Domenico pure combattente contra gli eretici, figurati per lupi che assalgono le pecore, ma da molti cani pezzati di bianco e di nero, sono ributtati, cacciati e morti. Fecevi ancora certi eretici i quali convinti nelle dispute stracciano i libri e pentiti si confessano, e cosí passano le anime a la porta del Paradiso, nel quale sono molte figurine che fanno diverse cose. In cielo si vede la gloria de’ santi et Iesú Cristo, e nel mondo qua giú rimangono i piaceri e’ diletti vani in figure che seggono, e massime donne. Tra le quali è madonna Laura del Petrarca, vestita di verde, con una piccola fiammetta di fuoco tra il petto e la gola, et è ritratta di naturale. Èvvi ancora la chiesa di Cristo et, a la guardia di quella, il papa, lo imperadore, i re, i cardinali, i vescovi e tutti i principi cristiani; e tra essi, a canto ad un cavaliere di Rodi, messer Francesco Petrarca, ritratto pure di naturale. Il che fece Simone per rinfrescare nelle opere sue la fama di chi lo aveva fatto immortale. Per la Chiesa Universale fece la chiesa di Santa Maria del Fiore di Firenze, non come ella sta oggi, ma come secondo il disegno suo egli arebbe voluto farla. Nella terza facciata, che è quella dello altare, fece la Passione di Cristo che esce di Ierusalem, e con la croce su la spalla se ne va al monte Calvario, e con esso un popolo grandissimo che lo accompagna. Appresso, lo essere levato in croce nel mezzo de’ ladroni, con tutte le altre appartenenze di questa istoria. Nella quale sono cavalli e diverse cose molto considerate per la invenzione. Èvvi ancora lo spogliare il Limbo de’ Santi Padri, con advertimenti non da maestro di quella età, ma da moderno e considerato. Con ciò sia che pigliando tutte le facce con diligentissima osservazione fa in ciascuna di quelle diverse istorie su per un monte e non divide con ornamenti tra storia e storia, come hanno usato di fare i vecchi, e con essi molti moderni, che fanno la terra sopra l’aria quattro o cinque volte, come è la cappella maggiore di questa medesima chiesa et il Campo Santo di Pisa.

Lavorò con Simone in questa opera Lippo Memmi suo fratello, il quale, se ben non era in questa arte quale fu lo eccellente Simone, seguitò nondimeno quanto piú poté la maniera del fratello, e tenendogli compagnia, fecero molte cose a fresco in Santa Croce in Fiorenza, et in Pisa a’ frati predicatori di Santa Caterina la tavola dello altar maggiore, et in San Paulo a Ripa d’Arno in fresco figure e storie bellissime. Et a Siena tornati, cominciò Simone una opera colorita grandissima sopra il portone di Camollia, dentrovi la Coronazione di Nostra Donna con infinite figure, la quale, sopravenendogli una grandissima infirmità, rimase imperfetta, et egli, vinto dalla gravezza di quella, passò di questa vita l’anno MCCCXLV, con grandissimo dolore di tutta la sua città, e da Lippo suo fratello gli fu data onorata sepoltura in San Francesco di Siena. Costui diede col tempo fine a parte dell’opere che Simone aveva lasciate imperfette, et in Santa Croce di Fiorenza dipinse due tavole et altre in buon numero per tutta Italia. Visse costui XII anni dopo la morte del fratello. E l’epitaffio di Simone fu questo:

SIMONI MEMMIO PICTORVM OMNIVM OMNIS AETATIS CELEBERRIMO. VIXIT ANNOS LX MENSES II DIES III.