Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Capitolo 1

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Proemio Capitolo 2

CAP. I

De le diverse pietre che servono a gli architetti per gli ornamenti e per le statue alla scoltura.

Quanto sia grande l’utile, che ne apporta l’architettura, non accade a me raccontarlo, per trovarsi molti scrittori i quali diligentissimamente et a lungo n’hanno trattato. E per questo lasciando da una parte le calcine, le arene, i legnami, i ferramenti, e ’l modo del fondare e tutto quello che si adopera alla fabrica, e l’acque, le regioni et i siti largamente già descritti da Vitruvio e dal nostro Leon Batista Alberti, ragionerò solamente, per servizio de’ nostri artefici e di qualunque brama sapere, come debbano essere universalmente le fabriche, e quanto di proporzione unite e di corpi, per conseguire quella graziata bellezza che si desidera, brevemente raccorrò insieme tutto quello che mi parrà necessario a questo proposito. Et accioché piú manifestamente apparisca la grandissima difficultà del lavorar delle pietre, che son durissime e forti, ragioneremo distintamente, ma con brevità, di ciascuna sorte di quelle che maneggiano i nostri artefici, e primieramente del porfido. Questo è una pietra rossa con minutissimi schizzi bianchi condotta nella Italia già de lo Egitto; dove comunemente si crede che nel cavarla ella sia piú tenera che quando ella è stata fuori della cava alla pioggia, al ghiaccio et al sole; perché tutte queste cose la fanno piú dura e piú difficile a la|vorarla. Di questa se ne veggono infinite opere lavorate, parte con gli scarpelli, parte segate, e parte con ruote e con gli smerigli consumate a poco a poco; come se ne vede in diversi luoghi diversamente piú cose, ciò è quadri, tondi et altri pezzi spianati per far pavimenti e cosí statue per gli edifici, et ancora grandissimo numero di colonne e picciole e grandi, e fontane con teste di varie maschere intagliate con grandissima diligenzia. Veggonsi ancora oggi sepolture con figure di basso e mezzo rilievo condotte con gran fatica, come al Tempio di Bacco fuor di Roma, a Santa Agnesa, la sepoltura che e’ dicono di Santa Gostanza figliuola di Gostantino Imperadore, dove son dentro molti fanciulli con pampani et uve, che fanno fede della difficultà ch’ebbe chi la lavorò nella durezza di quella pietra. Il medesimo si vede in un pilo a Santo Ianni Laterano, vicino alla Porta Santa, ch’è storiato; et evvi dentro gran numero di figure. Vedesi ancora sulla piazza della Ritonda una bellissima cassa fatta per sepoltura, la quale è lavorata con grande industria e fatica; et è per la sua forma di grandissima grazia e di somma bellezza e molto varia dall’altre. Et in casa di Egidio e di Fabio Sasso ne soleva essere una figura a sedere di braccia tre e mezzo, condotta a’ dí nostri con il resto delle altre statue in casa Farnese. Nel cortile ancora di casa La Valle sopra una finestra una lupa molto eccellente, e nel lor giardino i due prigioni legati, del medesimo porfido, i quali son quattro braccia d’altezza l’uno, lavorati da gli antichi con grandissimo giudicio, arte e disegno; i quali sono oggi lodati straordinariamente da tutte le persone eccellenti, conoscendosi la difficultà che hanno avuto a condurli per la durezza della pietra. A’ dí nostri non s’è mai condotto pietre di questa sorte a perfezzione alcuna, per a|vere gli artefici nostri perduto il modo del temperare i ferri e cosí gli altri stormenti da condurle. Vero è che se ne va segando con lo smeriglio rocchi di colonne e molti pezzi, per accomodarli in ispartimenti per piani e cosí in altri varii ornamenti per fabriche, andandolo consumando a poco a poco con una sega di rame senza denti tirata dalle braccia di due uomini, la quale con lo smeriglio ridotto in polvere e con l’acqua che continuamente la tenga molle, finalmente pur lo ricide. Ma per volerne fare o colonne o tavole, cosí si lavora: fannosi per questo effetto alcune martella gravi e grosse con le punte d’acciaio temperato fortissimamente col sangue di becco e lavorate a guisa di punte di diamanti, con le quali picchiando minutamente in sul porfido e scantonandolo a poco a poco il meglio che si può, si riduce pur finalmente o a tondo o a piano come piú aggrada allo artefice, con fatica e tempo non picciolo, ma non già a forma di statue, che di questo non abbiamo la maniera; e si gli dà il pulimento con lo smeriglio e col cuoio strofinandolo, che viene di lustro molto pulitamente lavorato e finito.

Succede al porfido il serpentino, il quale è pietra di color verde scuretta alquanto, con alcune crocette dentro giallette e lunghe per tutta la pietra, della quale nel medesimo modo si vagliono gli artefici per far colonne e piani per pavimenti per le fabriche; ma di questa sorte non s’è mai veduto figure lavorate, ma sí bene infinito numero di base per le colonne e piedi di tavole et altri lavori piú materiali. Perché questa sorte di pietra si schianta, ancor che sia dura piú che ’l porfido, e riesce a lavorarla piú dolce e men faticosa che ’l porfido, e cavasi in Egitto e nella Grecia, e la sua saldezza ne’ pezzi non è molto grande.

Piú tenera poi di questa è il cipollaccio, pietra che si | cava in diversi luoghi; il quale è di color verde acerbo e gialletto, et ha dentro alcune macchie nere quadre picciole e grandi, e cosí bianche alquanto grossette, e si veggono di questa sorte in piú luoghi colonne grosse e sottili e porte et altri ornamenti, ma non figure. Questa piglia il pulimento come il porfido et il serpentino et ancora si sega come l’altre sorti di pietra dette di sopra, e se ne trovano in Roma infiniti pezzi sotterrati nelle ruine che giornalmente vengono a luce, e delle cose antiche se ne sono fatte opere moderne, porte et altre sorti di ornamenti che fanno, dove elle si mettono, ornamento e grandissima bellezza. Ècci un’altra pietra chiamata mischio dalla mescolanza di diverse pietre congelate insieme e fatto tutt’una dal tempo e dalla crudezza dell’acque. E di questa sorte se ne trova copiosamente in diversi luoghi, come ne’ monti di Verona, in quelli di Carrara et in quei di Prato in Toscana, cosí nella Grecia e nello Egitto, che son molto piú duri che i nostri italiani; e di questa ragion pietra se ne trova di tanti colori quanto la natura lor madre s’è di continuo dilettata e diletta di condurre a perfezzione. Di questi sí fatti mischi se ne veggono in Roma ne’ tempi nostri opere antiche e moderne, come colonne, vasi, fontane, ornamenti di porte e diverse incrostature per gli edifici e molti pezzi ne’ pavimenti. Se ne vede diverse sorti di piú colori, chi tira al giallo et al rosso, alcuni al bianco et al nero, altri al bigio et al bianco pezzato di rosso e venato di piú colori; cosí certi rossi, verdi, neri e bianchi che sono orientali, ch’è specie piú dura e piú bella di colore e piú fine, come ne fanno fede oggi due colonne di braccia dodici di altezza nella entrata di San Pietro di Roma, le quali reggono le prime navate, et una n’è da una banda e l’altra dall’altra. Di questa sorte quella ch’è ne’ | monti di Verona è molto piú tenera che l’orientale infinitamente, e ne cavano in questo luogo d’una sorte ch’è rossiccia e tira in color ceciato; e queste sorti si lavorano tutte bene a’ giorni nostri con le tempere e co’ ferri sí come le pietre nostrali, e se ne fa e finestre e colonne e fontane e pavimenti e stipidi per le porte e cornici, come ne rende testimonanza la Lombardia e tutta la Italia ancora. Trovasi un’altra sorte di pietra durissima, molto piú ruvida e picchiata di neri e bianchi e talvolta di rossi, dal tiglio e dalla grana di quella, comunemente detta granito. Della quale si truova nello Egitto saldezze grandissime e da cavarne altezze incredibili, come oggi si veggono in Roma negli obelischi, aguglie, piramidi, colonne et in que’ grandissimi vasi de’ bagni che abbiamo a San Piero in Vincola et a San Salvatore del Lauro et a San Marco et in colonne quasi infinite, che per la durezza e saldezza loro non hanno temuto fuoco né ferro; et il tempo istesso, che tutte le cose caccia a terra, non solamente non le ha distrutte, ma né pur cangiato loro il colore. E per questa cagione gli Egizzii se ne servivano per i loro morti, scrivendo in queste aguglie coi caratteri loro strani la vita de’ grandi per mantener la memoria della nobiltà e virtú di quegli. Venivane d’Egitto medesimamente d’una altra ragione bigio, il quale tra’ piú in verdiccio i neri et i picchiati bianchi, molto duro certamente, ma non sí che i nostri scarpellini per la fabrica di San Pietro non abbiano delle spoglie, che hanno trovato messe in opera, fatto sí che con le tempere de’ ferri che ci sono al presente, hanno ridotto le colonne e l’altre cose a quella sottigliezza ch’hanno voluto e datoli bellissimo pulimento simile al porfido. Di questo granito bigio è dotata la Italia in molte parti, ma le maggiori saldezze | che si trovino sono nell’isola dell’Elba, dove i Romani tennero di continuo uomini a cavare infinito numero di questa pietra. E di questa sorte ne sono parte le colonne del portico della Ritonda, le quali son molto belle e di grandezza straordinaria; e vedesi che nella cava quando si taglia, è piú tenero assai che quando è stato cavato, e che vi si lavora con piú facilità. Vero è che bisogna per la maggior parte lavorarlo con quelle martelline che abbiano la punta come quelle del porfido e nelle gradine una dentatura tagliente dall’altro lato.

Cavasi del medesimo Egitto e di alcuni luoghi di Grecia ancora, certa sorte di pietra nera detta paragone, la quale ha questo nome perché volendo saggiar l’oro, s’arruota su quella pietra e si conosce il colore, e per questo paragonandovi su, vien detto paragone; questa è di piú specie di grana e di colore, che chi non ha il nero morato affatto, e chi non è gentile di grana o finezza, della quale ne fecero gli antichi alcune di quelle sfingi et altri animali, come in Roma in diversi luoghi, e di maggior saldezza una figura in Parione d’uno ermafrodito accompagnata da un’altra statua di porfido bellissima. La qual pietra è dura a intagliarsi, ma è bella straordinariamente e piglia un lustro molto mirabile. Di questa medesima sorte se ne trova ancora in Toscana ne’ monti di Prato, vicino a Fiorenza a X miglia, e cosí ne’ monti di Carrara, della quale alle sepolture moderne se ne veggono molte casse e dipositi per i morti, e nella incrostatura di fuori del tempio di Santa Maria del Fiore di Fiorenza, per tutto lo edificio è una sorte di marmo nero e marmo rosso, che tutto si lavora in un medesimo modo.

Cavasi alcuna sorte di marmi in Grecia et in tutte le parti d’Oriente, che son bianchi e gialleggiano e traspaiono molto, i quali erano adoperati da gli antichi per | bagni e per stuffe e per tutti que’ luoghi dove il vento potesse offendere gli abitatori. Come oggi se ne veggono ancora alcune finestre nella tribuna di San Miniato a Monte, luogo de’ monaci di Monte Oliveto in su le porte di Fiorenza, che rendono chiarezza e non vento. E con questa invenzione riparavano al freddo e facevano lume alle abitazioni loro. In questa cava medesima cavavano altri marmi senza vene, ma del medesimo colore, del quale eglino facevano le piú nobili statue. Questi marmi di tiglio e di grana erano finissimi e se ne servivano ancora tutti quegli che intagliavano capitegli, ornamenti et altre cose di marmo per l’architettura. E vi eran saldezze grandissime di pezzi, come appare ne’ giganti di Monte Cavallo di Roma e nel Nilo di Belvedere et in tutte le piú degne e celebrate statue. E si conoscono esser greche, oltra il marmo, alla maniera delle teste et alla acconciatura del capo et a i nasi delle figure, i quali sono dall’appiccatura delle ciglia alquanto quadri fino alle nare del naso. E questo si lavora coi ferri ordinarii e coi trapani, e si gli dà il lustro con la pomice e col gesso di Tripoli, col cuoio e struffoli di paglia. Sono nelle montagne di Carrara, nella Carfagnana vicino a i monti di Luni, molte sorti di marmi, come marmi neri et alcuni che traggono in bigio, et altri che sono mischiati di rosso et alcuni altri che son con vene bigie che sono crosta sopra a’ marmi bianchi; perché non son purgati, anzi offesi dal tempo, dall’acqua e dalla terra, piglian quel colore. Cavansi ancora altre specie di marmi che son chiamati cipollini e saligni e campanini e mischiati, e per lo piú una sorte di marmi bianchissimi e lattati che sono gentili et in tutta perfezzione per far le figure. E vi s’è trovato da cavarsi saldezze grandissime, e se n’è cavato ancora a’ gior|ni nostri pezzi di nove braccia per far giganti; e d’un medesimo sasso cavatone due, et inoltre colonne della medesima altezza per la facciata di San Lorenzo condottane una in Fiorenza. Et in queste cave s’essercitarono tutti gli antichi; et altri marmi che questi non adoperarono per fare que’ maestri che furon sí eccellenti le loro statue essercitandosi di continuo, mentre si cavavano le lor pietre per far le loro statue, in fare ne’ sassi medesimi delle cave bozze di figure; come ancora oggi se ne veggono le vestigia di molte in quel luogo. Di questa sorte adunque cavano oggi i moderni le loro statue, e non solo per il servizio della Italia, ma se ne manda in Francia, in Inghilterra, in Ispagna et in Portogallo; come appare oggi per la sepoltura fatta in Napoli da Giovan da Nola, scultore eccellente a Don Pietro di Toledo Viceré di quel regno, che tutti i marmi gli furon donati e condotti in Napoli dallo illustrissimo et eccellentissimo Signore Cosmo de’ Medici Duca di Fiorenza, la quale opra si conduce in Ispagna. Questa sorte di marmi ha in sé saldezze maggiori e piú pastose e morbide a lavorarle, e se le dà bellissimo pulimento piú ch’ad altra sorte di marmo. Vero è che si viene talvolta a scontrarsi in alcune vene, domandate da gli scultori smerigli, i quali sogliono rompere i ferri. Questi marmi si abbozzano con una sorte di ferri chiamati subbie, che hanno la punta a guisa di pali a facce e piú grossi e sottili; e di poi seguitano con scarpelli detti calcagnuoli, i quali nel mezzo del taglio hanno una tacca, e cosí con piú sottili di mano in mano, che abbiano piú tacche, e gli intaccano quando sono arruotati con uno altro scarpello. E questa sorte di ferri chiamano gradine, perché con esse vanno gradinando e riducendo a fine le lor figure; dove poi con lime di ferro diritte e torte vanno levando le gra|dine che son restate nel marmo: e cosí poi con la pomice arruotando a poco a poco gli fanno la pelle che vogliano; e tutti gli strafori che fanno, per non intronare il marmo gli fanno con trapani di minore e maggior grandezza e di peso di dodici libre l’uno e qualche volta venti, che di questi ne hanno di piú sorte, per far maggiori e minori buche, e gli servon questi per finire ogni sorte di lavoro e condurlo a perfezzione. De’ marmi bianchi venati di bigio gli scultori e gli architetti ne fanno ornamenti per porte e colonne per diverse case; servonsene per pavimenti e per incrostature nelle lor fabriche, e gli adoperano a diverse specie di cose; similmente fanno di tutti i marmi mischiati.

I marmi cipollini sono un’altra specie, di grana e colore differente, e di questa sorte n’è ancora altrove che a Carrara; e questi il piú pendono in verdiccio e son pieni di vene, che servono per diverse cose e non per figure. Quegli che gli scultori chiamano saligni, che tengono di congelazione di pietra per esservi que’ lustri ch’appariscono nel sale e traspaiono alquanto, è fatica assai a farne le figure; perché hanno la grana della pietra ruvida e grossa e perché ne’ tempi umidi gocciano acqua di continuo o vero sudano. Quegli che si dimandano campanini son quella sorte di marmi che suonano quando si lavorano et hanno un certo suono piú acuto degli altri; questi son duri e si schiantano piú facilmente che l’altre sorti sudette e si cavano a Pietrasanta.

Cavasi un’altra sorte di pietra chiamato trevertino, il quale serve molto per edificare e fare ancora intagli di diverse ragioni; che per Italia in molti luoghi se ne va cavando, come in quel di Lucca et a Pisa et in quel di Siena da diverse bande, ma le maggiori saldezze e le migliori pietre, ciò è quelle che son piú gentili, si ca|vano in sul fiume del Teverone a Tigoli, ch’è tutta specie di congelazione d’acque e di terra, che per la crudezza e freddezza sua non solo congela e petrifica la terra, ma i ceppi, i rami e le fronde de gli alberi. E per l’acqua che riman dentro non si potendo finire di asciugare quando elle son sotto l’acqua, vi rimangono i pori della pietra cavati, che pare spugnosa e buccheraticcia egualmente di dentro e di fuori. Gli antichi di questa sorte pietra fecero le piú mirabili fabriche et edifici che facessero; come appare il Coliseo e l’Erario da San Cosmo e Damiano e molti altri edifici, e ne mettevano ne’ fondamenti delle lor fabriche infinito numero; e lavorandoli non furon molto curiosi di farli finire, ma se ne servivano rusticamente. E questo forse facevano perché hanno in sé una certa grandezza e superbia. Ma ne’ giorni nostri s’è trovato chi gli ha lavorati sottilissimamente, come si vede in quel tempio tondo, ch’è cominciato e non finito, salvo che tutto il basamento, in sulla piazza di San Luigi de’ Francesi in Roma; il quale fu condotto da un francese chiamato Maestro Gian che studiò l’arte dello intaglio in Roma e divenne tanto raro che fece il principio di questa opera, la quale può stare al paragone di quante cose eccellenti antiche e moderne che si sian viste d’intaglio di tal pietra, per avere straforato sfere di astrologi et alcune salamandre nel fuoco, imprese reali, et in altre libri aperti con le carte lavorati con diligenza, trofei e maschere, le quali rendono testimonio della eccellenza e bontà da poter lavorarsi quella pietra simile al marmo, ancor che sia rustica; e recasi in sé una grazia per tutto, vedendo quella spugnosità de’ buchi unitamente, che fa bel vedere. Questa sorte di pietra è bonissima per le muraglie, avendo sotto squadratola o scorniciata, perché si può incrostarla di stucco, con coprirla con | esso et intagliarvi ciò ch’altri vuole; come fecero gli antichi nelle entrate publiche del Culiseo et in molti altri luoghi; e come ha fatto a’ giorni nostri Antonio da San Gallo nella sala del palazzo del papa dinanzi alla capella, dove ha incrostato de’ trevertini con stucco con vari intagli eccellentissimamente.

Ècci un’altra sorte di pietre che tendono a ’l nero e non servono a gli architettori se non a lastricare tetti. Queste sono lastre sottili, prodotte a suolo a suolo dal tempo e dalla natura per servizio degli uomini, che ne fanno ancora pile, murandole talmente insieme che elle commettino l’una ne l’altra, e le empiono d’olio secondo la capacità de’ corpi di quelle, e sicurissimamente ve lo conservano. Nascono queste nella riviera di Genova, et i pittori se ne servono a lavorarvi su le pitture a olio, perché elle vi si conservano su molto piú lungamente che nelle altre cose, come al suo luogo si ragionerà ne’ capitoli della pittura. Adviene questo medesimo de la pietra detta piperno, pietra nericcia e spugnosa come il trevertino, la quale si cava per la campagna di Roma; e se ne fanno stipiti di finestre e porte in diversi luoghi come a Napoli et in Roma; e serve ella ancora a’ pittori a lavorarvi su a olio, come al suo luogo racconteremo.

Cavasi ancora in Istria una pietra bianca livida, la quale molto agevolmente si schianta; e di questa sopra di ogni altra si serve non solamente la città di Vinegia, ma tutta la Romagna ancora, facendone tutti i loro lavori, e di quadro e d’intaglio. E con sorte di stromenti e ferri piú lunghi che gli altri la vanno lavorando, e massimamente con certe martelline, e vanno secondo la falda della pietra, per essere ella tanto frangibile. E di questa sorte pietra ne ha messo in opera una gran copia Messer Iacopo Sansovino, il quale ha fatto in Vinegia lo edificio dorico della Panatteria et il | toscano alla Zecca in sulla piazza di San Marco. E cosí tutti i lor lavori vanno facendo per quella città, e porte, finestre, cappelle et altri ornamenti che lor vien comodo di fare; nonostante che da Verona per il fiume dello Adige abbino comodità di condurvi i mischi et altra sorte di pietre, delle quali poche cose si veggono, per aver piú in uso questa. Nella quale spesso vi commettono dentro porfidi, serpentini et altre sorti di pietre mischie che fanno, accompagnate con esse, bellissimo ornamento.

Restaci la pietra serena e la bigia detto macigno e la pietra forte che molto s’usa per Italia, dove son monti e massime in Toscana, per lo piú in Fiorenza e nel suo dominio. Quella ch’eglino chiamano pietra serena è quella sorte che trae in azzurrigno o vero tinta di bigio, della quale n’è ad Arezzo cave in piú luoghi, a Cortona, a Volterra e per tutti gli Appennini, e ne’ monti di Fiesole è bellissima, per esservisi cavato saldezze grandissime di pietre, come veggiamo in tutti gli edifici che sono in Fiorenza fatti da Filippo di Ser Brunellesco, il quale fece cavare tutte le pietre di San Lorenzo e di Santo Spirito et altre infinite che sono in ogni edificio per quella città. Questa sorte di pietra è bellissima a vedere, ma dove sia umidità e vi piova su o abbia ghiacciati addosso, si logora e si sfalda; ma al coperto ella dura in infinito. Ma molto piú durabile di questa e regge piú e molto piú bel colore è una sorte di pietra azzurrigna che si dimanda oggi la pietra del Fossato; la quale quando si cava il primo filare, è ghiaioso e grosso, il secondo mena nodi e fessure, il terzo è mirabile perché è piú fine. Della qual pietra Michele Agnolo s’è servito nella libreria e sagrestia di San Lorenzo, per Papa Clemente; la qual pietra è gentile di grana, et ha fatto condurre le cornici, le colonne | et ogni lavoro con tanta diligenza, che d’argento non resterebbe sí bella. E questa piglia un pulimento bellissimo e non si può desiderare in questo genere cosa migliore.

Fuor di questa n’è un’altra specie, ch’è detta pietra serena per tutto il monte, ch’è piú ruvida e piú dura e non è tanto colorita, che tiene di specie di nodi della pietra; la quale regge all’acqua, al ghiaccio, e se ne fa figure et altri ornamenti intagliati. E di questa n’è la Dovizia, figura di man di Donatello in su la colonna di Mercato Vecchio in Fiorenza, cosí molte altre statue fatte da persone eccellenti non solo in quella città, ma per il dominio.

Cavasi per diversi luoghi la pietra forte, la qual regge all’acqua, al sole, al ghiaccio et a ogni tormento; e vuol tempo a lavorarla, ma si conduce molto bene; e non v’è molte gran saldezze. Della quale se n’è fatto, e per i Gotti e per i moderni, i piú belli edifici che siano per la Toscana. Questa ha il colore alquanto gialliccio, con alcune vene di bianco sottilissime che le danno grandissima grazia; e cosí se n’è usato fare qualche statua ancora, dove abbiano a esser fontane, perché reggano all’acqua. E di questa sorte pietra è murato il palazzo de’ Signori, la Loggia, Or San Michele, et il di dentro di tutto il corpo di Santa Maria del Fiore e cosí tutti i ponti di quella città, il palazzo de’ Pitti e quello de gli Strozzi. Questa vuole esser lavorata con le martelline, perch’è piú soda; e cosí l’altre pietre sudette vogliono esser lavorate nel medesimo modo che s’è detto del marmo e dell’altre sorti di pietre. Imperò, nonostante le buone pietre e le tempere de’ ferri, è di necessità l’arte, l’intelligenza e giudicio di coloro che le lavorano; perch’è grandissima differenza ne gli artefici, tenendo una misura medesima da mano a mano, in dar grazia e bellezza all’opere che si lavora|no. E questo fa discernere e conoscere la perfezzione del fare da quegli che sanno a quei che manco sanno. Per consistere adunque tutto il buono e la bellezza delle cose estremamente lodate ne gli estremi della perfezzione che si dà alle cose, che tali son tenute da coloro che intendono, bisogna con ogni industria ingegnarsi sempre di farle perfette e belle, anzi bellissime e perfettissime.