Capo V

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Capo V.

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Se Tirola, colla sua espressione di bontà, non avesse anche avuto quegli sguardi così furbi, se fosse stata una fisionomia più nobile, io avrei ceduto alla tentazione di farlo mio ambasciatore, e forse un mio viglietto giunto a tempo all’amico gli avrebbe data la forza di riparare qualche sbaglio, - e forse ciò salvava, non lui, poveretto, che già troppo era scoperto, ma parecchi altri e me!

Pazienza! doveva andar così.

Fui chiamato alla continuazione dell’interrogatorio, e ciò durò tutto quel giorno, e parecchi altri, con nessun altro intervallo che quello de’ pranzi.

Finchè il processo non si chiuse, i giorni volavano rapidi per me, cotanto era l’esercizio della mente in quell’interminabile rispondere a sì varie dimande, e nel raccogliermi, alle ore di pranzo ed a sera, per riflettere a tutto ciò che mi s’era chiesto e ch’io aveva risposto, ed [p. 14 modifica]a tutto ciò, su cui probabilmente sarei ancora interrogato.

Alla fine della prima settimana m’accadde un gran dispiacere. Il mio povero Piero, bramoso, quanto lo era io, che potessimo metterci in comunicazione, mi mandò un viglietto, e si servì, non d’alcuno de’secondini, ma d’un disgraziato prigioniero, che veniva con essi a fare qualche servigio nelle nostre stanze. Era questi un uomo dai sessanta ai settant’anni, condannato a non so quanti mesi di detenzione.

Con una spilla ch’io aveva, mi forai un dito, e feci col sangue poche linee di risposta, che rimisi al messaggero. Egli ebbe la mala ventura d’essere spiato, frugato, colto col viglietto addosso, e, se non erro, bastonato. Intesi alte urla che mi parvero del misero vecchio, e nol rividi mai più.

Chiamato a processo, fremetti al vedermi presentata la mia cartolina vergata col sangue (la quale, grazie al cielo, non parlava di cose nocive, ed avea l’aria d’un semplice saluto). Mi si chiese con che mi fossi tratto sangue, mi si tolse la spilla, e si rise dei burlati. Ah, io non risi! Io non poteva levarmi dagli occhi il vecchio [p. 15 modifica]messaggero. Avrei volentieri sofferto qualunque castigo, purchè gli perdonassero. E quando mi giunsero quelle urla, che dubitai essere di lui, il cuore mi s’empì di lagrime.

Invano chiesi parecchie volte di esso al custode e a’ secondini. Crollavano il capo, e dicevano: «L’ha pagata cara colui ― non ne farà più di simili ― gode un po’ più di riposo». Nè voleano spiegarsi di più.

Accennavano essi a prigionia ristretta in cui veniva tenuto quell’infelice, o parlavano così perch’egli fosse morto sotto le bastonate od in conseguenza di quelle?

Un giorno mi parve di vederlo, al di là del cortile, sotto il portico, con un fascio di legna sulle spalle. Il cuore mi palpitò come s’io rivedessi un fratello.