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Mariano Lio


“Setu de chi po ti, ceo?”


(“Di chi sei figlio, bambino?”)


L’importanza della raccolta dei soprannomi di famiglia


La qualità e il risultato di questo convegno sono già garantiti dalla presenza di nomi di indiscussa competenza in questo particolare ambito, per cui propongo il mio contributo con valore di corollario, di completamento, di esempio di applicazione sul campo.

Quindi, trattati dai colleghi relatori gli aspetti più strettamente specialistici e didattici, avrei piacere di accennare a quella che è stata la mia esperienza pratica. L’auspicio è che, già domani, qualche insegnante - poiché ne sono i principali destinatari - o qualche uditore, fossero invogliati ad approfondire sul proprio territorio quanto recepito e, magari assieme agli studenti, cominciassero a raccogliere mettendo a fuoco uno dei tanti ambiti in cui è possibile fare ricerca nel più ampio campo della tradizione, del dialetto, della cultura locale. Raccogliere diventa così proprio un primo passo per chi vuole contribuire a salvaguardare il patrimonio popolare di un territorio perché nella fase successiva, ossia elaborando il materiale reperito, vedrà affiorarne quasi inaspettatamente proprio la cultura, la tradizione e la lingua; in questo caso, specificatamente attraverso i soprannomi.

Mi posso definire un appassionato a livello hobbistico di usi e costumi locali, di dialetto, di vita andata nelle sue varie forme, che si presenti sotto forma di foto o mobili d’arredamento, di dialetto o tradizioni, di storie della gente comune o di curiosità... Ed è proprio fra le curiosità che avevo inizialmente collocato i soprannomi di famiglia; un elenco che dapprima compariva in un foglietto piegato alla meglio e che tenevo in tasca, pronto all’occorrenza per il costante aggiornamento, da cogliere durante la giornata. Che mi piaceva, inizialmente, era la lettura che mi facevo ad alta voce dell’elenco degli stessi: ne risultava un suono di parole che a prima vista sembravano una illogica e farneticante serie di termini per lo più dialettali e completamente privi di nesso fra loro: un animale, un oggetto, un piatto tipico, uno strumento di lavoro, un aggettivo ora riferito al carattere ora all’aspetto fisico, un’attività lavorativa, un toponimo, un capo d’abbigliamento…

E, volutamente senza alcuna premessa, ogni tanto improvvisavo questa “recita” a qualche ignaro gruppetto di amici; lo scopo era cercare di coglierne le reazioni che risultavano di iniziale stupore-disorientamento, seguito da curiosità e simpatia appena riconosciuto essere i soprannomi locali. Veniva da sé che la cosa proseguiva, in modo divertito e animato, cercando assieme di individuarne qualcuno sfuggito all’elencazione. Ed ecco, nel seguito, sopraggiungere fra i presenti le domande più importanti: ma perché quel soprannome?

Che cosa significa quel termine? Ma da quando esiste?

È a quel punto che si apre un ventaglio infinito, incredibile, ricchissimo di spunti e di informazioni nei più svariati ambiti, tutti a loro volta da approfondire e che, al di là degli aspetti più strettamente linguistico-etimologico-antropologici, possono davvero incuriosire e appassionare. Soprattutto nelle realtà circoscritte, dove ci si conosce più a fondo, gli interessati possono cercare di ricollocare la propria radice, gli avi, le tradizioni, il lavoro, le caratteristiche di famiglia… cioè affiorano quasi dei dati sensibili di ognuno. In questo modo, intensificando l’attività, è nata una raccolta di soprannomi storici di Segusino, esistenti ed estinti.

Anche nel titolo Setu de chi po ti, ceo? (lett. “Ma di chi sei figlio tu, piccolo?”, nel senso: da che famiglia provieni?) ho cercato di giocare fra dialetto, tradizione, fatti accaduti... Contemporaneamente ho tentato di bloccare sulla carta una certa quantità di dati, aneddoti, notizie anche secondarie che comunque, già oggi, a circa 15 anni di distanza, non sarei in grado di reperire nuovamente. Il motivo è semplice e naturale: oggi sarei privo di 15 anni di persone che nel frattempo sono venute a mancare e che limiterebbero il volume di informazioni, ma soprattutto ridurrebbero di 15 anni la retromarcia in termini temporali, ossia la possibilità di testimoniare il passato. Lo stesso ragionamento, ma in direzione opposta, vale se avessi compiuto il lavoro 15 anni prima… Questo sintetizza il valore e il limite delle fonti orali: molte testimonianze rischiano di rimanere esclusivamente nella memoria dei protagonisti, oppure si tramandano se raccontate, ma in un progressivo e fisiologico scemare di precisione, attendibilità, verificabilità…

Ma cosa rimane oggi del soprannome, che uso se ne fa, che attualità ha?

A Segusino, e l’aver reso pubblica la mia ricerca può aver contribuito, la radicata tradizione ha ottenuto una forma di piccola rivalutazione, una specie di ufficializzazione, quasi uno sdoganamento per cui anch’io, nel mio ambito, cerco sempre di farne uso ad esempio nell’elencazione di persone, in presenza di omonimie o in altre occasioni che si prestino. In questo modo si può modificare quell’alone di ironia, quel senso di presa in giro e quindi di fastidio che possono in qualche caso anche rasentare l’offesa per sottolinearne invece l’aspetto tradizionale e alla fine culturale, l’utilità data dal superare le omonimie, finanche l’orgoglio di essere di “quel” ceppo. Oggi, comunque, è meno “utile” quale risolutore di omonimie considerata il proliferare sia di cognomi che di nomi. Ma si pensi che il locale borgo di Stramare vedeva la quasi totalità di famiglie Stramare, tutte nell’unica Via Stramare, e che in paese c’era la presenza contemporanea di 12 Giovanni Stramare! Per questo, ad esempio, lungo tutto il testo di una pubblicazione dedicata al borgo stesso, si è optato per l’utilizzo del nome affiancato dal solo soprannome, completamente sostitutivo dell’ufficiale cognome, a quel punto ritenuto sottinteso. È, inoltre, curioso e simpatico registrare come molti ragazzini continuino a chiamarsi col soprannome di casa, a titolo scherzoso ma sicuramente utile al mantenimento. Oppure, ambito meno allegro, come l’appellativo ufficioso ma popolarmente più conosciuto, compaia nelle epigrafi!

E, ancora, ulteriore contesto, come proprio grazie all’aver tramandato in famiglia l’appellativo di casa abbia permesso la ricostruzione genealogica da parte dei discendenti di italiani emigrati all’estero o la ripresa di contatti coi parenti. Ho ritenuto di far rientrare tutta la questione nell’ambito del costume, del folclore e del colore locali; perlomeno, questo è l’aspetto cui ho dato la precedenza per cercare di attirare l’interesse della gente. In un secondo momento ho anche cercato un’idea, un qualcosa che potesse contribuire a tener viva questa tradizione, per tentare di farla sopravvivere o, forse meglio, per ritardarne la sua morte… L’elenco telefonico alternativo ordinato per soprannome!

La cosa, così estrosa di primo acchito, potrebbe comunque:

  • 1) mantenere l’uso e la trasmissione di

questa usanza ancora diffusa nelle piccole realtà, tenendo vive le origini e le relative motivazioni;

  • 2) equivalere ad uno scatto fotografico,

alla data di realizzazione, che rappresenta grossomodo la popolazione suddivisa per rami familiari come spesso il cognome da solo non riesce a garantire;

  • 3) permettere di scoprire o, a seconda,

rispolverare nella memoria, le parentele e i comuni ceppi di derivazione, soprattutto alle generazioni più giovani;

  • 4) diventare un argomento di conversazione,

una occasione per alimentare quella trasmissione di aneddoti e storia familiare da tramandare di generazione in generazione, di approfondimento delle radici popolari e della storia locale.

A questo punto si apre, però, la necessità di mettere dei paletti, di fissare dei requisiti minimi che fanno assurgere al nomignolo il ruolo di soprannome di famiglia. Per “soprannomi di famiglia storici del paese” io ho convenzionalmente inteso quelli che sopravvivono nell’uso comune ormai da almeno tre generazioni; sono stati esclusi, quindi, quelli riferiti a singole persone oppure di recente diffusione. Per questo, in presenza di un esempio rientrante in quest’ultima tipologia (singole persone o recente diffusione), ho preferito rimandare a quello storico di famiglia da cui proviene. Il rischio è quello di escludere vari esempi che di fatto sono già ben identificativi del ramo di provenienza. Sarà eventualmente il tempo e l’uso comune a decretarli nuovi appellativi di famiglia e, quindi, a renderli “storici”. Effettivamente, i casi dubbi rappresentati appunto da quelli che, non avendone ancora i requisiti, sono già abbastanza diffusi e prossimi alla “storicizzazione”, sono stati risolti uno ad uno. Ma, e qui chiudo il mio intervento, il fatto che, comunque, esista anche il problema di scegliere quale soprannome perché ce n’è più di uno, o perché ce n’è uno più recente che incalza, è curioso e importante e conferma come sia diversa la struttura della città rispetto a quella delle nostre comunità: conferma che il costume di assegnare nomi alternativi è tutt’altro che sopito: questo è segno di un certo spirito di osservazione, di sana voglia di ironizzare e di condividere, è segno della vitalità di una comunità che ancora esiste e, soprattutto, che si riconosce orgogliosamente tale.

Comunicazione presentata alla “Giornata di studio sui soprannomi di famiglia”, indetta dall’Istituto Ladin de la Dolomites in collaborazione col CIP - Università degli Studi di Udine nell’ambito del Corso di formazione per insegnanti - Progetto 2006, Pieve di Cadore 5.9.2009.