Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Conclusione della opera a gli artefici et a' lettori

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Michelangelo Bonarroti Fiorentino

Quantunque sommamente mi siano piaciute, virtuosi artefici miei, e voi altri lettori nobilissimi, tutte quelle industriose e belle fatiche, che in un medesimo tempo, dilettando e giovando, abbelliscono et ornano il mondo; e che la affezzione anzi pur lo amor singulare, che io ho sempre portato e porto a gli operatori di quelle, mi avesse già molte volte spronato e stretto a difendere gli onorati nomi di questi, da le ingiurie della morte e del tempo ad onor loro et a benefizio di chiunque vuole imitargli; non pensava io però da principio distender mai volume sí largo, od allontanarmi nella ampiezza di quel gran pelago, dove la troppo bramosa voglia di satisfare a chi brama i primi principii delle nostre arti, e le calde persuasioni di molti amici, che per lo amore ch’e’ mi portano, molto piú si promettevano forse di me, che non possono le forze mie, et i cenni di alcuni padroni, che mi sono piú che comandamenti, finalmente contra mio grado m’hanno condotto. Ancora che con somma fatica mia e spesa e disagio, nel cercare minutamente dieci anni tutta la Italia per i costumi, sepolcri et opere di quegli artefici, de’ quali ho descritto le vite, e con tanta difficultà, che piú volte me ne sarei tolto giú per disperazione, se i fedeli e veri soccorsi de’ buoni amici, a’ quali mi chiamo e chiamerò sempre piú che obbligato, non mi avessero fatto buono animo e confortatomi a tirare avanti gagliardamente, con tutti quelli amorevoli aiuti che per loro si poteva, di advisi e riscontri diversi di varie cose, de le quali io stava perplesso, benché io le avessi vedute e considerate con gli occhi proprii. E tali veramente e sí fatti sono stati i predetti aiuti, che io ho potuto puramente scrivere il vero di tanti divini ingegni, e senza alcuno ombramento o velo semplicemente mandarlo in luce, non perché io ne aspetti o me ne prometta nome di storico o di scrittore, che a questo non pensai mai, essendo la mia professione il dipignere e non lo scrivere, ma solo per lasciare questa nota, memoria o bozza che io voglia dirla, a qualunque felice ingegno che, ornato di quelle rare eccellenzie che si appartengono a gli scrittori, vorrà con maggior suono e piú alto stile celebrare e fare immortali questi artefici gloriosi, che io semplicemente ho tolti alla polvere et alla oblivione, che già in gran parte gli avea soppressi. E mi sono ingegnato per questo effetto con ogni diligenzia possibile verificare le cose dubbiose, con piú riscontri, e registrare a ciascuno artefice nella sua vita quelle cose che elli hanno fatte. Pigliando nientedimeno i ricordi e gli scritti da persone degne di fede, e col parere e consiglio sempre degli artefici piú antichi che hanno avuto notizia delle opere, e quasi le hanno vedute fare. Inoltre mi sono aiutato ancora e non poco de gli scritti di Lorenzo Ghiberti, di Domenico del Ghirlandaio e di Raffaello da Urbino, a’ quali, ancora che io abbia aggiustato fede come giustamente si conveniva, ho pur sempre voluto riscontrar l’opere con la veduta; la quale per la lunga pratica (e sia detto ciò senza invidia) cosí riconosce le varie maniere degli artefici, come un pratico cancelliere, i diversi e variati scritti de’ suoi equali. Ora, se io arò conseguito il fine che sommamente desiderava, ciò è il far lume fra tante tenebre alle cose de’ nostri antichi e preparare la materia e la via a chi vorrà scriverle, mi sarà sommamente grato; e, dilettando e giovando in parte, mi parrà riportare e premio e frutto grandissimo de le lunghe fatiche e travagli che nella opera possono conoscersi. E quando pure altrimenti sia, e’ mi sarà contento non piccolo lo aver durato fatica in una cosa tanto onorevole, che io ne merto pietà non che perdono da le persone virtuose e da gli artefici miei, a chi bramava di satisfare, quantunque sí come io gli conosco varii e diversi nella maniera, cosí possa trovargli ancora ne’ giudizii e ne’ gusti loro. Dispiacerammi però e non poco il non avere onorato coloro che hanno fatto utile a sí belle arti, avendomi sempre le opere loro onorato e fatto grande utile. Avvenga che per il poco sapere che io ho, non ne riporti ancora quella palma che ho sempre cercata con ogni industria e sommamente desiderata, et a la qual forse sarei venuto, se io fussi tanto felice nello operare quanto ardente al considerarla, e volonteroso a lo esercitarmi. Ma per venire alfine oramai di sí lungo ragionamento, io ho scritto come pittore, e nella lingua che io parlo, senza altrimenti considerare se ella si è fiorentina o toscana, e se molti vocaboli delle nostre arti, seminati per tutta l’opera, possono usarsi sicuramente, tirandomi a servirmi di loro il bisogno di essere inteso da’ miei artefici, piú che la voglia di esser lodato. Molto meno ho curato ancora l’ordine comune della ortografia, senza cercare altrimenti se la Z è da piú che il T, o se si puote scriver senza H, perché, rimessomene da principio in persona giudiziosa e degna di onore, come a cosa amata da me e che mi ama singularmente, le diedi in cura tutta questa opera, con libertà e piena et intera di guidarla a suo piacimento; purché i sensi non si alterassino et il contenuto delle parole, ancora che forse male intessuto, non si mutasse. Di che (per quanto io conosco) non ho già cagione di pentirmi, non essendo massimamente lo intento mio lo insegnare scriver toscano, ma la vita e l’opere solamente degli artefici che ho descritti. Pigliate dunche quel ch’io vi dono, e non cercate quel ch’io non posso, promettendovi pur da me fra non molto tempo una aggiunta di molte cose appartenenti a questo volume, con le vite di que’ che vivono e son tanto avanti con gli anni, che mal si puote oramai aspettar da loro, molte piú opere che le fatte. Per le quali, e per supplire a quello che mancasse se pur mi si offerisse nulla di nuovo, non mi fia grave il pigliar la penna; e secondo che io vedrò queste mie fatiche grate et accette agli artefici miei et agli amatori di queste virtú, cosí ancor portarmi con essa a benefizio et onore di quegli a’ quali (perché io gli amo tutti sinceramente) ricordo io nella fine del ragionamento che egli è necessario a chi brama di esser lodato, nella belleza e bontà delle opere seguitar sempre l’orme de’ migliori e de’ piú valenti. A cagione che chi vorrà seguitar la istoria, possa giustamente con le onorate fatiche sue, fare apparire men chiare e men belle quelle de’ morti. Il che, artefici miei, tanto vi faccia di giovamento, quanto a me l’hanno fatto l’opere e’ gesti di coloro che io vado imitando nella nostra professione.

IL FINE