La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo LXVIII

Libro primo
Capitolo LXVIII

../Capitolo LXVII ../Capitolo LXIX IncludiIntestazione 14 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo LXVII Libro primo - Capitolo LXIX

Riveduto che ebbe il Solosmeo le sue faccende a Monte Casini, insieme ce ne andammo alla volta di Napoli. Arrivati a un mezzo miglio presso a Napoli, ci si fece incontro uno oste il quale ci invitò alla sua osteria, e ci diceva che era stato in Firenze molt’anni con Carlo Ginori; e se noi andavamo alla sua osteria, che ci arebbe fatto moltissime carezze, per esser noi Fiorentini. Al qual oste noi piú volte dicemmo, che seco noi non volevamo andare. Questo uomo pur ci passava inanzi e or ristava indrieto, sovente dicendoci le medesime cose, che ci arebbe voluti alla sua osteria. Il perché venutomi a noia, io lo domandai se lui mi sapeva insegnare una certa donna siciliana, che aveva nome Beatrice, la quale aveva una sua bella figliuoletta che si chiamava Angelica, ed erano cortigiane. Questo ostiere, parutoli che io l’uccellassi, disse: - Idio dia il malanno alle cortigiane e chi vuol lor bene - e dato il piè al cavallo, fece segno di andarsene resoluto da noi. Parendomi essermi levato da dosso in un bel modo quella bestia di quell’oste, con tutto che di tal cosa io non estessi in capitale, perché mi era sovvenuto quel grande amore che io portavo a Angelica, e ragionandone col ditto Solosmeo non senza qualche amoroso sospiro, vediamo con gran furia ritornare a noi l’ostiere, il quale, giunto da noi, disse: - E’ sono o dua over tre giorni, che accanto alla mia osteria è tornato una donna e una fanciulletta, le quali hanno cotesto nome; non so se sono siciliane o d’altro paese -. Allora io dissi: - Gli ha tanta forza in me quel nome di Angelica, che io voglio venire alla tua osteria a ogni modo -. Andammocene d’accordo insieme coll’oste nella città di Napoli, e scavalcammo alla sua osteria, e mi pareva mill’anni di dare assetto alle mie cose, qual feci prestissimo; e entrato nella ditta casa accanto a l’osteria, ivi trovai la mia Angelica, la quale mi fece le piú smisurate carezze che inmaginar si possa al mondo. Cosí mi stetti seco da quell’ora delle ventidua ore in sino alla seguente mattina con tanto piacere, che pari non ebbi mai. E in mentre che in questo piacere io gioiva, mi sovvenne che quel giorno apunto spirava il mese che mi fu promisso in el circolo di negromanzia dalli demonii. Sí che consideri ogni uomo, che s’inpaccia con loro, e’ pericoli inistimabili che io ho passati.