La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LV

Libro secondo
Capitolo LV

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Avendo dato ordine a tutte le sopra ditte cose, e cominciando a tirare innanzi per apparecchiarmi piú presto a questa sopra ditta impresa - di già era spento parte della calcina - innun tratto io fui chiamato dal sopra ditto maiodomo; e io, andando a lui, lo trovai dopo il desinare di Sua Eccellenzia in sulla sala detta dell’Oriuolo; e fattomigli innanzi, io allui con grandissima riverenza, e lui a me con grandissima rigidità, mi domandò chi era quello che m’aveva messo in quella casa, e con che autorità io v’avevo cominciato drento a murare; e che molto si maravigliava di me, che io fussi cosí ardito prosuntuoso. A questo io risposi che innella casa m’aveva misso Sua Eccellenzia, e in nome di Sua Eccellenzia Sua Signoria, la quale aveva dato le commessione a Lattanzio Gurini; e il detto Lattanzio aveva condotto pietra, rena, calcina, e dato ordine alle cose che io avevo domandato - e di tanto diceva avere aùto commessione da Vostra Signoria -. Ditto queste parole, quella ditta bestia mi si volse con maggiore agrezza che prima, e mi disse che né io né nessuno di quelli che io avevo allegato, non dicevano la verità. Allora io mi risenti’ e gli dissi: - O maiordomo, insino a tanto che Vostra Signoria parlerà sicondo quel nobilissimo grado in che quella è involta, io la riverirò e parlerò allei con quella sommissione che io fo al Duca; ma faccendo altrimenti, io le parlerò come a un ser Pier Francesco Riccio. -. Questo uomo venne in tanta còllora, che io credetti che volesse impazzare allora, per avanzar tempo da quello che i cieli determinato gli aveano; e mi disse, insieme con alcune ingiuriose parole, che si maravigliava molto di avermi fatto degno che io parlassi a un suo pari. A queste parole io mi mossi e dissi: - Ora ascoltatemi, ser Pier Francesco Riccio, che io vi dirò chi sono i mia pari, e chi sono i pari vostri, maestri d’insegnar leggere a’ fanciulli -. Ditto queste parole, quest’uomo con arroncigliato viso alzò la voce, replicando piú temerariamente quelle medesime parole. Alle quali ancora io acconciomi con ’l viso de l’arme, mi vesti’ per causa sua d’un poco di presunzione, e dissi che li pari mia eran degni di parlare a papi e a imperatori e a gran re; e che delli pari mia n’andava forse un per mondo, ma delli sua pari n’andava dieci per uscio. Quando e’ sentí queste parole, salí in su ’n muricciuolo di finestra, che è in su quella sala; da poi mi disse che io replicassi un’altra volta le parole che io gli avevo dette; le quale piú arditamente che fatto non avevo replicai, e di piú dissi che io non mi curavo piú di servire il Duca, e che io me ne tornerei nella Francia, dove io liberamente potevo ritornare. Questa bestia restò istupido e di color di terra, e io arrovellato mi parti’ con intenzione di andarmi con Dio; che volessi Idio che io l’avessi eseguita. Dovette l’Eccellenzia del Duca non saper cosí al primo questa diavoleria occorsa, perché io mi stetti certi pochi giorni avendo dimesso tutti i pensieri di Firenze, salvo che quelli della mia sorella e delle mie nipotine, i quali io andavo accomodando; ché con quel poco che io avevo portato le volevo lasciare acconcie il meglio che io potevo, e quanto piú presto da poi mi volevo ritornare in Francia, per non mai piú curarmi di rivedere la Italia. Essendomi resoluto di spedirmi il piú presto che io potevo, e andarmene sanza licenzia del Duca o d’altro, una mattina quel sopra ditto maiordomo da per se medesimo molto umilmente mi chiamò, e messe mano a una certa sua pedantesca orazione, innella quale io non vi senti’ mai né modo né grazia, né virtú, né principio, né fine: solo v’intesi che disse che faceva professione di buon cristiano, e che non voleva tenere odio con persona, e mi domandava da parte del Duca che salario io volevo per mio trattenimento. A questo io stetti un poco sopra di me e non rispondevo, con pura intenzione di non mi voler fermare. Vedendomi soprastare sanza risposta, ebbe pur tanta virtú che egli disse: - O Benvenuto, ai duchi si risponde; e quello che io ti dico te lo dico da parte di Sua Eccellenzia -. Allora io dissi che dicendomelo da parte di Sua Eccellenzia, molto volentieri io volevo rispondere; e gli dissi che dicessi a Sua Eccellenzia come io non volevo esser fatto secondo a nessuno di quelli che lui teneva della mia professione. Disse il maiordomo: - Al Bandinello si dà dugento scudi per suo trattenimento, sicché, se tu ti contenti di questo, il tuo salario è fatto -. Risposi che ero contento, e che quel che io meritassi di piú, mi fussi dato da poi vedute l’opere mie, e rimesso tutto nel buon giudizio di Sua Eccellenzia illustrissima: cosí contra mia voglia rappiccai il filo e mi messi a lavorare, faccendomi di continuo il Duca i piú smisurati favori che si potessi al mondo immaginare.