La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XCVI

Libro secondo
Capitolo XCVI

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In questo tempo io ero molto domestico di Girolimo degli Albizi, il quale era commessario delle bande di Sua Eccellenzia; e un giorno infra gli altri egli mi disse: - O Benvenuto, e’ sarebbe pur bene il porre qualche sesto a questo poco del dispiacere che tu hai con el Duca; e ti dico, che se tu avessi fede in me, che e’ mi darebbe ’l cuore da conciarla; perché io so quello che io mi dico. Come il Duca s’adira poi da dovero, tu ne farai molto male: bastiti questo; io non ti posso dire ogni cosa -. E perché e’ m’era stato detto da uno, forse tristerello, dipoi che la Duchessa m’aveva parlato, il quale disse che aveva sentito dire che ’l Duca, per non so che occasione datagli, disse: - Per manco di dua quattrini io gitterò via il Perseo e cosí si finiranno tutte le differenze - ora per questa gelosia io dissi a Girolimo degli Albizi, che io rimettevo in lui il tutto, e che quello che egli faceva, io di tutto sarei contentissimo, pure che io restassi in grazia del Duca. Questo galante uomo, che s’intendeva benissimo dell’arte del soldato, massimamente di quei delle bande, i quali sono tutti villani, ma dell’arte del fare la scultura egli non se ne dilettava e però e’ non se ne intendeva punto, di sorte che parlando con el Duca disse: - Signore, Benvenuto s’è rimesso in me, e m’ha pregato che io lo raccomandi a Vostra Eccellenzia illustrissima -. Allora il Duca disse: - E ancora io mi rimetto in voi, e starò contento attutto quello che voi giudicherete -. Di modo che il detto Girolamo fece una lettera molto ingegnosa e in mio gran favore, e giudicò che ’l Duca mi dessi tremila cinquecento scudi d’oro innoro, i quali bastassino non per premio di una cotal bella opera, ma solo per un poco di mio trattenimento; basta che io mi contentavo; con molte altre parole, le quali in tutto concludevano il detto prezzo. Il Duca la sottoscrisse molto volentieri, tanto quanto io ne fu’ malcontento. Come la Duchessa lo intese, la disse: - Gli era molto meglio per quel povero uomo che e’ l’avessi rimessa in me, che gne l’arei fatto dare cinque mila scudi d’oro - e un giorno che io ero ito in Palazzo, la Duchessa mi disse le medesime parole alla presenzia di messer Alamanno Salviati, e mi derise, dicendomi che e’ mi stava bene tutto ’l male che io avevo. Il Duca ordinò che e’ mi fussi pagato cento scudi d’oro innoro il mese, insino alla detta somma, e cosí si andò seguitando qualche mese. Dipoi messer Antonio de’ Nobili, che aveva aúta la detta commessione, cominciò a darmene cinquanta, e di poi quando me ne dava venticinque e quando non me gli dava; di sorte che, vedutomi cosí prolungare, amorevolmente dissi al detto messer Antonio, pregandolo che e’ mi dicessi la causa perché e’ non mi finiva di pagare. Ancora egli benignamente mi rispose: innella qual risposta e’ mi parve ch’e’ s’allargassi un poco troppo, perché - giudichilo chi intende - in prima mi disse che la causa perché lui non continuava il mio pagamento si era la troppa strettezza che aveva ’l Palazzo di danari, ma che egli mi prometteva che come gli venissi danari, che mi pagherebbe; e aggiunse dicendo: - Oimè! se io non ti pagassi, io saria un gran ribaldo -. Io mi maravigliai il sentirgli dire una cotal parola, e per quella mi promissi che quando e’ potessi, che e’ mi pagherebbe. Per la qual cosa e’ ne seguí tutto ’l contrario, di modo che, vedendomi straziare, io m’adirai seco e gli dissi molte ardite e collorose parole, e gli ricordai tutto quello che lui m’aveva detto che sarebbe. Imperò egli si morí, e io resto ancora a ’vere cinquecento scudi d’oro insino a ora, che siamo vicini alla fine dell’anno 1566. Ancora io restavo d’avere un resto di mia salari, il quale mi pareva che e’ non si facessi piú conto di pagarmegli, perché gli eran passati incirca a tre anni; ma gli avvenne una pericolosa infermità al Duca, che gli stette quarantotto ore senza potere orinare; e conosciuto che i remedi de’ medici non gli giovavano, forse ei ricorse a Iddio, e per questo e’ volse che ogniuno fussi pagato delle sue provvisione decorse e ancora io fui pagato; ma non fu’ pagato già del mio resto del Perseo.