Le cento novelle antiche/Novella LXXII

Novella LXXII

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Qui conta come Cato si lamentava contro alla ventura.


NOVELLA LXXII.


Cato filosofo, uomo grandissimo di Roma, stando in pregione et in povertade, parlava colla ventura, e doleasi molto, e dicea: perchè m’hai tu tanto tolto? Poi sì rispondea in luogo della ventura, e dicea così: figliuolo mio, quanto dilicatamente t’ho allevato e nodrito! e tutto ciò che m’hai chesto t’ho dato. La signoria di Roma t’ho data. Signore t’ho fatto di molte dilizie, di gran palazzi, di molto oro, gran cavalli, molti arnesi. O figliuolo mio, perchè ti rammarichi tue? perch’io mi parta da te? E Cato rispondea: sì, rammarico. E la ventura rispondea: figliuolo mio, tu se’ molto savio. Or non pensi [p. 104 modifica]tu ch’io ho figliuoli picciolini, li quali mi convien nodricare: vuoi tu ch’io li abbandoni? non sarebbe ragione. Ahi quanti piccioli figliuoli ho a nutricare! Figliuol mio, non posso star più teco. Non ti rammaricare, ch’io non ti ho tolto neente: chè ciò che tu hai perduto non era tuo. Perciocchè ciò che si può perdere, non è propio. E ciò che non è propio, non è tuo.