La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXX

Libro secondo
Capitolo LXX

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In mentre che io cosí piacevolmente trattenevo ’l Duca, avvenne che un paggio uscí fuori della guardaroba e che, nell’uscire il detto, entrò il Bandinello. Vedutolo ’l Duca, mezzo si conturbò, e con cera austera gli disse: - Che andate voi faccendo? - Il detto Bandinello, sanza rispondere altro, subito gittò gli occhi a quella cassetta, dove era la detta statua scoperta, e con un suo mal ghignaccio, scotendo ’l capo, disse volgendosi inverso ’l Duca: - Signore, queste sono di quelle cose che io ho tante volte dette a Vostra Eccellenzia illustrissima. Sappiate che questi antichi non intendevano niente la notomia, e per questo le opere loro sono tutte piene di errori -. Io mi stavo cheto e non attendevo a nulla di quello che egli diceva, anzi gli avevo volte le rene. Subito che questa bestia ebbe finita la sua dispiacevol cicalata, il Duca disse: - O Benvenuto, questo si è tutto ’l contrario di quello che con tante belle ragioni tu m’hai pure ora sí ben dimostro: sí che difendila un poco -. A queste ducal parole, portemi con tanta piacevolezza, subito io risposi e dissi: - Signor mio, vostra Eccellenzia Illustrissima ha da sapere che Baccio Bandinelli si è composto tutto di male, e cosí ei è stato sempre; di modo che ciocché lui guarda, subito a’ sua dispiacevoli occhi, se bene le cose sono in sopralativo grado tutto bene, subito le si convertono innun pessimo male. Ma io, che solo son tirato al bene, veggo piú santamente ’l vero; di modo che quello che io ho detto di questa bellissima statua a Vostra Eccellenzia illustrissima si è tutto il puro vero, e quello che n’ha ditto ’l Bandinello si è tutto quel male solo, di quel che lui è composto -. Il Duca mi stette a udire con molto piacere, e in mentre che io dicevo queste cose, il Bandinello si scontorceva e faceva i piú brutti visi del suo viso, che era bruttissimo, che immaginar si possa al mondo. Subito ’l Duca si mosse, avviandosi per certe stanze basse, e il detto Bandinello lo seguitava. I camerieri mi presono per la cappa e me gli avviorno dietro e cosí seguitammo il Duca, tanto che Sua Eccellenzia illustrissima, giunto innuna stanza, e’ si misse assedere, e il Bandinello e io stavamo un da destra e un da sinistra di Sua Eccellenzia illustrissima. Io stavo cheto, e quei che erano all’intorno, parecchi servitori di Sua Eccellenzia, tutti guardavano fiso ’l Bandinello, alquanto soghignando l’un coll’altro di quelle parole che io gli avevo detto in quella stanza di sopra. Cosí il detto Bandinello cominciò a favellare e disse: - Signore, quando io scopersi il mio Ercole e Cacco, certo che io credo che piú di cento sonettacci ei mi fu fatti, i quali dicevano il peggio che immaginar si possa al mondo da questo popolaccio -. Io allora risposi e dissi: - Signore, quando il nostro Michelagnolo Buonaroti scoperse la sua Sacrestia, dove ei si vidde tante belle figure, questa mirabile e virtuosa Scuola, amica della verità e del bene, gli fece piú di cento sonetti, a gara l’un l’altro a chi ne poteva dir meglio: e cosí come quella del Bandinello meritava quel tanto male che lui dice che della sua si disse, cosí meritava quel tanto bene quella del Buonaroti, che di lei si disse -. A queste mie parole il Bandinello venne in tanta rabbia, che ei crepava, e mi si volse e disse: - E tu che le sapresti apporre? - Io te lo dirò se tu arai tanta pazienza di sapermi ascoltare -. Diss’ei: - Or di’ su -. Il Duca e gli altri, che erano quivi, tutti stavano attenti. Io cominciai e in prima dissi: - Sappi ch’ei m ’incresce di averti a dire e’ difetti di quella tua opera, ma none io ti dirò tal cose, anzi ti dirò tutto quello che dice questa virtuosissima Scuola -. E perché questo uomaccio or diceva qualcosa dispiacevole e or faceva con le mani e con i piedi, ei mi fece venire in tanta còllora, che io cominciai in molto piú dispiacevol modo che, faccendo ei altrimenti, io nonnarei fatto: - Questa virtuosa Scuola dice che se e’ si tosassi i capegli a Ercole, che e’ non vi resterebbe zucca che fussi tanta per riporvi il cervello; e che quella sua faccia e’ non si conosce se l’è di omo o se l’è di lionbue; e che la non bada a quel che la fa, e che l’è male appiccata in sul collo, con tanta poca arte e con tanta mala grazia, che e’ non si vedde mai peggio; e che quelle sue spallacce somigliano due arcioni d’un basto d’un asino; e che le sue poppe e il resto di quei muscoli non son ritratti da un omo, ma sono ritratti da un saccaccio pieno di poponi, che diritto sia messo, appoggiato al muro. Cosí le stiene paiono ritratte da un sacco pieno di zucche lunghe; le due gambe e non si conosce in che modo le si sieno appiccate a quel torsaccio; perché e’ non si conosce in su qual gamba e’ posa o in su quale e’ fa qualche dimostrazione di forza; né manco si vede che ei posi in su tutt’a dua, sí come e’ s’è usato alcune volte di fare da quei maestri che sanno qualche cosa; ben si vede che la cade innanzi piú d’un terzo di braccio: che questo solo si è ’l maggiore e il piú incomportabile errore che faccino quei maestracci di dozzina plebe’. Delle braccia dicono che le son tutt’a dua giú distese senza nessuna grazia, né vi si vede arte, come se mai voi non avessi visto degl’ignudi vivi, e che la gamba dritta d’Ercole e quella di Cacco fanno ammezzo delle polpe delle gambe loro; che se un de’ dua si scostassi dall’altro, non tanto l’uno di loro, anzi tutt’a dua resterebbono senza polpe da quella parte che ei si toccano; e dicono che uno dei piedi di Ercole si è sotterrato, e che l’altro pare che gli abbia il fuoco sotto.