Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Capitolo 15

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CAP. XV

Come si fanno e si conoscono le buone pitture, et a che; e del disegno et invenzione delle storie.

La pittura è un piano coperto di campi di colori, in superficie o di tavola o di muro o di tela, intorno a diversi lineamenti, i quali per virtú di un buon disegno di linee girate circondano la figura. Questo sí fatto piano, dal pittore con retto giudizio mantenuto nel mezzo chiaro e negli estremi e ne’ fondi scuro et accompagnato tra questi e quello da colore mezzano tra il chiaro e lo scuro, fa che, unendosi insieme questi tre campi, tutto quello che è tra l’uno lineamento e l’altro si rilieva et apparisce tondo e spiccato. Bene è vero che questi tre campi non possono bastare ad ogni cosa minutamente, atteso che egli è necessario dividere qualunche di loro almeno in due spezie, faccendo di quel chiaro due mezzi e di quell’oscuro duae piú chiari, e di quel mezzo due altri mezzi che pendino l’uno nel piú chiaro e l’altro nel piú scuro. Quando queste tinte d’un color solo, qualunche egli si sia, saranno stemperate, si vedrà a poco a poco cominciare il chiaro e poi meno chiaro e poi un poco piú scuro, di maniera ch’a poco a poco troverremo il nero schietto. Fatte dunque le mestiche, ciò è il mescolare insieme questi colori, volendo lavorare o a olio o a tempera o in fresco si va coprendo il lineamento e mettendo a’ suoi luoghi i chiari e gli scuri et i mezzi e gli abbagliati de’ mezzi e de’ lumi che sono quelle tinte mescolate de’ tre primi, chiaro, mezzano e scuro; i quali chiari, mezzani e scuri et abbagliati si cavano da ’l cartone o vero altro disegno, che per tal cosa è fatto per porlo in opra; il qual è necessario che sia condotto con buona collocazione e disegno fondato e con giudizio et invenzione, atteso che la collocazione non è altro nella pittura che avere spartito in quel loco dove si fa una figura, che gli spazii siano concordi al giudizio de l’occhio e non siano disformi, ch’il campo sia in un luogo pieno e ne l’altro voto; la qual cosa nasca da ’l disegno e da lo avere ritratto o figure di naturale vive o da modelli di figure fatte per quello che si voglia fare. Il qual disegno non può avere buon’origine se non s’ha dato continuamente opera a ritrare cose naturali, e studiato pitture d’eccellenti maestri ed istatue antiche di rilievo. Ma sopra tutto il meglio è gl’ignudi degli uomini vivi e femine, e da quelli avere preso in memoria per lo continuo uso i muscoli del torso, delle schiene, delle gambe, delle braccia, delle ginochia e l’ossa di sotto, e poi avere sicurtà, per lo tanto studio, che senza avere i naturali inanzi si possa formare di fantasia da sé attitudini per ogni verso; cosí aver veduto de gli uomini scorticati, per sapere come stanno l’ossa sotto et i muscoli et i nervi, con tutti gli ordini e termini della notomia, per potere con maggior sicurtà e piú rettamente situare le membra nello uomo e porre i muscoli nelle figure. E coloro che ciò sanno, forza è che faccino perfettamente i contorni delle figure, le quali dintornate come elle debbono, mostrano buona grazia e bella maniera. Perché chi studia le pitture e sculture buone, fatte con simil modo vedendo et intendendo il vivo, è necessario che abbi fatto buona maniera nell’arte. E da ciò nasce l’invenzione, la quale fa mettere insieme in istoria le figure a quattro, a sei, a dieci, a venti, talmente che si viene a formare le battaglie e l’altre cose grandi della arte. Questa invenzione vuol in sé una convenevolezza formata di concordanzia e di obedienza; che s’una figura si muove per salutare un’altra, non si faccia la salutata voltarsi indietro, avendo a rispondere, e con questa similitudine tutto il resto. La istoria sia piena di cose variate e differenti l’una da l’altra, ma a proposito sempre di quello che si fa e che di mano in mano figura lo artefice. Il quale debbe distinguere i gesti e l’attitudini, facendo le femmine cum aria dolce e bella e similmente i giovani; ma i vecchi gravi sempre di aspetto et i sacerdoti massimamente e le persone di autorità. Advertendo però sempre mai che ogni cosa corrisponda ad un tutto della opera, di maniera che quando la pittura si guarda, vi si conosca una concordanzia unita che dia terrore nelle furie e dolcezza negli effetti piacevoli, e rappresenti in un tratto la intenzione del pittore, e non le cose che e’ non pensava. Conviene adunque per questo che e’ formi le figure, che hanno ad esser fiere, con movenzia e con gagliardia; e sfugga quelle che sono lontane da le prime con l’ombre e con i colori appoco appoco dolcemente oscuri; di maniera che l’arte sia accompagnata sempre con una grazia di facilità e di pulita leggiadria di colori, e condotta l’opera a perfezzione, non con uno stento di passione crudele, che gl’uomini che ciò guardano abbino a patire pena della passione che in tal opera veggono sopportata dallo artefice, ma da ralegrarsi della felicità, che la sua mano abbia avuto dal cielo quella agilità, che renda le cose finite con istudio e fatica sí, ma non con istento; tanto che dove elle sono poste non siano morte, ma si appresentino vive e vere a chi le considera. Guardinsi da le crudezze, e cerchino che le cose, che di continuo fanno, non paino dipinte, ma si dimostrino vive e di rilievo fuor della opera loro; e questo è il vero disegno fondato e la vera invenzione che si conosce esser data da chi le ha fatte alle pitture da chiamar buone.