La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XXXIV

Libro secondo
Capitolo XXXIV

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Se io non dicessi, in qualcuno di questi mia accidenti, cognoscere d’aver fatto male, quell’altri, dove io cognosco aver fatto bene, non sarebbono passati per veri; però io cognosco d’aver fatto errore a volermi vendicare tanto istranamente con Pagolo Miccieri. Benché, se io avessi pensato che lui fussi stato uomo di tanta debolezza, non mai mi sarie venuta in animo una tanto vituperosa vendetta, qual io feci; ché non tanto mi bastò l’avergli fatto pigliar per moglie una cosí iscellerata puttanella; che ancora di poi, per voler finire il restante della mia vendetta, la facevo chiamare, e la ritraevo: ognindí le davo trenta soldi; e faccendola stare ignuda, voleva la prima cosa che io li dessi li sua dinari innanzi; la siconda voleva molto bene da far colezione; la terza io per vendetta usavo seco, rimproverando allei e al marito le diverse corna che io gli facevo; la quarta si era che io la facevo stare con gran disagio parecchi e parecchi ore; e stando in questo disagio a lei veniva molto affastidio, tanto quanto a me dilettava, perché lei era di bellissima forma e mi faceva grandissimo onore. E perché e’ non le pareva che io l’avessi quella discrezione che prima io avevo innanzi che lei fossi maritata, venendole grandemente a noia, cominciava a brontolare; e in quel modo suo francioso con parole bravava, allegando il suo marito, il quale era ito a stare col priore di Capua, fratello di Piero Strozzi. E sí come i’ ho detto, la allegava questo suo marito; e come io sentivo parlar di lui, subito mi veniva una stizza inistimabile; pure me la sopportavo, mal volentieri, il meglio che io potevo, considerando che per l’arte mia io non potevo trovare cosa piú a proposito di costei; e da me dicevo: - Io fo qui dua diverse vendette: l’una per esser moglie: queste non son corna vane, come eran le sua quando lei era a me puttana; però se io fo questa vendetta sí rilevata inverso di lui e inverso di lei ancora tanta istranezza, faccendola stare qui con tanto disagio, il quale, oltra al piacere, mi resulta tanto onore e tanto utile, che poss’io piú desiderare? - In mentre che io facevo questo mio conto, questa ribalda moltipricava con quelle parole ingiuriose, parlando pure del suo marito; e tanto faceva e diceva, che lei mi cavava de’ termini della ragione; e datomi in preda all’ira, la pigliavo pe’ capegli e la strascicavo per la stanza, dandogli tanti calci e tante pugna insino che io ero stracco. E quivi non poteva entrare persona al suo soccorso. Avendola molto ben pesta, lei giurava di non mai piú voler tornar da me; per la qual cosa la prima volta mi parve molto aver mal fatto, perché mi pareva perdere una mirabile occasione al farmi onore. Ancora vedevo lei esser tutta lacerata, livida e enfiata, pensando che, se pure lei tornassi, essere di necessità di farla medicare per quindici giorni, innanzi che io me ne potessi servire.