Le tre parche/II. Lachesi
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Poi ch’ebbe il suo cantar fornito quella
de l’Erebo figliuola e de la Notte,
ch’or pia ritorce il fuso ed ora fella,
le mastre man fatali, preste e dotte,
5a le candide fila ratto pose,
che sovvra il naspo aveva giá ridotte.
Ma chi le fila, allora si compose
al canto, e disse con benigni accenti
le non vedute ancor sí rare cose:
10- O fortunate e aventurose genti,
cui posseder è dato tanto figlio,
che vincerá d’onor e’ suoi parenti:
quando il suo stame ne le mani i’ piglio,
e quel filando in lungo ’i meno uguale,
15e men d’ogn’altro filo i’ l’assottiglio,
ben veggio che non fu d’alcun mortale
sí caro al ciel o ricco stame mai,
che sovvra tutti di finezza sale.
Però cresci, fanciul, ch’avanzerai
20in questa prima etá tutti i tuoi pari,
anzi qui senza par chiaro vivrai.
Indi crescendo, acciò che dotto appari
lustrar Parnaso e con la cetra in collo
paragonarti co’ i piú dotti e rari,
25sará tua fida scorta il biondo Apollo,
e le nove sorelle t’avran seco,
che d’Aganippe ti faran satollo;
onde del chiar latino stile e greco
i fior raccoglierai, e de la nostra
30e d’ogni etate il pregio sará teco.
E come perla il mastro indora o inostra,
cosí de l’eloquenzia il sacro fiore
d’ogni bel dir fregiato in te si mostra.
E quanto ne gli studi fia maggiore
35il bell’ingegno tuo, chiaro e polito,
sará ne l’armi tant’acceso il core.
Ti veggio a Marte ed a Minerva unito,
or con la penna ed or col dardo in mano,
dotto, eloquente, saggio, forte e ardito.
40Ti veggio col compagno in ampio piano,
gettate l’armi, a la lutta venire,
e quel sotto di te giacer umano.
Ti veggio dal nemico sí schermire,
e quel da te scacciar sí fieramente,
45che sbigottito non sa dove gire.
Né questo t’alzerá però la mente,
che soperbo ti mostri a chi ti cede,
ma pietoso sarai, gientil, clemente.
Or sovvra un gran cavall’ ogni uom ti vede
50con gli speroni a’ fianchi e man maestra
far cose che son fòr d’umana fede:
ch’or lo rivolgi in un momento a destra,
or a salti lo spingi e lo ritiri:
in l’aria ancor lo volti da sinestra,
55in poco spazio il ruoti in mille giri,
e ne’ prati col corso adegui il vento:
poi nel maggior furor il fermi e giri.
Lo sferzi a’ fossi, e quegli in un momento
com’un augel trapassi, e spesso in alto
60la mazza vibri al ripigliar non lento.
Chi potrá teco contrastar al salto,
s’a piede vinci i lievi capriuoli,
e stracchi i cervi per l’erboso smalto?
Non credo che ’l falcon sí ratto voli
65quando dinanzi l’anitra si caccia,
e qual folgore par ch’a piombo voli.
Trascorri poi per quest’e quella traccia,
e cacci armato li nemici in campo,
quand’il sol arde e quand’il verno agghiaccia.
70Andrai cosí feroce e con tal vampo,
ma saggio sí, quand’il nemico affronti,
come di rotta nube un chiaro lampo.
Qual, ne l’orrido verno, d’alti fonti
e rupi eccelse un gran torrente cade,
75che seco tira sassi, selve e monti,
ed empie di roine le contrade,
traendo armenti co i pastori insieme,
co i paschi, con li campi, con le strade,
che par che d’ognintorno il mondo treme,
80con tanta furia vien balzando al basso,
ch’urta ogni scontro e quel rompendo freme,
tal tu sarai nel marzïal fracasso,
fortunato fanciul, che la vittoria
avrai fautrice sempre ad ogni passo.
85Del magnanimo padre a l’alta gloria
ardito poggi a lunghi passi, e forse
sormonti quella con maggior memoria;
ché quanto di Filippo piú trascorse
Alessandro, che vinse il mondo tutto,
90e dove volle il suo stendardo corse,
tanto del padre il glorïoso frutto,
’l pregio ch’acquistato s’ha col sangue
avanzrai lieto, e no’ col viso asciutto.
Ogni or in le fatiche com’un angue
95ringiovenisci e sempre vai crescendo,
senza che ’l cor si mostre afflitto e esangue.
Il marzïal furor, e quell’orrendo
de l’alte trombe suon, con la roina
che fa del solfo il fier orror tremendo,
100la barbarica gente cruda e alpina,
che nobiltá discaccia e nulla stima,
a’ nostri danni presta e ogni or vicina,
il tuo ben saldo cor mi par ch’opprima:
di quelli ride, e questa fere e segue,
105di lor portando spoglie in ogni clima.
E tanto il tuo valor d’onor assegue
con la costante fé sincera e pura,
che chiara e eterna gloria ne consegue.
Piú de l’onor avrai che d’altro cura,
110per quel disprezzerai le gemme e l’oro,
cosí disposto al ben ti fe’ natura.
Per te descenderá dal sommo coro
la giá fuggita Astrea, ché tu con l’armi
l’assicuri seder in ogni foro.
115Cosí materia a gli onorati carmi
darai con fatti, e gloria pur ti fia
esser cantato e sculto in fini marmi;
ch’oltra gli eccelsi fatti, cortesia
tanta e sí larga avrai e sí cortese,
120quanta mai non sará, né stata è pria,
sí largo a favorirti il ciel attese. -