Le Laude (1915)/LVII. Epistola seconda al prefato papa

LVII. Epistola seconda al prefato papa

../LVI. Epistola a papa Bonifazio ottavo ../LVIII. Epistola terzia al prefato papa da poi ch'el fo preso IncludiIntestazione 15 aprile 2021 100% Da definire

LVII. Epistola seconda al prefato papa
LVI. Epistola a papa Bonifazio ottavo LVIII. Epistola terzia al prefato papa da poi ch'el fo preso

[p. 128 modifica]

LVII

Epistola seconda al prefato papa

     Lo pastor per mio peccato — posto m’ha fuor de l’ovile,
non me giova alto belato — che m’armetta per l’ostile.
     O pastor, co non te sveghi — a questo alto mio belato?
che me tragi de sentenza — de lo tuo scomunicato,
de star sempre empregionato; — se esta pena non ce basta,
puoi ferire con altra asta, — como piace al tuo sedile.
     Longo tempo agio chiamato, — ancora non fui audito;
scrissete nel mio dittato — de quel non fui esaudito;
ch’io non stia sempre amannito — a toccar che me sia operto;
non arman per mio defetto — ch’io non arentri al mio covile.
     Come ’l cieco che clamava — da passanti era sprobrato,
maior voce esso iettava: — Miserere, Dio, al cecato.
— Que adimandi che sia dato? — Meser ch’io revegia luce,
ch’io possa cantar a voce — quello osanna puerile. —
     Servo de centurione, — paralitico en tortura,
non so degno ch’en mia casa — si descenda tua figura;
bastarne pur la scrittura — che sia ditto: — Absolveto. —
Ché ’l tuo ditto m’è decreto — che me tra’ fuor del porcile.
     Troppo iaccio a la piscina — al portico de Salamone;
grandi moti sí fa l’acqua — en tanta perdonazione;
è passata la stagione, — prestolo che me sia detto;
ch’io me lievi e toll’al letto — ed artorni al mio casile.
     Co malsano, putulente, — deiattato so dai sane,
né an santo né a mensa — con om san non mangio pane;
peto che tua voce cane — e si me dichi en voglia santa:
— Sia mondata la tua tanta — enfermetate malsanile! —

[p. 129 modifica]

     So vessato dal demonio, — muto, sordo deventato;
la mia enfermetate pete — ch’en un ponto sia curato,
che ’l demonio sia fugato — e l’audito me se renna
e sia sciolta la mia lengua — che legata fo con: — Sile! —
     La puella che sta morta — en casa del sinagogo,
molto peio sta mia alma, — de sí dura morte mogo!
Che porgi la man rogo — e sí me rendi a san Francesco,
ch’esso me remetta al desco — ch’io riceva el mio pastile.
     Deputato so en enferno — e so gionto giá a la porta;
la mia mate Relione — fa gran pianto con sua scorta;
l’alta voce udir oporta — che me dica: — Vechio, surge! —
Ch’en cantar torni luge, — che è fatto del senile.
     Como Lazaro soterrato — quattro dí en gran fetore,
né Maria ce fo né Marta — che pregasse ’l mio Signore;
puolse far per suo onore — che me dica: — Veni fuora! —
Per l’alta voce decora — sia remisso a star coi file.
     Un empiasto m’è ’nsegnato — e dittome che pò giovare;
quel da me è delongato — non gli posso ademandare;
scrivogli nel mio dittare — che me degia far l’aiuto:
che lo ’mpiasto sia compiuto — per la lengua de fra Gentile.