Le idee di una donna/La donna di servizio

La donna di servizio

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LA DONNA DI SERVIZIO

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Per quanto umile possa giudicarsi questo argomento, esso è parte così vitale della nostra esistenza quotidiana che non può a meno di interessare il maggior numero dei lettori. Esso è inoltre un ramo della grande questione sociale collegandosi cogli interessi degli abbienti e dei proletarii, nonchè dei femministi.

Ho scelto questo vocabolo donna di servizio a preferenza dei sinonimi suoi perchè, figlio genuino del nostro dialetto è anche il più preciso, il più chiaro, il più decoroso e indica perfettamente la persona unica che nelle nostre famiglie borghesi aiuta la [p. 204 modifica]padrona nel disimpegno delle domestiche faccende.

Fino a vent’anni fa dai borghi, dai paesucci, dai casolari, le fanciulle sia che fossero orfane o che si trovassero male in famiglia od anche solo ristrette e sopranumeraria al bisogno della piccola azienda movevano alla città in cerca di servizio, il quale rappresentava per esse l’asilo, la protezione, l’affetto. Perfettamente conscie della loro condizione, senza il desiderio di escirne, in cui luogo esisteva la volontà di distinguervisi e di farsi voler bene, entravano nella nuova casa con sentimenti tranquilli. Avvezze al lavoro, alle privazioni, agli stenti, al freddo d’inverno, al sollione d’estate, al cibo insufficiente, apprezzavano il vantaggio di lavorare in un ambiente sano, simpatico, al riparo dai morsi crudeli della povertà, alloggiate e nutrite cento volte meglio che nelle proprie case e di ciò si rallegravano, erano contente, erano paghe. L’ideale allora era di restare sempre nella stessa famiglia, [p. 205 modifica]di vedervi morire i vecchi, nascere i pargoli e dal loro umile posto prender parte a tutti gli avvenimenti, battere con un sol cuore nel cuore della casa. Invecchiate al servizio degli stessi padroni erano considerate con affetto, con riconoscenza, pensionate o aiutate in tutti i modi fino agli ultimi giorni. Era il tempo forse troppo calunniato delle disuguaglianze sociali che se davano luogo ad abusi sviluppavano pure gli istinti di generosità e di amore, i nobili sacrifici, le devozioni a tutta prova.

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La donna di servizio di venti o di trenta anni fa vestiva di rigatino in foggia semplice e pratica, portava camicie solide di grossa tela resistente, la cui durata veniva considerata rigorosamente al momento dell’acquisto e in tutta la sua persona l’armonia fra l’essere e il parere rimaneva intatta, specchio felice dell’anima sua. Ricca di sentimenti affettivi, ella incominciava ad [p. 206 modifica]affezionarsi alla cucina che chiamava subito sua e dove le fiammate di legna sotto la pentola e il rosseggiare delle bragie sul fornello e il luccicchìo del rame appeso alle pareti mettevano una nota di calore raccolto di cui spesso approfittavano i padroni, venendo gli anziani a scaldarsi la schiena alla fiamma dopo pranzo ed invariabilmente i bimbi a tutte le ore del giorno. Quando poi il focolare era spento e con esso la luce (poiché insufficiente riusciva da solo il lumino prima ad olio indi a petrolio) la donna di servizio prendeva la sua calza di grosso cotone bianco o rosso e andava a lavorarsela in saletta, vicino alla padrona che faceva presso a poco la medesima cosa ed ai bambini curvi sui loro compiti. Non è vero che era così?

Orbene, tutto ciò è scomparso irremissibilmente. Il moltiplicarsi delle fabbriche, diffondendo nelle campagne l’ansia di una vita nuova, apre alle giovani una porta che fa loro intravedere la giocondità [p. 207 modifica] tumultuosa di una giornata cui fa seguito una libertà senza confine e la maggior parte di esse non esita un solo istante. Andare alla fabbrica rappresenta ai loro occhi la compagnia, la solidarietà, l’indipendenza — a ore fisse è vero — ma sicura e senza controllo. Hanno ragione? Hanno torto?... Un domestico del duca di Choiseul che fu ministro sotto Luigi XV rifiutò la promozione che il suo padrone gli offriva di passare da valletto d’anticamera e guardaportone perchè — diceva lui — stando negli appartamenti aveva occasione di vedere trenta volte al giorno il duca e la duchessa e giù, alla porta, non avrebbero fatto altro che passare di tanto in tanto. È tutta questione di punto di vista, di maniera di sentire ed anche di valutazione del proprio interesse. È certo però che una tale simpatia di rapporti fra padroni e dipendenti doveva rendere assai più bella la vita di entrambe e far loro considerare come una sventura la separazione, che infatti [p. 208 modifica] avveniva di rado e solo per circostanze imperiose.

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Nelle tradizioni della prima metà del secolo abbondano gli esempii di unioni indissolubili, emergenti sopratutto quando la sventura si abbatteva sopra una famiglia accomunando la padrona e la donna di servizio nella medesima sorte. Ma, caratteristica che non bisogna dimenticare per conservare il fatto nella sua vera luce, sia nell’opulenza, sia nella povertà fraternamente divisa, mai si offuscava quel sentimento di diversità di classe che spingeva la padrona e la donna di servizio a compiere ognuna per proprio conto una conquista più in su dell'eguaglianza, più elevata del diritto; una conquista che agitando gli occulti slanci di altruismo, assai prima che questa parola venisse di moda, guidava con semplicità al vero amore del prossimo.

Non è per rimpiangere il passato che io vado ora esumando queste memorie. Esso, [p. 209 modifica] l’ho già detto, è morto irremissibilmente; ma volendo occuparsi della questione è necessario mettere a raffronto i due termini di passato e di presente per vedere che cosa si può sperare in seguito.

Come sia la donna di servizio attualmente ognuno lo può osservare da sé. L’ingenuità delle Pamele, delle Bettine, delle Lisette, argomento di romanzi patetici e commoventi, non esiste più. Nelle stalle e nei crocchi rusticani si leggono ora le appendici del giornale cittadino che l’operaio si è dato la briga di ritagliare e di cucire diligentemente per farne dono reduce in paese, alla sua bella. La prima applicazione della cultura appresa a scuola, in un paese di mia conoscenza, venne fatta da fanciulle di quindici o vent’anni sulla Nanà di Zola. Non occorre dilungarsi in dimostrazioni. Il fatto, variamente ma insistentemente ripetuto, incomincia a portare un primo squilibrio nelle menti giovanili che si trovano per tal guisa sbalzate nei pieni marosi del[p. 210 modifica]l’esistenza senza bussola non solo, ma anche senza barca. Così quando una fanciulla invece di arruolarsi alla fabbrica si decide per il servizio in città, ella è già così corrotta, se non di costumi, di immaginazione, che al contatto del lusso e delle infinite tentazioni della vita moderna non ha nulla da opporre, nemmeno una virtù che sfuggita ai freni della religione è troppo debole per raggiungere altre vette, e si adagia nella indifferenza della morale comune. La fiamma di libertà e di eguaglianza che ella ode crepitare intorno, non potendo nel piccolo edificio dei suoi pensieri raggiungere l’altezza dei pensatori che la attizzarono, scalda, morde, rintuzza gli istinti volgari a danno principalmente suo, anzi suo unicamente. La meta per lei non è più, come era per le sue bisavole, la conquista dell’affetto, della rispettabilità, della vecchiaia assicurata. Attraverso il fumo che la involge non vede altro che il lusso. Vestire come le signore, avere la stessa foggia di [p. 211 modifica] camicie, lo stesso colore degli abiti e portare il cappello, ecco l’apice dei desideri di questa infelice. Come si fa a persuaderla che la felicità non è lì?

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Dal tempo delle Pamele, delle Bettine, delle Lisette, i salari sono raddoppiati senza che la donna di servizio veda raddoppiare le spese di alloggio e di vitto il cui straordinario rincaro è tutto a carico dei padroni. Il doppio dunque del salario che ella percepisce, se si considera che gli oggetti di vestiario sono la sua sola spesa e costano ora molto meno di un tempo, dovrebbe accumularsi in risparmi a suo totale beneficio, rendendo questa professione una delle più lucrose e delle più ambite. Ma i risparmi non si fanno perchè la donna di servizio sente ora il bisogno di portare trine e falpalà che se anche costano poco si rompono facilmente, di cambiare ad ogni stagione la foggia degli abiti ed anche questo [p. 212 modifica] costa. Vestire come la padrona è il suo assillo e questa eguaglianza la rovina senza darle un solo giorno di felicità, perchè l'inseguimento febbrile dell’apparenza le fa trascurare l'intima conquista che avvicinava realmente i servitori di una volta ai loro padroni. Al concetto della previdenza e del risparmio si è sostituito quello del godimento. La cicala ha sovvertito la formica. Affezionarsi ad una casa e ad un padrone che sostituisca la propria casa e la propria famiglia, questo cardine della antica persona di servizio, fa ora alzare le spalle. Guadagnare di più per spendere di più. Ecco il credo moderno. Chi ode mai l’antica frase: la tal cosa non é della mia condizione. Tutte le cose sono ora di tutti gli uomini e tutte le condizioni sono pari, non è vero? Soffermiamoci un istante che questo è davvero il punto spinoso.

Tutte le cose sono di tutti gli uomini. Bellissima dichiarazione, ma qual’è l’uomo che possiede tutte le cose, astrazione fatta [p. 213 modifica]di colui che tutte le tiene nel suo cervello e che una volta si chiamava il saggio? Tutte le condizioni sono pari. Ed è vero; ma pari davanti a che? Tra loro no, evidentemente, perchè un macellaio, uno scrittore, un tintore, un suonatore di violino, un medico, un imbianchino, un maestro non possono vestire allo stesso modo, né allo stesso modo lavorare, né ogni singolo lavoro misurare ad eguale stregua. Io direi piuttosto che tutti gli uomini sono eguali in qualunque condizioni si trovino e ciò è, nonché giusto, chiaro. Eguali cioè nella dignità e nella libertà d’uomo. A tale riguardo la donna di servizio ha diritto allo stesso rispetto ed alla stessa considerazione della signora ed anche di più se ella è onesta e la signora no. Questa è la grande conquista che la civiltà ha fatto sulle barbarie e va spiegata al popolo con precisione nel suo significato elevatore, se non si vuole che gli ignoranti se la spieghino da sé, snaturandola a tutto beneficio dei bassi [p. 214 modifica]istinti; e da questo punto precisamente incominciarono i doveri dei padroni.

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Accagionare la donna di servizio del disordine della sua mente, in un momento di transazione com’è il nostro e mentre il disordine è generale, non sarebbe giustizia. Se tutte le donne, di tutte le classi, sono agitate, qual meraviglia che si agiti anche la donna di servizio? Ed è pur naturale che la sua agitazione davanti ai nuovi ideali democratici conservi la scorie delle aristocrazie antiche, cioè il pregiudizio e l'errore che le fanno accettare l’apparenza qual meta e la persuadono di eguagliarsi alla signore prendendone le vesti. Non è facile certamente togliere ad una mente rozza questa conquista puerile resa così accessibile per le migliorate condizioni materiali, ma è necessario accingervisi. Il principio democratico se vuole conservare il suo posto fra gli ideali deve promulgare [p. 215 modifica] l’eguaglianza morale ed è una negazione assoluta di tale eguaglianza il vergognarsi di essere operaio o domestico. Gli uomini devono esser eguali, non le vesti; e dal momento che ogni professione ha esigenze ben definite, nessuno pure dovrebbe rammaricarsi di sembrare esteriormente quello che è in realtà. Quando avremo fatto questo passo sulla via del progresso molti attriti scemeranno e si può sperare che invece dell’odio e dell’invidia che dividono le classi, una reciproca intelligente comprensione del vero ristabilirà i rapporti affettuosi fra padroni domestici.

E però tra i padroni d’oggi troppo di frequente si contano i villani arricchiti a cui manca ogni tradizione di famiglia e che imbevuti della arroganza degli ultimi arrivati nulla fanno per affezionarsi e per educare i propri domestici; anzi si direbbe che col loro contegno mancante di tatto, di opportunità e di gentilezza contribuiscono al loro corrompimento.