La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXX

Libro secondo
Capitolo LXXX

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Ora, giunto che io fui a Roma, andai alloggiare in casa del detto Bindo Altoviti: ei subito mi disse come gli aveva mostro ’l suo ritratto di bronzo a Michelagnolo, e che ei lo aveva tanto lodato; cosí di questo noi ragionammo molto allungo. Ma perché gli aveva in mano di mio mille dugento scudi d’oro innoro, i quali il detto Bindo me gli aveva tenuti insieme di cinque mila simili, che lui ne aveva prestati al Duca, che quattro mila ve n’era de’ sua e in nome suo v’era li mia, e’ me ne dava quel utile della parte mia che e’ mi si preveniva; qual fu la causa che io mi messi a fargli il detto ritratto. E perché quando ’l detto Bindo lo vide di cera, ei mi mandò a donare 50 scudi d’oro per un suo ser Giuliano Paccalli notai’, che stava seco, i quali dinari io non gli volsi pigliare e per il medesimo gliele rimandai, e di poi dissi al detto Bindo: - A me basta che quei mia dinari voi me gli tegniate vivi; e che e’ mi guadagnino qualche cosa - io mi avvidi che gli aveva cattivo animo, perché in cambio di farmi carezze, come gli era solito di farmi, egli mi si mostrò rigido; e con tutto che ei mi tenessi in casa, mai non mi si mostrò chiaro, anzi stava ingrognato. Pure con poche parole la risolvemmo: io mi persi la mia fattura di quel suo ritratto e il bronzo ancora, e ci convenimmo che quei mia dinari e’ gli tenessi a 15 per cento a vita mia durante naturale.