Le Laude (1915)/XX. Del scelerato peccatore penitente
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XX
Del scelerato peccatore penitente
O me lasso, dolente — ca lo tempo passato
male l’ho usato — en ver’ lo Creatore.
Tutto lo mio deiettare,— da poi che m’allevai,
fo del mondo amare; — de l’altro non pensai;
or me conven lassare — quel che piú delettai
ed aver pena assai — e tormento e dolore.
Lo mangiare e lo bere — è stato el mio deletto,
e posare e gaudere — e dormire a lo letto;
non credeva potere — aver nullo defetto;
or so morto e decepto, — ch’agio offeso al Signore.
Quand’altri gi’ al predecare — o a udir messa ad santo,
ed io me gia a satollare — e non guardava quanto;
poi me rendea a cantare; — or me retorna en pianto;
quello fo lo mal canto — per me en tutto peggiore.
Quando alcun mio parente — o amico deritto
me reprendea niente — o de fatto o de ditto,
respondeali mantenente, — tanto era maleditto:
— Morto en terra te mitto — se ne fai piú sentore. —
Quando en assembiamento — bella donna vedía,
faceagli sguardamento — e cenni per mastría;
se non gli era en talento, — vantando me ne giá;
da me non remanía — che non avesse descionore.
Per la mala ricchezza — ch’a sto mondo agio avuta,
so visso en tanta alteza, — l’alma n’agio perduta;
la mala soperchianza, — com’è da me partuta,
siramme meretuta — de foco e d’encendore.
La vita non me basta — a farne penetenza,
ché la morte m’adasta — a darne la sentenza;
se tu, Vergene casta, — non acatte indulgenza,
l’anema en perdenza — gira senza tenore.
Regina encoronata, — mamma del dolce figlio,
tu se’ nostra advocata; — veramente assimiglio
per le nostre peccata — che non giamo en esiglio;
manda lo tuo consiglio, — donna de gran valore.