Clemente Bondi

1799 Elegie letteratura Lamento pastorale Intestazione 16 aprile 2009 75% Elegie

ELEGIA

 
Ecco deserto è il lido, e l’aer fosco,
     E al duol secreto e al flebile lamento
     Parmi opportuno il solitario bosco.

Tra questi orror non suona umano accento;
     5Sol delle piante le pieghevol cime
     Agita mormorando un picciol vento.

Qui lice almeno alle dolenti rime,
     E al trattenuto duol sciogliere il freno,
     Che largo pianto da questi occhi esprime.

10L’occulta doglia, ch’io nascondo in seno,
     Non è chi scopra: se silenzio e fede
     Serban le piante e i muti sassi almeno.

Or già sull’orizonte il giorno riede,
     E dell’erta montagna al dubbio raggio
     15La nuda cima biancheggiar si vede.

Oh conscio Sol!... ma quale in suo linguaggio
     Pietose note musico usignolo
     Medita ascoso nel vicino faggio?

Di ramo in ramo il breve e spesso volo
     20Spicca con l’inquïeta ala smarrita,
     E il canto tempra alle querele e al duolo.

O tu, cui forse amor della rapita
     Tua compagna fedele, o forse il pianto,
     E il mio lamento a lagrimare invita,

25Vieni, ed accorda il tuo pietoso canto
     Ai mesti versi, che del plettro mio
     Andrò tentando sulle corde intanto.

Alternerem tu dolci note, ed io
     I carmi, che sovente in questo lido
     30Odon le Ninfe e delle selve il Dio.

Ma tu non m’odi, e un interrotto grido
     Moduli gorgogliando, e il guardo fiso
     Pur tieni intorno errando al vuoto nido.

Ah ch’io t’intendo, e nel mio duol ravviso
     35Quello onde accusi l’empia man crudele,
     Che t’ha furtiva dal tuo ben diviso.

Cessa, misero il pianto e le querele,
     Che se rapace cacciator tel tolse,
     Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.

40Mentre a te il volo l’infelice sciolse,
     Come il guidava l’amoroso ardore,
     Occulta rete insidïosa il colse.

Si ricordò del tuo fedele amore
     In quel momento, e più che de’ suoi danni
     45Ebbe forse pietà del tuo dolore.

Ahi! che poscia al meschino i pinti vanni
     Tarpò forbice cruda, o in carcer stretto
     Pasce or di pianto i suoi secreti affanni.

Nè il suo dolor consola o il cibo eletto,
     50Che gentil man gli porge, o l’onda pura,
     Che in vetro ei beve, o il pinto aurato tetto.

Te quando nasce il Sol, te quando oscura
     Notte il ciel copre, in flebil mormorio
     Chiama piagnendo, e di te solo ei cura.

55Sempre ha presente il bosco amico e il rio;
     Che già compagni v’accoglieva, e quello,
     In cui teco posò, nido natío.

Che se mai canto di vicino augello
     Egli oda, oh come il carcere crudele
     60Sforza, e su e giù salta inquieto e snello!

Or cessa dunque il pianto e le querele,
     Che se diviso dal tuo ben tu sei,
     Lungi egli è sì, ma vive ancor fedele.

Ma non già più per me fedele oh Dei!
     65È la mia Nice; ahi Nice un tempo amica,
     A’ prieghi or sorda, ed a’ lamenti miei!

Ma qual mia colpa, o qual sorte nimica,
     Qual error suo, qual frode altrui cangiato
     Ha in odio sì crudel la fiamma antica?

70Oh solitaria valle! oh amico prato!
     Oh nota fonte! oh bosco ombroso e cheto!
     Dolce un tempo soggiorno ed ora ingrato.

Tempo già fu, che in questo orror secreto,
     L’ombra cercando di qualche arbor folto,
     75Con Nice m’assidea contento e lieto.

Dove or, dov’è? non torna più quel volto
     A rallegrarvi; orma non veggio intorno
     Più di quel piè, nè quella voce ascolto.

Invan la cerco, invan parto e ritorno
     80Ai noti luoghi, indarno più l’aspetto
     Dal nascer primo al declinar del giorno.

E pur credulo, oimè, se un zefiretto
     Sibilando talor more una fronda,
     Tendo l’orecchio, e il cor mi balza in petto.

85Parmi talor, che al mio chiamar risponda
     Languido suon; mi volgo. ahi lasso! e veggo
     Il fonte mormorar con flebil’onda.

Ah fuggiam questi luoghi, io più non reggo
     Fra tanti oggetti in cui sol per mia pena
     90Mille ingrate memorie incontro e leggo.

Qui la vid’io, su questa spiaggia amena
     La prima volta al fianco mio s’assise.
     Ah ch’ella forse or sel ricorda appena!

Qui d’eterna amistà fede promise,
     95Qui finse di sdegnarsi, e poi mi volse
     Furtiva il guardo, e languida sorrise.

Quivi a’ dolci rimproveri ella sciolse
     L’amico labbro, e mille volte e mille
     De’dubbj miei, del mio timor si dolse.

100Ed ahi gli occhi bagnò di calde stille,
     Ed io, che d’arte mai non seppi, io tersi
     Credulo di mia man le sue pupille.

Oh luoghi, oh giorni, oh quanto oimè diversi!...
     Ma quali in quelle piante?... Ah perchè al guardo
     105Vi offrite, o di mia mano incisi versi?

V’udia già Nice un dì, che al mio non tardo
     Estro Amor vi dettava, e per sua gloria
     Poi sulla scorza io vi scolpía col dardo.

Spesso del nostro amor la dolce istoria
     110Meco rilesse sugl’impressi segni.
     O di perduto ben cruda memoria!

Perite, o troppo omai miseri pegni,
     Nè più sia chi l’ardor, che mi divora,
     A queste selve in avvenire insegni.

115La man, che vi scolpì, vi cancelli ora,
     E delle acerbe mie doglie secreto
     Con voi si perda la memoria ancora.

Voi pur, che infausto monumento siete.
     D’infausto amar, piante odïose e spesse,
     120Tronchi il ferro, arda il foco... ah no, vivete.

Vivete, amiche piante, e voi con esse
     Crescete, o versi; e faccia il vostro stile
     Fede di quell’amor, che qui v’impresse.

Forse avverrà, che alcun pastor gentile
     125In passando vi legga, e forse ammiri
     Il facil canto non incolto e vile.

E forse fia, che Nice ancor vi miri,
     E per tarda pietà, ch’ella ne senta,
     Sul mio tradito amor pianga e sospiri.

130Ma che! ne ha dunque ogni memoria spenta?...
     No, nol cred’io; tanti d’amor veraci
     Pegni in secreto ancor forse rammenta.

E il tempo, i luoghi, le promesse... Ah taci,
     Taci, speme crudel; debole assai
     135Son’io pur anco, e tu lusinghi e piaci.

Eh che pur troppo anche il mio nome ornai
     Sparse d’ohblio coi dolci affetti insieme,
     Che o più non sente, o non sentì giammai.

E perchè dunque alla bugiarda speme
     140Cedi mio cor deluso, e nutrir vuoi
     D’inutil foco le reliquie estreme?

Che se imitar la crudeltà non puoi
     Dell’immemore Nice, il tuo lamento
     Taci, e nascondi almen gli affanni tuoi.

145E tu cetra un dì cara, al cui concento
     Quel nome adorno di novel decoro
     Suonería forse in cento lidi e cento,

Scordalo pure, e sulle fila d’oro,
     Poiché a Nice già sei vile e negletta,
     150Meco imprendi ad ordir nuovo lavoro.

Te Melpomene mia chiama ed aspetta
     Sulla tragica scena, e a miglior pianto,
     E al deposto coturno omai t’affretta.

Felice me! se col novel tuo canto
     155Sopisco in parte le pungenti cure,
     Misero, e imparo ad obbliare intanto,

Mentre piango le altrui, le mie sventure.