La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXVIII

Libro secondo
Capitolo LXXVIII

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Lasciato che io ebbi dua giorni freddare la mia gittata opera, cominciai a scoprirla pian piano; e trovai, la prima cosa, la testa della Medusa, che era venuta benissimo per virtú degli sfiatatoi, sí come io dissi al Duca che la natura del fuoco si era l’andare all’insú; di poi seguitai di scoprire il resto, e trovai l’altra testa, cioè quella del Perseo, che era venuta similmente benissimo; e questa mi dette molto piú di meraviglia, perché sí come e’ si vede, l’è piú bassa assai bene di quella della Medusa. E perché le bocche di detta opera si erano poste nel disopra della testa del Perseo e per le spalle, io trovai che alla fine della detta testa del Perseo si era appunto finito tutto ’l bronzo che era nella mia fornace. E fu cosa maravigliosa, che e’ non avanzò punto di bocca di getto, né manco non mancò nulla; che questo mi dette tanta maraviglia, che e’ parve propio che la fussi cosa miracolosa, veramente guidata e maneggiata da Iddio. Tiravo felicemente innanzi di finire di scoprirla, e sempre trovavo ogni cosa venuto benissimo, in sino a tanto che e s’arivò al piede della gamba diritta che posa, dove io trovai venuto il calcagno; e andando innanzi, vedevol essere tutto pieno, di modo che io da una banda molto mi ralegravo e da un’altra parte mezzo e’ m’era discaro, solo perché io avevo detto al Duca, che e’ non poteva venire. Di modo che finendolo di scoprire, trovai che le dita non erano venute, di detto piede, e non tanto le dita, ma e’ mancava sopra le dita un pochetto, attale che gli era quasi manco mezzo; e se bene e’ mi crebbe quel poco di fatica, io l’ebbi molto caro, solo per mostrare al Duca che io intendevo quello che io facevo. E se bene gli era venuto molto piú di quel piede che io non credevo, e’ n’era stato causa che per i detti tanti diversi accidenti il metallo si era piú caldo, che non promette l’ordine dell’arte; e ancora per averlo aùto assoccorrerlo con la lega in quel modo che s’è detto, con quei piatti di stagno, cosa che mai per altri non s’è usata. Or veduta l’opera mia tanto bene venuta, subito me n’andai a Pisa a trovare il mio Duca; il quale mi fece una tanto gratissima accoglienza, quanto immaginar si possa al mondo; e il simile mi fece la Duchessa; e se bene quel lor maiordomo gli aveva avvisati del tutto, ei parve alloro Eccellenzie altra cosa piú stupenda e piú meravigliosa il sentirla contare a mme in voce; e quando io venni a quel piede del Perseo, che non era venuto, sí come io ne avevo avvisato in prima Sua Eccellenzia illustrissima, io lo viddi empiere di meraviglia, e lo contava alla Duchessa, si come io gnel’ avevo detto innanzi. Ora veduto quei mia Signori tanto piacevoli inverso di me, allora io pregai il Duca, che mi lasciassi andare insino a Roma. Cosí benignamente mi dette licenzia, e mi disse che io tornassi presto affinire ’l suo Perseo, e mi fece lettere di favore al suo imbasciadore, il quale era Averardo Serristori: ed erano li primi anni di papa Iulio de’ Monti.