Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Lorenzo di Bicci

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Taddeo Bartoli Proemio della seconda parte delle Vite

LORENZO DI BICCI

Pittore Fiorentino

Grandissima ventura hanno quelli che nello attendere ad una qualche bella professione o virtú, si invaghiscono in quel diletto che di questa sentono ogni ora; perché mentre che adoperano, passano lo ozio del tempo in uno esercizio onorato, lasciano fama e nome di loro, guadagnano lecitamente e fanno acquisto sempre di amici. Laonde con tanta tenerezza sono amati dagli uomini, che e’ si può dire che e’ ne siano padroni, e de le comodità di altrui acquistan sempre il comodo proprio. Percioché a chi serve altri bene e prestamente, non basta il pagamento per sodisfarlo, ma l’obligo entra poi di mezzo fra chi fa operare et esso operante. Questo espressamente si vide in Lorenzo di Bicci pittor pratico e spedito, il quale per dilettarsi del lavorare, come e’ fece, acquistò mezzi tali, che da ogni suo conoscente era tenuto di sí dolce pratica, che ogni persona ardeva di fargli piacere. Le figure sue tirano forte a la maniera di Taddeo Gaddi e de gli altri maestri inanzi, i quali si dilettò egli molto di contrafare, per piacergli quelle maniere. Fece Lorenzo in Santa Maria del Fiore a tutte le cappelle sotto le finestre figure, e per la chiesa la imagine de’ XII Apostoli per sacrare la chiesa e mettervi le croci. Nella chiesa di Camaldoli di Fiorenza, per la Compagnia de’ Martiri dipinse una facciata della storia loro con due cappelle. E nella chiesa del Carmino un’altra facciata, quando essi martiri sono condannati a la morte e vanno a ’l tormento, e tutti i crocifissi che da una pratica grande e maestria onesta sono condotti. Nelle quali opere si vede ingegno et infiniti suoi tratti in attitudine, per contrafar la natura. Su la piazza di Santa Croce fece fuori, nella facciata del convento, la storia d’un S. Tommaso col resto de gli Apostoli, il quale cerca la piaga a Cristo; e similmente una Assunta in cielo in campo d’oro, con infinito numero d’angeli intorno e San Tommaso che la cintola riceve frescamente e con vivi colori lavorati; et a canto a queste opre lavorò un San Cristofano, il quale è di altezza di braccia XIII e mezzo, nel quale mostrò grandissimo animo, non si essendo fin allora fatto le figure di maggior grandezza che di cinque braccia, eccetto però il San Cristofano di Buffalmacco. Dentro il convento lavorò all’entrata della porta del martello piú di XL frati, tutti vestiti di bigio, ne i quali volse mostrare Lorenzo la pratica e la scienza la quale aveva in lavorare in fresco; et a tutti variò il colore del bigio, che chi pendeva piú in rossigno e tanè e chi in azzurrino e gialliccio, per ciascuno differente talmente, ch’è cosa singulare. Dipinse ancora altre istorie per le mura e per le volte, con tanta facilità e prestezza, che si racconta di lui per vero che, avendo il guardiano del luogo che gli dava le spese fattolo chiamare a mensa, egli che aveva fatto lo intonaco per una figura e cominciatala appunto allora, rispose a quel frate che lo chiamava: "Fate le scodelle, ch’io fo questa figura e vengo". E però dicono che in Lorenzo si vide tanta velocità e risoluzione di quella maniera, quanta non fu in alcuno altro già mai. Fu di man sua il tabernacolo a fresco in sul canto delle monache di Fuligno e sopra alla porta della chiesa loro una Nostra Donna con alcuni santi, fra i quali si vede San Francesco il quale sposa la Povertà. Fu condotto in Arezzo, e vi dipinse la cappella maggiore di San Bernardo, convento de’ monachi di Monte Oliveto, con la storia di San Bernardo, fatta fare da Messer Carlo Marsupini. Et inoltre cominciò la cappella di Francesco Bacci Vecchio in San Francesco d’Arezzo similmente, a la quale finita la volta, ammalò di mal di petto e poco andò che guarito se ne tornò in Fiorenza e fece la sala vecchia di casa Medici nella Via Larga a Pier Francesco Vecchio.

Ebbe Lorenzo due figliuoli, Bicci e Neri, i quali furono ambidue pittori, non quali il padre il quale imitarono il piú che poterono. Per il che Bicci gli aiutò finire la cappella de’ Martini in San Marco, et infinite opere in Fiorenza e per il contado lavorarono; e Neri dipinse a fresco in Ogni Santi la cappella de’ Lenzi insieme con la tavola, dove ritrasse se medesimo vicin a Lorenzo suo padre. Et allo Ordine Camaldolese infinite opere fece, e similmente nel chiostro di San Brancazio e nella chiesa lavorò cose che non fa mestiero raccontarle. Ma Lorenzo, divenuto già vecchio, nella età di LXI anni ammalò di male di febbre ordinario, et appoco appoco si consumò, desiderando pure ritornare ad Arezzo a finire l’opra da lui cominciata, la quale, dopo la morte di Lorenzo, finí Pietro dal Borgo a San Sepolcro. Fu dopo che spirò da Bicci e da Neri pianto et infine con infiniti sospiri a la sepoltura accompagnato, e dolse la morte sua universalmente a tutti gli amici. Né mancò di poi chi lo onorasse di questo epitaffio:

LAVRENTIO BICCIO PICTORI ANTIQVORVM ARTIFICIO ET ELE-GANTIAE SIMILLIMO AC PROPE PARI BICCIVS ET NERIVS FILII ET ARTIS ET PIETATIS ERGO POSVERVNT.

IL FINE DELLA PRIMA PARTE DELLE VITE