Le piacevoli notti (1927)/Notte terza/Favola terza
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FAVOLA III.
Biancabella, figliuola di Lamberico marchese di Monferrato, viene mandata dalla matrigna di Ferrandino, re di Napoli, ad uccidere. Ma gli servi le troncano le mani e le cavano gli occhi; e per una biscia viene reintegrata, e a Ferrandino lieta ritorna.
— È cosa laudevole e necessaria molto che la donna, di qualunque stato e condizione esser si voglia, nelle sue operazioni usi prudenza: senza la quale niuna cosa ben si governa. E se una matrigna, della quale ora raccontarvi intendo, con modestia usata l’avesse, forse, altrui credendosi uccidere, non sarebbe stata per divino giudicio uccisa d’altrui, sí come ora intenderete.
Regnava, giá gran tempo fa, in Monferrato un marchese potente di stato e di ricchezze, ma de figliuoli privo: e Lamberico per nome si chiamava. Essendo egli desideroso molto di avergliene, la grazia da Iddio gli era denegata. Avenne un giorno che, essendo la marchesana in uno suo giardino per diporto, vinta dal sonno, a’ piedi d’uno albero s’addormentò; e cosí soavemente dormendo, venne una biscia piccioletta: ed accostatesi a lei, ed andatasene sotto i panni suoi, senza che ella sentisse cosa alcuna, nella natura entrò: e sottilissimamente ascendendo, nel ventre della donna si puose, ivi chetamente dimorando. Non stette molto tempo che la marchesana, con non picciolo piacere ed allegrezza di tutta la cittá, s’ingravidò: e giunta al termine del parto, parturí una fanciulla con una biscia che tre volte l’avinchiava il collo. Il che vedendo, le comari che l’allevavano si paventarono molto. Ma la biscia senza offesa alcuna dal collo della bambina disnodandosi, e serpendo la terra e distendendosi, nel giardino se n’andò. Nettata ed abbellita che fu la bambina nel chiaro bagno, ed involta nelli bianchissimi pannicelli, a poco a poco incominciò scoprirsi una collana d’oro sottilissimamente lavorata: la quale era sí bella e sí vaga, che tra carne e pelle non altrimenti traspareva di ciò che soglino fare le preziosissime cose fuori d’un finissimo cristallo. E tante volte le circondava il collo, quante la biscia circondato le aveva. La fanciulla, a cui per la bellezza Biancabella fu posto il nome, in tanta virtú e gentilezza cresceva, che non umana ma divina pareva.
Essendo giá Biancabella venuta alla etá di dieci anni, ed essendosi posta ad uno verone, ed avendo veduto il giardino di rose e vaghi fiori tutto pieno, si volse verso la balia che la custodiva, e le dimandò che cosa era quello che piú per lo adietro veduto non aveva. A cui risposo fu essere uno luogo della madre chiamato giardino, nel quale alle volte ne prende diporto. Disse la fanciulla: — La piú bella cosa io non vidi giamai, e volentieri dentro v’anderei. — La balia, presala a mano, nel giardino la menò: e separatasi alquanto da lei, sotto l’ombra d’un fronzuto faggio si puose a dormire, lasciando la fanciulla prendere piacere per lo giardino. Biancabella, tutta invaghita del dilettoso luogo, andava or quinci or quindi raccogliendo fiori: ed essendo omai stanca, all’ombra d’un albero si puose a sedere. Non s’era appena la fanciulla rassettata in terra, che sopragiunse una biscia, ed accostossi a lei. La quale Biancabella vedendo, molto si paventò: e volendo gridare, le disse la biscia: — Deh, taci, e non ti muovere, nè aver pavento: perciò che ti sono sorella, e teco in un medesimo giorno ed in uno stesso parto nacqui, e Samaritana per nome mi chiamo. E se tu sarai ubidiente a’ miei comandamenti, farotti beata; ma altrimenti facendo, verrai la piú infelice e piú scontenta donna che mai nel mondo si trovasse. Va adunque senza timore alcuno, e dimani fatti recare nel giardino duo vasi, de’ quai l’uno sia di puro latte pieno, e l’altro d’acqua rosata finissima; e poi tu sola senza compagnia alcuna a me te ne verrai. — Partita la biscia, levossi la fanciulla da sedere, ed andossene alla balia, la qual ritrovò ch’ancora riposava; e destatala, con esso lei senza dir cosa alcuna se n’andò in casa.
Venuto il giorno seguente, ed essendo Biancabella con la madre in camera sola, assai nella vista sua malanconosa le parve. Laonde la madre le disse: — Che hai tu, Biancabella, che star sí di mala voglia ti veggio? Tu eri allegra e festevole, ed ora tutta mesta e dolorosa mi pari. — A cui la figliuola rispose: — Altro non ho io, se non che io vorrei duo vasi, i quali fussero nel giardino portati: uno de’ quai fusse di latte e l’altro di acqua rosata pieno. — E per sí picciola cosa tu ti ramarichi, figliuola mia? disse la madre. Non sai tu che ogni cosa è tua? — E fattisi portar duo bellissimi vasi grandi, uno di latte e l’altro d’acqua rosata, nel giardino li mandò. Biancabella, venuta l’ora, secondo l’ordine con la biscia dato, senza essere d’alcuna damigella accompagnata, se n’andò al giardino; ed aperto l’uscio, sola dentro si chiuse, e dove erano gli vasi a sedere si puose. Non si fu sí tosto posta Biancabella a sedere, che la biscia se le avicinò: e fecela immantinente spogliare, e cosí ignuda nel bianchissimo latte entrare; e con quello da capo a’ piedi bagnandola e con la lingua lingendola, la nettò per tutto dove difetto alcuno parere le potesse. Dopo, tratta fuori di quel latte, nell’acqua rosata la pose: dandole un odore che a lei grandissimo refrigerio prestava. Indi la rivestí, comandandole espressamente che tacesse e che a niuna persona tal cosa scoprisse, quantunque il padre o la madre fusse. Perciò che voleva che niuna altra donna si trovasse, che a lei in bellezza ed in gentilezza agguagliar si potesse. E addotatala finalmente d’infinite virtú, da lei si partí.
Uscita Biancabella del giardino, ritornò a casa; e vedutala la madre sí bella e sí leggiadra, ch’ogn’altra di bellezza e leggiadria avanzava, restò sopra di sè e non sapea che dire. Ma pur la dimandò, come aveva fatto a venire in tanta estremitá di bellezza. Ed ella: non sapere, le rispondeva. Tolse allora la madre il pettine per pettinarla e per conciarle le bionde trezze: e perle e preziose gioie le cadevano dal capo; e lavategli le mani, uscivano rose, viole e ridenti fiori di vari colori con tanta soavitá de odori, che pareva che ivi fusse il paradiso terreste. Il che vedendo, la madre corse a Lamberico suo marito; e con materna allegrezza li disse: — Signor mio, noi abbiamo una figliuola, la piú gentile, la piú bella e la piú leggiadra che mai natura facesse. Ed oltre la divina bellezza e leggiadria che in lei chiaramente si vede, da gli capelli suoi escono perle, gemme ed altre preziosissime gioie: e dalle candide mani, oh cosa ammirabile! vengono rose, viole e d’ogni sorte fiori, che rendono a ciascuno che la mira, soavissimo odore. Il che mai creduto non arrei, se con e propi occhi veduto non l’avessi. — Il marito, che per natura era incredulo e non dava sí agevolmente piena fede alle parole della moglie, di ciò se ne rise, e la berteggiava; pur fieramente stimolato da lei, volse vedere che cosa ne riusciva. E fattasi venire la figliuola alla sua presenza, trovò vie piú di quello che la moglie detto gli aveva. Il perchè in tanta allegrezza divenne, che fermamente giudicò non esser al mondo uomo, che congiungersi con essa lei in matrimonio degno fusse.
Era giá per tutto l’universo divolgata la gloriosa fama della vaga e immortal bellezza di Biancabella; e molti re, prencipi e marchesi da ogni parte concorrevano, acciò che il lei amore acquistassino, ed in moglie l’avessino. Ma niuno di loro fu di tanta virtú che aver la potesse; perciò che ciascuno di loro in alcuna cosa era manchevole. Finalmente sopragiunse Ferrandino, re di Napoli, la cui prodezza, e chiaro nome risplendeva come il sole tra le minute stelle; ed andatosene al marchese, gli dimandò la figliuola per moglie. Il marchese, vedendolo bello leggiadro e ben formato, e molto potente e di stato e di ricchezze, conchiuse le nozze; e chiamata la figliuola, senza altra dimoranza si toccorno la mano e basciorono. Non fu sí tosto contratto il sponsalizio, che Biancabella si rammentò delle parole che Samaritana sua sorella amorevolmente dette le aveva; e discostatasi dal sposo, e fingendo di voler fare certi suoi servigi, in camera se n’andò: e chiusasi dentro, sola per un usciolo secretamente entrò nel giardino, e con bassa voce cominciò chiamare Samaritana. Ma ella non piú come prima se le appresentava. Il che vedendo, Biancabella molto si maravigliò; e non trovandola, nè veggendola in luogo alcuno del giardino, assai dolorosa rimase: conoscendo ciò essere avenuto per non esser lei stata ubidiente a’ suoi comandamenti. Onde ramaricandosi tra se stessa, ritornò in camera; ed aperto l’uscio, si pose a sedere appresso il suo sposo, che lungamente aspettata l’aveva. Or finite le nozze, Ferrandino la sua sposa a Napoli trasferí: dove con gran pompa e glorioso trionfo e sonore trombe fu da tutta la cittá orrevolmente ricevuto.
Aveva Ferrandino matrigna con due figliuole sozze e brutte; e desiderava una di loro con Ferrandino in matrimonio copulare. Ma essendole tolta ogni speranza di conseguir tal suo desiderio, se accese contra di Biancabella di tanta ira e sdegno, che non pur vedere, ma sentire non la voleva: fingendo però tuttavia d’amarla ed averla cara. Volse la fortuna che il re di Tunisi fece un grandissimo apparecchiamento per terra e per mare per mover guerra a Ferrandino: non so se questo fusse per causa della presa moglie, over per altra cagione; e giá col suo potentissimo essercito era entrato nelle confine del suo reame. Laonde fu di bisogno che Ferrandino prendesse l’arme per difensione del regno suo, e raffrontasse il nimico. Onde messosi in punto di ciò che li faceva mistieri, e raccomandata Biancabella, che gravida era, alla matrigna, col suo essercito si partí. Non passorono molti giorni, che la malvagia e proterva matrigna deliberò Biancabella far morire; e chiamati certi suoi fidati servi, li commise che con esso lei andar dovessino in alcun luoco per diporto, ed indi non si partisseno se prima da loro uccisa non fusse: e per certezza della morte sua, le recassino qualche segno. Gli servi, pronti al mal fare, furono ubidienti alla signora; e fingendo di andare ad uno certo luogo per diporto, la condussero ad uno bosco dove giá di ucciderla si preparavano: ma vedendola sí bella e sí graziosa, gli venne pietá, ed uccidere non la volsero, ma le spiccorono ambe le mani dal busto, e gli occhi di capo le trassero: portandogli alla matrigna per manifesta certezza che uccisa l’avevano. Il che vedendo, l’empia e cruda matrigna paga e molta lieta rimase. E pensando la scelerata matrigna di mandar ad effetto il suo maligno proponimento, seminò per tutto il regno che le due figliuole erano morte: una di continova febbre, l’altra per una postema vicina al cuore ch’affocata l’aveva; e che Biancabella, per lo dolore della partita del re, disperso aveva un fanciullo, e sopragiunta le era una terzana febbre che molto la distruggeva, e che vi era piú tosto speranza di vita che temenza di morte. Ma la malvagia e rea femina in vece di Biancabella teneva nel letto del re una delle sue figliuole, fingendo lei esser Biancabella da febbre gravata. Ferrandino, che l’essercito del nimico aveva giá sconfitto e disperso, a casa si ritornava con glorioso trionfo; e credendosi ritrovare la sua diletta Biancabella tutta festevole e gioconda, la trovò che macra scolorita e disforme nel letto giaceva. Ed accostatosi bene a lei, e guatatala fiso nel volto, e vedutala sí distrutta, tutto stupefatto rimase: non potendosi in modo alcuno imaginare che ella Biancabella fusse; e fattala pettinare, invece di gemme e preziose gioie che dalle bionde chiome solevano cadere, uscivano grossissimi pedocchi che ogni ora la divoravano: e dalle mani, che ne uscivano rose ed odoriferi fiori, usciva una lordura e uno sucidume che stomacava chi le stava appresso. Ma la scelerata donna lo confortava, e gli diceva questa cosa avenire per la lunghezza della infermitá, che tali effetti produce.
La misera adunque Biancabella con le mani monche e cieca d’ambi gli occhi nel luoco solingo e fuor di mano soletta in tanta afflizione si stava, chiamando sempre e richiamando la sorella Samaritana che aiutare la dovesse; ma niuno vi era che le rispondesse se non la risonante eco, che per tutta l’aria si udiva. Mentre che la infelice donna dimorava in cotal passione, vedendosi al tutto priva di umano aiuto, ecco entrare nel bosco un uomo attempato molto, benigno di aspetto e compassionevole assai. Il quale, udita che ebbe la mesta e lamentevole voce, a quella con le orecchie accostatosi, e pian piano con i piedi avicinatosi, trovò la giovane cieca e monca delle mani che della sua dura sorte fieramente si ramaricava. Il buon vecchio, vedutala, non puote sofferire che tra bronchi, dumi e spini rimanesse; ma vinto da paterna compassione, a casa la condusse, ed alla moglie la raccomandò: imponendole strettissimamente che di lei cura avesse. E voltatosi a tre figliuole che tre lucidissime stelle parevano, caldamente le comandò che compagnia tenere le dovessino, carezzandola a tutt’ore e non lasciandole cosa veruna mancare. La moglie, che piú cruda era che pietosa, accesa di rabbiosa ira, contra il marito impetuosamente si volse, e disse: — Deh, marito, che volete voi che noi facciamo di questa femina cieca e monca, non giá per le sue virtú, ma per guidardone de’ suoi benemeriti? — A cui il vecchiarello con sdegno rispose: — Fa ciò che io ti dico; e se altrimenti farai, non mi aspettar a casa. —
Dimorando adunque la dolorosa Biancabella con la moglie e le tre figliuole, e ragionando con esso loro di varie cose, e pensando tra se stessa alla sua sciagura, pregò una delle figliuole che le piacesse pettinarla un poco. Il che intendendo, la madre molto si sdegnò; perciò che non voleva in guisa alcuna che la figliuola divenisse come sua servitrice. Ma la figliuola, piú che la madre pia, avendo a mente ciò che commesso le aveva il padre, e vedendo non so che uscire dall’aspetto di Biancabella che dimostrava segno di grandezza in lei, si scinse il grembiale di bucato che dinanzi teneva; e stesolo in terra, amorevolmente la pettinava. Nè appena cominciato aveva pettinarla, che delle bionde trezze scaturivano perle, rubini, diamanti ed altre preziose gioie. Il che vedendo, la madre, non senza temenza, tutta stupefatta rimase: e l’odio grande, che prima le portava, in vero amore converse. E ritornato il vecchiarello a casa, tutte corsero ad abbracciarlo: rallegrandosi molto con esso lui della sopragiunta ventura a tanta sua povertá. Biancabella si fece recare una secchia d’acqua fresca, e fecesi lavare il viso ed i monchi: dalli quali, tutti vedendo, rose, viole e fiori in abondanzia scaturivano. Il perchè non umana persona, anzi divina la reputorono tutti.
Avenne che Biancabella deliberò di ritornare al luogo dove fu giá dal vecchiarello trovata. Ma il vecchiarello, la moglie e le figliuole, vedendo l’utile grande che di lei n’apprendevano, l’accarezzavano: ed instantemente la pregavano che in modo alcuno partire non si dovesse, allegandole molte ragioni, acciò che rimovere la potessino. Ma ella, salda nel suo volere, volse al tutto partirsi, promettendoli tuttavia di ritornare. Il che sentendo, il vecchio senza indugio alcuno al luoco, dove trovata l’avea, la ritornò. Ed ella al vecchiarello impose che si partisse, e la sera ritornasse a lei, che ritornerebbe con esso lui a casa. Partitosi adunque il vecchiarello, la sventurata Biancabella cominciò andare per la selva, Samaritana chiamando: e le strida ed i lamenti andavano fino al cielo. Ma Samaritana, quantunque appresso le fusse, nè mai abbandonata l’avesse, rispondere non le voleva. La miserella, vedendosi spargere le parole al vento, disse: — Che debbo io piú fare al mondo, dopo che io sono priva degli occhi e delle mani, e mi manca finalmente ogni soccorso umano? — Ed accesa da uno furore che la tolleva fuor di speranza della sua salute, come disperata, si voleva uccidere. Ma non avendo altro modo di finir la sua vita, prese il camino verso l’acqua, che poco era lontana, per attuffarsi; e giunta in su la riva giá per entro gittarsi, udí una tonante voce che diceva: — Ahimè, non fare, nè voler di te stessa esser omicida! riserba la tua vita a miglior fine. — Allora Biancabella, per tal voce smarrita, quasi tutti i capelli addosso si sentí arricciare. Ma parendole conoscere la voce, preso alquanto di ardire, disse: — Chi sei tu che vai errando per questi luochi, e con voce dolce e pia ver me ti dimostri? — Io sono, — rispose la voce, — Samaritana tua sorella, la quale tanto instantemente chiami. — Il che udendo, Biancabella con voce da fervidi singolti interrotta le disse: — Ah! sorella mia, aiutami ti prego; e se io dal tuo consiglio scostata mi sono, perdono ti chiedo. Perciò che errai, ti confesso il fallo mio, ma l’error fu per ignoranza, non per malizia; che se per malizia stato il fusse, la divina provvidenza non l’arrebbe lungo tempo sustenuto. — Samaritana, udito il compassionevole lamento, e vedutala cosí maltrattata, alquanto la confortò; e raccolte certe erbuccie di maravigliosa virtú, e postele sopra gli occhi, e giungendo due mani alle braccia, immantinente la risanò. Poscia Samaritana, deposta giú la squallida scorza di biscia, una bellissima giovanetta rimase.
Giá il sole nascondeva gli suoi folgenti rai, e le tenebre della notte cominciavano apparire, quando il vecchiarello con frettoloso passo giunse alla selva, e trovò Biancabella che con un’altra ninfa sedeva. E miratala nel chiaro viso, stupefatto rimase, pensando quasi ch’ella non fusse. Ma poi che conosciuta l’ebbe, le disse: — Figliuola mia, voi eravate stamane cieca e monca; come siete voi cosí tosto guarita? — Rispose Biancabella: — Non giá per me, ma per virtú e cortesia di costei che meco siede, la quale mi è sorella. — E levatesi ambedue da sedere, con somma allegrezza insieme con il vecchio se n’andorono a casa: dove dalla moglie e dalle figliuole furono amorevolmente ricevute.
Erano giá passati molti e molti giorni, quando Samaritana, Biancabella ed il vecchiarello con la moglie e con le tre figliuole andarono alla cittá di Napoli per ivi abitare; e veduto un luogo vacuo che era al dirimpetto del palazzo del Re, ivi si posero a sedere. E venuta la buia notte, Samaritana, presa una vergella di lauro in mano, tre volte percosse la terra, dicendo certe parole; le quali non furono appena fornite di dire, che scaturí un palazzo il piú bello ed il piú superbo che si vedesse giamai. Fattosi Ferrandino Re la mattina per tempo alla finestra, vide il ricco e maraviglioso palazzo; e tutto attonito e stupefatto rimase. E chiamata la moglie e la matrigna, lo vennero a vedere. Ma ad esse molto dispiacque, perciò che dubitavano che alcuna cosa sinistra non le avenisse. Stando Ferrandino alla contemplazione del detto palazzo, ed avendolo d’ogni parte ben considerato, alzò gli occhi e vide per la finestra d’una camera due matrone, che di bellezza facevano invidia al sole. E tantosto che l’ebbe vedute, gli venne una rabbia al cuore; perciò che li parve una di loro la sembianza di Biancabella tenere. Ed addimandolle, chi fussero e donde venisseno. A cui fu risposo che erano due donne fuoruscite, e che venivano di Persia con il loro avere, per abitare in questa gloriosa cittá. Ed addimandate se grato averebbono che da lui e dalle sue donne visitate fussero, gli risposero che caro le sarebbe molto, ma che era piú convenevole ed onesto ch’elle, come suddite, andassero a loro, che elle, come signore e Rreine, venissero a visitarle. Ferrandino, fatta chiamare la reina e le altre donne, con esso loro, ancor che ricusassino di andare, temendo forte la loro propinqua roina, se ne girono al palazzo delle due matrone; le quali con benigne accoglienze e onesti modi onoratissimamente le ricevettero: mostrandogli le ampie loggie e spaziose sale e ben ornate camere, le cui mura erano d’alabastro e porfido fino, dove si vedevano figure che vive parevano.
Veduto che ebbero il pomposo palazzo, la bella giovane, accostatasi al re, dolcemente lo pregò che si degnasse con la sua donna di voler un giorno con esso loro desinare. Il re, che non aveva il cuor di pietra ed era di natura magnanimo e liberale, graziosamente tenne lo invito. E rese le grazie dell’onorato accetto che le donne fatto gli avevano, con la reina si partí ed al suo palazzo ritornò. Venuto il giorno del deputato invito, il re, la reina e la matrigna, regalmente vestite ed accompagnate da diverse matrone, andorono ad onorare il magnifico prandio giá lautamente apparecchiato. E data l’acqua alle mani, il siniscalco mise il re e la reina ad una tavola alquanto piú eminente ma propinqua alle altre; dopo fece tutti gli altri secondo il loro ordine sedere: ed a gran agio e lietamente tutti desinarono. Finito il pomposo prandio e levate le mense, levossi Samaritana in piedi; e voltatasi verso il re e la reina, disse: — Signor, acciò che noi non stiamo nell’ozio avvolti, qualcuno propona alcuna cosa che sia di piacere e contento. — Il che tutti confirmarono esser ben fatto. Ma non vi fu però veruno che proponere ardisse. Onde vedendo Samaritana tutti tacere, disse: — Dopo che niuno si move a dire cosa alcuna, con licenza di vostra maestá farò venire una della nostre donzelle, che ci dará non picciolo diletto. — E fatta chiamare una damigella che Silveria per nome si chiamava, le comandò che prendesse la cetra in mano ed alcuna cosa degna di laude ed in onore del re cantasse. La quale, ubidientissima alla sua signora, prese la cetra; e fattasi al dirimpetto del re, con soave e dilettevol voce, toccando col plettro le sonore corde, ordinatamente li raccontò l’istoria di Biancabella, non però mentovandola per nome. E giunta al fine dell’istoria, levossi Samaritana, ed addimandò al re qual convenevole pena, qual degno supplicio meritarebbe colui che sí grave eccesso avesse commesso. La matrigna, che pensava con la pronta e presta risposta il difetto suo coprire, non aspettò che ’l re rispondesse, ma audacemente disse: — Una fornace fortemente accesa sarebbe a costui poca pena a quella che egli meriterebbe. — — Allora Samaritana, come bragia di fuoco nel viso avampata, disse: E tu sei quella rea e crudel femmina per la cui cagione fu tanto errore commesso. E tu, malvagia e maladetta, con la propia bocca te stessa ora dannasti. — E voltatasi Samaritana al re, con allegra faccia gli disse: — Questa è la vostra Biancabella. Questa è la vostra moglie da voi cotanto amata. Questa è colei senza la quale voi non potevate vivere. Ed in segno della veritá comandò alle tre donzelle, figliuole del vecchiarello, che in presenza del re le pettinassino i biondi e crespi capelli: da i quali, come è detto di sopra, ne uscivano le care e dilettevoli gioie, e dalle mani scaturivano mattutine rose ed odorosi fiori. E per maggior certezza, dimostrò al Re il candidissimo collo di Biancabella intorniato da una catenella di finissimo oro, che tra carne e pelle naturalmente come cristallo traspareva. Il Re, conosciuto che ebbe per veri indizi e chiari segni lei esser la sua Biancabella, teneramente cominciò a piangere ed abbracciarla. Ed indi non si partí, che fece accendere, una fornace: e la matrigna e le figliuole messevi dentro. Le quali, tardi pentute del peccato suo, la loro vita miseramente finirono. Appresso questo, le tre figliuole del vecchiarello orrevolmente furono maritate; e Ferrandino re con la sua Biancabella e Samaritana lungamente visse, lasciando dopo sè eredi legittimi nel regno. —