La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LX

Libro secondo
Capitolo LX

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In questo tempo Bernardone Baldini, sensale di gioie di Sua Eccellenzia, aveva portato di Vinezia un diamante grande, di piú di trentacinque carati di peso: eraci Antonio di Vittorio Landi ancora lui interessato per farlo comperare al Duca. Questo diamante era stato già una punta, ma perché e’ non riusciva con quella limpidità fulgente, che a tal gioia si doveva desiderare, li padroni di esso diamante avevano ischericato questa ditta punta, la quale veramente non faceva bene né per tavola né per punta. Il nostro Duca, che si dilettava grandemente di gioie, ma però non se ne intendeva, dette sicura isperanza a questo ribaldone di Bernardaccio di volere comperare questo ditto diamante. E perché questo Bernardo cercava di averne l’onore lui solo, di questo inganno che voleva fare al Duca di Firenze, mai non conferiva nulla con il suo compagno, il ditto Antonio Landi. Questo ditto Antonio era molto mio amico per insino da puerizia, e perché lui vedeva che io ero tanto domestico con il mio Duca, un giorno infra gli altri mi chiamò da canto - era presso a mezzodí, e fu in sul canto di Mercato Nuovo - e mi disse cosí: - Benvenuto, io son certo che ’l Duca vi mostrerrà un diamante, il quale e’ dimostra aver voglia di comperarlo: voi vedrete un gran diamante. Aiutate la vendita; e io vi dico che io lo posso dare per diciasette mila scudi: io son certo che il Duca vorrà il vostro consiglio; se voi lo vedete inclinato bene al volerlo, e’ si farà cosa che lo potrà pigliare -. Questo Antonio mostrava di avere una gran sicurtà nel poter far partito di questa gioia. Io li promessi che, essendomi mostra e di poi domandato del mio parere, io arei detto tutto quello che io intendessi, senza danneggiare la gioia. Sí come io ho detto di sopra, il Duca veniva ogni giorno in quella oreficeria per parecchi ore; e dal dí che m’aveva parlato Antonio Landi piú di otto giorni dappoi, il Duca mi mostrò un giorno doppo desinare questo ditto diamante, il quale io ricognobbi per quei contra segni che m’aveva detto Antonio Landi e della forma e del peso. E perché questo ditto diamante era d’un’acqua, sí come io dissi di sopra, torbidiccia e per quella causa avevano ischericato quella punta, vedendolo io di quella sorte, certo l’arei isconsigliato a far tale ispesa; però, quando e’ me lo mostrò, io domandai Sua Eccellenzia quello che quella voleva che io dicessi, perché gli era divario a’ gioiellieri a il pregiare una gioia, di poi che un Signore l’aveva compera, o al porgli pregio perché quello la comperassi. Allora Sua Eccellenzia mi disse che l’aveva compro e che io dicessi solo il mio parere. Io non volsi mancare di non gli accennare modestamente quel poco che di quella gioia io intendevo. Mi disse che io considerassi la bellezza di quei gran filetti che l’aveva. Allora io dissi che quella non era quella gran bellezza che Sua Eccellenzia s’immaginava e che quella era una punta ischericata. A queste parole il mio Signore, che s’avvedde che io dicevo il vero, fece un mal grugno e mi disse che io attendessi a stimar la gioia e giudicare quello che mi pareva che la valessi. Io che pensavo che, avendomelo Antonio Landi offerto per diciasette mila scudi, mi credevo che il Duca l’avessi aùto per quindici mila il piú, e per questo io, che vedevo che lui aveva per male che io gli dicessi il vero, pensai di mantenerlo nella sua falsa oppinione, e pòrtogli il diamante, dissi: - Diciotto mila scudi avete ispeso -. A queste parole il Duca levò un rumore, faccendo uno O piú grande che una bocca di pozzo, e disse: - Or cred’io che tu non te ne intendi -. Dissi allui: - Certo, Signor mio, che voi credete male: attendete a tenere la vostra gioia in riputazione e io attenderò a intendermene. Ditemi almanco quello che voi vi avete speso drento, acciò che io impari a intendermene sicondo i modi di Vostra Eccellenzia -. Rizzatosi il Duca con un poco di sdegnoso ghigno, disse: - Venticinque mila iscudi e da vantaggio, Benvenuto, mi costa - e andato via. A queste parole era alla presenza Gianpagolo e Domenico Poggini, orefici; e il Bachiacca ricamatore, ancora lui, che lavorava in una stanza vicina alla nostra, corse a quel rimore; dove io dissi: - Io non l’arei mai consigliato che egli lo comperassi; ma se pure egli n’avessi aùto voglia, Antonio Landi otto giorni fa me lo offerse per diciasette mila scudi; io credo che io l’arei aùto per quindici o manco. Ma il Duca vuol tenere la sua gioia in riputazione; perché avendomela offerta Antonio Landi per un cotal prezzo, diavol che Bernardone avessi fatto al Duca una cosí vituperosa giunteria! - E non credendo mai che tal cosa fussi vera, come l’era, ridendo ci passammo quella simplicità del Duca.