Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Domenico Puligo

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David e Benedetto Ghirlandai Andrea da Fiesole

DOMENICO PULIGO

Pittore Fiorentino

Di grandissima maraviglia e di stupendissimo miracolo mi paiono molti nell’arte nostra, che nel continuo esercitare e praticare i colori, per uno instinto di natura e per uno uso di buona maniera presa da quegli senza disegno alcuno o fondamento dell’arte, conducono le cose loro a sí fatto termine, che elle si abbattono molte volte ad essere sí buone, che ancora che gli artefici di quelle non siano de’ rari, elle sforzano gli uomini a tener conto di loro e delle fatiche spese da essi in tale esercizio. E nel vero e’ si è visto già molte volte et in molti nostri pittori, che se coloro che hanno naturalmente bella maniera si vogliono esercitare con fatica e studio continovo, fanno l’opere loro piú vivaci e piú perfette che gli altri. Et ha tanta forza questo dono della natura che, benché e’ trascurino e lascino gli studi di tale arte et altro non seguino che l’uso solo del dipignere e del maneggiare i colori con grazia e fumeggiata maniera, il buono tuttavolta in loro infuso dalla natura apparisce sí nel primo aspetto delle opere loro, che elle mostrano tutte le parti eccellenti e maravigliose che sogliono minutamente apparire ne’ lavori di que’ maestri che noi tegnamo eccellenti e rari. E chi bramasse di questo una esperienza o testimonianza de’ tempi nostri, guardi le cose di Domenico Puligo pittore fiorentino, et avendo notizia delle cose della arte, conoscerà chiarissimamente quanto io ho detto. Costui seguitando la pittura con sí buon gusto, nel dimorar che fece con Ridolfo Ghirlandaio apprese il colorito vaghissimo, e quello continuò con maniera abbagliata, con perdere i contorni ne gli scuri de’ suoi colori, che piacendogli dare alle sue figure una aria gentile, fece in sua gioventú infiniti quadri con buona grazia e per Fiorenza e per mercatanti. Questi lavorati di buon garbo, furono cagione ch’egli si diede a i ritratti di naturale. E gli fece molto simili e molto vivi, e con essi bella pittura, come ancora ne fanno fede alcune teste di suo in casa Giuliano Scali. Diedesi appresso a fare opere grandi, e lavorò una tavola a Francesco del Giocondo a una sua cappella, nella tribuna dello altar maggiore de’ Servi in Fiorenza, dentrovi quando San Francesco riceve le stimite, cosa di colorito molto dolce e di morbidezza, lavorata magnificamente. E nel monistero di Cestello ad un Sagramento, lavorò a fresco due angeli; et in una cappella fece una tavola con molti santi, la quale di colorito e di morbidezza è simile all’altre cose sue. Gli fu da detti monaci fatto allogazione di lavorare alla Badia di Settimo in un chiostro tutte le storie de i sogni del Conte Ugo delle Sette Badie. E non molto dopo sul canto di via Mozza da Santa Caterina lavorò un tabernacolo a fresco. Fece ad Anghiari in una compagnia un Deposto di Croce, il quale fu tenuto dell’opere sue la migliore. E perché egli era persona che attendeva piú a’ quadri di Nostre Donne et a’ ritratti et alle teste che a opere grandi, consumò il tempo in quelle. Ma se Domenico avesse seguitato le fatiche dell’arte e non i piaceri del mondo, arebbe senza alcun dubbio fatto infinito profitto in tal mestiero; perché egli si vede che Andrea del Sarto, amico e domestico suo, in alcune cose di disegno lo soccorse, dove ben si pare che ci fosse il disegno buono et il colorito perfetto, per che egli corrotto da un suo uso di non molta fatica nelle cose, lavorava piú per fare opere che per fama. E ciò fu cagione ch’egli continuo praticava con persone allegre e con musici, alcune femmine e certi suoi amori seguendo. E però venendo la peste l’anno MDXXVII, praticando in casa alcune sue innamorate, da esse ne guadagnò la peste e la morte. E da uno amico poi questo distico:
Esse animum nobis coelesti e semine et aura,
Hic pingens, passim credita, vera docet.

Finí il corso della vita sua d’anni LII. Furono i colori per lui sí con unita maniera adoperati, che piú per questo merita lode che per altro. Rimasero molti discepoli suoi, fra gli altri Domenico Beceri fiorentino, il quale i colori pulitissimamente adoperando con bonissima maniera conduce l’opere sue.