La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXXIV

Libro secondo
Capitolo LXXXIV

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Il Duca, avendo conosciuto che tutto quello che io avevo detto e’ m’era stato fatto dire come per forza, disse: - Se tu hai fede in me, non ti dubitare di nulla al mondo -. Di nuovo io dissi: - Oimè, Signor mio, come potrà egli essere che la Duchessa nullo sappia? - A queste mie parole ’l Duca alzò la fede e disse: - Fa conto di averle sepolte innuna cassettina di diamanti -. A queste onorate parole, subito io dissi il vero di quanto io intendeva di quelle perle, e che le non valevano troppo piú di dumila scudi. Avendoci sentiti la Duchessa racchetare, perché parlavàno quando dir si può piano, ella venne innanzi, e disse: - Signor mio, Vostra Eccellenzia di grazia mi compri questo vezzo di perle, perché io ne ho grandissima voglia, e il vostro Benvenuto ha ditto che mai e’ non n’ha veduto il piú bello -. Allora il Duca disse: - Io nollo voglio comprare. - Perché, Signor mio, non mi vuole Vostra Eccellenzia contentare di comperare questo vezzo di perle? - Perché e’ non mi piace di gittar via i danari -. La Duchessa di nuovo disse: - Oh come gittar via li dinari, che ’l vostro Benvenuto, in chi voi avete tanta fede meritamente, m’ha ditto che gli è buon mercato piú di tremila scudi? - Allora il Duca disse: - Signora, il mio Benvenuto m’ha detto, che se io lo compro, che io gitterò via li mia dinari, perché queste perle non sono né tonde né equali, e ce n’è assai delle vecchie; e che e’ sia il vero, or vedete questa e quest’altra, e vedete qui e qua: si che le non sono ’l caso mio -. A queste parole la Duchessa mi guardò con malissimo animo, e minacciandomi col capo si partí di quivi, di modo che io fui tutto tentato di andarmi con Dio e dileguarmi di Italia; ma perché il mio Perseo si era quasi finito, io non volsi mancare di nollo trar fuora: ma consideri ogni uomo in che greve travaglio io mi ritrovavo. Il Duca aveva comandato a’ suoi portieri in mia presenza, che mi lasciassino sempre entrare per le camere e dove Sua Eccellenzia fussi; e la Duchessa aveva comandato a quei medesimi che tutte le volte che io arrivavo in quel palazzo, eglino mi cacciassino via; di sorte che come ei mi vedevano, subito e’ si partivano da quelle porte e mi cacciavano via; ma e’ si guardavano che ’l Duca no gli vedessi, di sorte che se ’l Duca mi vedeva in prima che questi sciagurati, o egli mi chiamava o e’ mi faceva cenno che io andassi. La Duchessa chiamò quel Bernardone sensale, il quale lei s’era meco tanto doluta della sua poltroneria e vil dappocaggine, e allui si raccomandò, sí come l’aveva fatto a mme; il quale disse: - Signora mia, lasciate fare a me -. Questo ribaldone andò innanzi al Duca con questo vezzo in mano. Il Duca, subito che e’ lo vide, gli disse che e’ se gli levassi d’inanzi. Allora il detto ribaldone con quella sua vociaccia, che ei la sonava per il suo nasaccio d’asino, disse: - Deh! Signor mio, comperate questo vezzo a quella povera Signora, la quale se ne muor di voglia, e non può vivere sanz’esso -. E aggiugnendo molte altre sue sciocche parolaccie, ed essendo venuto affastidio al Duca, gli disse: - O tu mi ti lievi d’inanzi, o tu gonfia un tratto -. Questo ribaldaccio, che sapeva benissimo quello che lui faceva, perché se o per via del gonfiare o per cantare La bella Franceschina, ei poteva ottenere che ’l Duca facessi quella compera, egli si guadagnava la grazia della Duchessa e di piú la sua senseria, la quale montava parecchi centinaia di scudi: e cosí egli gonfiò. Il Duca gli dette parecchi ceffatoni in quelle sue gotaccie, e per levarselo d’inanzi ei gli dette un poco piú forte che e’ non soleva fare. A queste percosse forti in quelle sue gotaccie, non tanto l’esser diventate troppo rosse, che e’ ne venne giú le lacrime. Con quelle ei cominciò a dire: - Eh! Signore, un vostro fidel servitore, il quale cerca di far bene e si contenta di comportare ogni sorte di dispiacere, pur che quella povera Signora sia contenta -. Essendo troppo venuto affastidio al Duca questo uomaccio, e per le gotate e per amor della Duchessa, la quale Sua Eccellenzia illustrissima sempre volse contentare, subito disse: - Levamiti d’inanzi col malanno che Dio ti dia, e va, fanne mercato, che io son contento di far tutto quello che vuole la signora Duchessa -. Or qui si conosce la rabbia della mala fortuna inverso d’un povero uomo e la vituperosa fortuna a favorire uno sciagurato: io mi persi tutta la grazia della Duchessa, che fu buona causa di tormi ancor quella del Duca; e lui si guadagnò quella grossa senseria e la grazia loro: sí che e’ non basta l’esser uomo dabbene e virtuoso.