La tutela internazionale della proprietà intellettuale: il fenomeno del copyleft/Capitolo 2.3

Capitolo 2.2 Capitolo 2.4

2.3.1. Il progetto GNU

Nel 1984, un giovane hacker1 del Massachusetts Institute of Tecnology (MIT), Richard Stallman, creò un sistema operativo “libero” chiamato GNU, acronimo per “GNU’s Not Unix” (“GNU non è Unix”).2 L’idea di fondo del progetto era costituire (o meglio, ri-costituire) una comunità di hackers che mettesse in condivisione capacità, esperienza e creatività per produrre programmi liberi da copyright, in controtendenza rispetto alla linea, descritta precedentemente, adottata dalle principali aziende informatiche statunitensi.

Per far questo, Stallman decise di lasciare il MIT, definendo la decisione “necessaria” per evitare che potesse interferire con la distribuzione di GNU come software libero e rivendicare la proprietà del lavoro, imponendo i propri termini di distribuzione o addirittura trasformarlo in un software “proprietario”. Nonostante tutto, poté sfruttare comunque sfruttare le attrezzature del Laboratorio Intelligenze Artificiali, grazie alla compiacenza dell’allora responsabile.3

Il primo programma libero creato fu l’editor di testo GNU Emacs (versione libera dell’omonimo programma della Gosling), reso disponibile inizialmente tramite i server del MIT nel 1985 e, successivamente, su altri supporti dietro pagamento.

Si poneva, però, a questo punto il problema di come impedire che Emacs e i successivi programmi creati dal Progetto GNU fossero trasformati in software “proprietari”, perdendo così le loro caratteristiche fondamentali: la libera modificabilità e la libera redistribuzione.

Stallman decise dunque di usare il copyleft come metodo per preservare le sue creature.4 In pratica, avrebbe creato una licenza d’uso che avrebbe concesso a tutti il permesso di usare, copiare e modificare il programma, di distribuire le versioni modificate – ma non di poter aggiungere restrizioni a questi diritti.

Con l’aumentare dell’interesse verso l’iniziativa, nel 1985 venne fondata la Free Software Foundation (FSF), alla quale vennero trasferiti tutti i diritti che riguardavano GNU Emacs e i successivi software prodotti – o, per meglio dire, la FSF veniva incaricata non solo della diffusione e della distribuzione dei programmi, ma anche di verificare che la licenza d’uso ideata venisse rispettata.

I principi di questa licenza vennero poi sanciti definitivamente nel 1986, con la già citata Free Software Definition, scritta da Richard Stallman e pubblicata dalla FSF. Da questa deriva la GNU General Public Licence (anche chiamata GNU GPL o solo GPL),5 pubblicata nel 1989 e definita da un anonimo «la Magna Charta degli hackers».6 A questa si aggiunsero successivamente la GNU Lesser General Public Licence (GNU LGPL o solo LPGL, 1991)7 e la GNU Free Documentation Licence (GNU FDL o GFDL, 2000).8

Il progetto GNU però risentiva – e risente ancora oggi – di un approccio di fondo avverso, talvolta in modi particolarmente “fondamentalisti”, nei confronti di tutto ciò che può definirsi “software proprietario”. Ciò si nota in maniera decisamente evidente da quanto Stallman scrive, rievocando le prime donazioni alla FSF di computer che utilizzavano Unix come sistema operativo:

«As the GNU project’s reputation grew, people began offering to donate machines running Unix to the project. These were very useful, because the easiest way to develop components of GNU was to do it on a Unix system, and replace the components of that system one by one. But they raised an ethical issue: whether it was right for us to have a copy of Unix at all.

Unix was (and is) proprietary software, and the GNU project’s philosophy said that we should not use proprietary software. But, applying the same reasoning that leads to the conclusion that violence in self defense is justified, I concluded that it was legitimate to use a proprietary package when that was crucial for developing a free replacement that would help others stop using the proprietary package.

But, even if this was a justifiable evil, it was still an evil. Today we no longer have any copies of Unix, because we have replaced them with free operating systems. If we could not replace a machine’s operating system with a free one, we replaced the machine instead».9

Un’altra esemplificazione di questo approccio fu la decisione di scrivere un intero sistema operativo praticamente da zero, ossia puntare a sostituire completamente tutte le componenti software che fanno funzionare un computer. Un obbiettivo sicuramente molto ambizioso, ma che nonostante tutto fu quasi completamente realizzato in soli cinque anni.

Nel 1990, infatti, larga parte delle componenti era stata “scritta”, con una sola, ma rilevantissima, eccezione: il kernel, ossia il nucleo stesso del sistema operativo, quello che fornisce e gestisce tutte le funzioni essenziali. Il tentativo di produrne uno stabile, che nelle intenzioni sarebbe stato chiamato GNU Hurd, non andò in porto e fu infine abbandonato.

2.3.2. L’open source si afferma: Linux e Apache

Il problema venne risolto grazie a Linus Torvalds, un giovane programmatore finlandese, che iniziò «per hobby» a progettare un sistema operativo libero. Il 25 agosto 1991, Torvalds annunciò di aver quasi completato il lavoro sul newsgroup “comp.os.minix”, chiedendo suggerimenti e consigli riguardo le caratteristiche che gli altri iscritti avrebbero voluto vedere in un sistema operativo.10

La prima versione del suo sistema operativo, solo dopo chiamato Linux,11 fu la 0.01 e fu rilasciata il 17 settembre 1991 con una licenza sui generis, decisa dallo stesso Torvalds: il programma, infatti, non poteva essere utilizzato a scopi commerciali. Solo a metà dicembre 1992, con il rilascio della versione 0.99, Linux venne rilasciato con licenza GPL.

Questa decisione, poi definita da Torvalds «definitely the best thing I ever did»,12 permise dunque l’integrazione di Linux con il sistema operativo creato da Stallman e colleghi, ponendo le basi per la nascita da quel momento in poi di innumerevoli varianti di sistemi operativi liberi – tutti comunque riconducibili a GNU/Linux13 o a sue derivazioni.

Fra questi rileva ricordare: Slackware, una delle prime versioni nate e attualmente la più “vecchia” ancora in circolazione; Debian, la cui comunità di sviluppo deriverà dalla FSF le proprie linee guida, che a loro volta saranno alla base della citata Open Source Definition; Red Hat Linux, poi abbandonato nel 2004, dalla cui esperienza è poi nato Fedora; Ubuntu, diventato la principale distribuzione.14

Lo sviluppo e l’affermazione di Linux sono legati a quelli di Apache HTTP Server, un programma nato nel 1995 per rendere più veloce e stabile la navigazione in Internet. Il progetto si basava su una serie di correzioni e miglioramenti di HTTP Daemon, programma del National Center for Supercomputing Applications della Università dell’Illinois rilasciato in pubblico dominio.

Lanciato nella sua “versione beta15 (la 0.6.2) ad aprile 1995 e nella sua “versione stabile16 nel dicembre dello stesso anno, Apache divenne leader nel mercato nel giro di appena 12 mesi – per non lasciare mai più la sua posizione di predominanza. A oggi, infatti, si calcola che circa il 70% dei siti internet sia basato su server che usano Apache.17

2.3.3. L’ingresso di IBM nel mondo open source

L’emergere di Apache ha richiamato l’interesse di un colosso del settore informatico come IBM, entrato in crisi nei primi anni ‘90 a causa della forte concorrenza di Apple e Microsoft. Fu così che “Big Blue”, nell’intento di rinnovare la sua immagine e riconquistare fette di mercato, decise con qualche titubanza di entrare nel mondo dell’open source.

Nel marzo 1998, alcuni rappresentanti di IBM incontrarono Brian Behlendorf, capo del gruppo di sviluppatori di Apache. Entrambe le parti mostravano una certa diffidenza nei confronti dell’altra: da una parte, i programmatori del software libero temevano che IBM intendesse imporre limitazioni “proprietarie”; dall’altra, i tecnici di quest’ultima nutrivano dubbi tecnici e legali sulla collaborazione con una comunità composta da programmatori sparsi in tutto il mondo.

Nonostante le diffidenze, si giunse a un accordo: IBM avrebbe preso parte alla comunità di Apache, cedendo i propri codici sorgente e comportandosi come gli altri componenti. Inoltre, finanziò con un modesto contributo la fondazione della Apache Software Foundation.

Dopo appena tre mesi di collaborazione, IBM decise che tutti i suoi prodotti avrebbero supportato Apache e, anzi, che quel programma sarebbe stato integrato nella linea WebSphere, che ebbe un notevole successo. Fu un punto di svolta decisivo, perché gli ottimi risultati di questa iniziativa portò il colosso informatico a un’altra grande, decisiva svolta: l’ingresso nella comunità di Linux.

La decisione fu motivata anche qui da necessità di mercato: i clienti richiedevano sempre più l’uso di questo sistema operativo sui propri server, così come aumentavano i giovani programmatori favorevoli all’open source e esperti nel campo. La comunità di Linux, tuttavia, era estremamente più frazionata rispetto a quella di Apache, sia in termini di singole distribuzioni, sia in termini di team specializzati nella gestione di singoli aspetti.

IBM scelse avvedutamente «di farsi carico delle attività meno affascinanti, ma comunque necessarie. L’azienda contribuì a rafforzare l’affidabilità di Linux attraverso il testing del codice, la risoluzione dei difetti, la stesura della documentazione e la cessione del proprio codice e i propri strumenti secondo i dettami dell’open source».18

Il successo di queste iniziative permise a IBM di diventare un pilastro della comunità open source, ma soprattutto fu il definitivo trampolino di lancio per Linux, oggi largamente utilizzato su parecchi supporti (dai computer di bordo delle auto ai cellulari, ai supercomputer). Ancora scarsi al momento i risultati invece sul mercato dei personal computer, dove la quota detenuta si attesta intorno all’1%,19 anche se la crescita dei servizi collegati è ormai stabilmente superiore al resto del mercato.

2.3.4. Il riconoscimento delle licenze libere da parte dei giudici nazionali

L’affermazione di Linux e degli altri programmi open source in ambito commerciale ha determinato anche vari dubbi riguardo la validità delle licenze copyleft con le quali erano distribuiti. La domanda più pressante riguardava la loro ammissibilità in giudizio, qualora risultassero casi di violazioni di copyright.

La giurisprudenza statunitense ed europea si è trovata, nell’ultimo decennio, ad affrontare pochi casi in materia, prevalentemente riguardanti la GPL. Tutti però convergono sullo stesso punto: la GPL, in generale, può essere considerata una licenza d’uso valida e, dunque, utilizzabile in sede giudiziaria. Di seguito, si citeranno sinteticamente i due casi più emblematici.

2.3.4.a) I casi SCO v. IBM e SCO v. Novell

Nel marzo del 2003, la azienda produttrice di software “The Santa Cruz Operation” Group Inc. (chiamata anche SCO Group, o anche solo SCO) intentò causa presso la Corte Distrettuale dello Utah contro il colosso informatico IBM, per una presunta violazione dei termini di utilizzo e dei diritti di sfruttamento economico di Unix.20

La SCO, che in passato aveva elaborato e commercializzato proprie versioni di Linux e altri prodotti open source, acquistò i diritti su Unix dalla Novell, la quale a sua volta li aveva rilevati dalla AT&T. Le due precedenti titolari avevano inoltre ceduto una particolare licenza d’uso di Unix alla IBM (che produsse la variante AIX) e a Sequent (poi incorporata da IBM e che ha prodotto la variante Dynix).

SCO accusò IBM di aver rivelato il codice sorgente di Unix ai programmatori della comunità Linux, cooperando con loro per la realizzazione e lo sfruttamento economico di alcuni software derivati, violando pertanto gli obblighi di riservatezza contenuti nei vari contratti di licenza e i diritti di sfruttamento commerciale di varie versioni di Unix, che SCO rivendicava. Al centro della disputa vi erano le versioni 2.4.x, 2.5.x e 2.6.x di Linux, che incorporavano (secondo le tesi del ricorrente) mere elaborazioni di Unix e diverse porzioni di AIX e Dynix comuni anche a Unix.

Parallelamente, SCO diffidò le 1500 maggiori imprese statunitensi dal comprare e/o commerciare prodotti basati su Unix, minacciando di ricorrere alle vie legali anche nei confronti di qualsiasi utente (anche finale) di Linux. «I maligni sospettano che dietro l’iniziativa di SCO vi sia la mano (neppure tanto invisibile) di Microsoft, la quale avrebbe già chiesto e ottenuto dall’attrice una licenza a titolo oneroso per l’utilizzo di quei diritti».21

IBM si difese affermando che la comunità Linux ottenne dai precedenti titolari e dalla SCO stessa il codice sorgente. In aggiunta, denunciò a sua volta SCO per violazione del copyright e per violazione della licenza GPL: la SCO avrebbe infatti violato la GPL nell’utilizzo del software Linux utilizzato per le successive rielaborazioni, che poi ha commercializzato a condizioni differenti da quelle previste dalla GPL.22

SCO rispose con l’emissione di un subpoena23 a carico della Free Software Foundation, asserendo che la GPL può essere «selectively enforced» soltanto dalla Fondazione, con ciò dichiarando IBM impossibilitata a richiedere il rispetto della GPL. Quest’ultima, inoltre, «violates the U.S. Constitution, together with copyright, antitrust and export control laws» secondo la SCO.24 Il caso, dunque, assunse rilevanza soprattutto per l’importanza che avrebbe rivestito in futuro riguardo la validità in se della GPL – e, di fatto, di tutte le altre licenze copyleft.

Tuttavia, il caso ebbe un risvolto inaspettato: il 28 marzo 2003, la Novell contestò le affermazioni su cui la SCO fondava il suo ricorso alle misure legali contro IBM, affermando che «the 1995 agreement governing SCO’s purchase of UNIX from Novell does not convey to SCO the associated copyrights».25 Le schermaglie fra SCO e Novell portarono la prima a intentare una causa, sempre presso la Corte Distrettuale dello Utah, anche contro Novell nel gennaio 2004. Da questo giudizio, sarebbero di fatto dipesi sia il giudizio sul caso IBM, sia quelli riguardanti altre cause intentate da SCO verso altre aziende.26

Un primo giudizio giunse nell’agosto 2007: la corte accolse i rilievi della Novell, dichiarandola unica detentrice dei diritti di sfruttamento su Unix e, dunque, dismettendo de facto tutti gli altri processi ancora pendenti che vedevano coinvolta SCO. Questa fu, inoltre, condannata a pagare circa 4 milioni di dollari di risarcimento a Novell.27 La sentenza è stata però annullata nell’agosto del 2009 e il caso rinviato alla precedente corte, che ora dovrà nuovamente esprimersi al riguardo.

2.3.4.b) Il caso Sitecom

In Europa, il problema della natura giuridica della GPL è stato affrontato per la prima volta nel 2004:28 la Corte Distrettuale di Monaco di Baviera condannò la filiale tedesca della azienda olandese di software Sitecom a una multa di 100.000 Euro. La Sitecom rese, infatti, possibile il download gratuito di un programma basato a sua volta su un programma sviluppato dalla comunità del Progetto netfilter/iptables e licenziato in GPL – senza però che l’azienda citasse quest’ultima circostanza, né rendesse disponibile il codice sorgente, ai sensi della licenza.

La Corte stabilì il 2 aprile 2004, in sede di primo grado che la Sitecom «is under penalty ... to distribute and/or copy and/or make publicly accessible the software ‘iptables/netfilter’, without pointing to the licensing under the GPL and attaching the license text of the GPL and making the source code of the software ‘iptables/netfilter’ available free of license fees, according to the conditions of the GNU General Public License, version 2», confermando poi la sentenza in sede di secondo grado (luglio 2004) e aggiungendo che «the court shares the opinion that the conditions GPL [...] cannot be considered a waiver of copyright and autorship rights. To the contrary, conditions of copyright law serve the users to ensure and realize their goals regarding further development and distribution of software».29

Va notato che, sebbene la clausola 4 della GPL30 sia stata considerata dalla corte parzialmente invalida nella misura in cui l’esaurimento prescritto ha effetto solo in personam, nessun dubbio invece viene espresso sulla clausola 2, ossia quella che garantisce il permesso di usare, copiare e modificare il programma e di distribuire le versioni modificate.

La sentenza della corte bavarese rappresenta indubbiamente una vittoria per il movimento copyleft, anche se non risolve definitivamente ogni dubbio. Nota Boschiero: «La decisione della corte tedesca [...] appare [...] criticabile sotto il profilo della completa mancanza di un ragionamento internazionalprivatistico[.] Avendo qualificato la licenza come contratto, ci pare in particolare che la corte avrebbe dovuto risolvere il problema della validità o meno della licenza, nel suo complesso e dei suoi singoli termini [...] alla luce della legge regolatrice individuata dall’appropriata norma di conflitto. [...] Non è chiaro se la corte tedesca abbia inteso sottrarsi a questo ingrato compito ravvisando comunque nella sua decisione una violazione dei diritti di proprietà intellettuale, [...] o se invece, più semplicemente, non si sia nemmeno resa conto del problema di una possibile diversa soluzione internazionalprivatistica conseguente alla corretta qualificazione [delle clausole] 2 e 3 della licenza GPL come “contractual issues”».31

2.3.5. Le prospettive future

Come accennato prima, il successo del modello copyleft è finora dipeso (e continuerà a dipendere) dal successo della sua filosofia di fondo, basata sull’apertura, sulla flessibilità e sulla libertà di scelta – ma anche dalla sua capacità di continuare a produrre opere di qualità appetibili per il mercato.

Un discorso simile si può fare per le singole licenze: è ragionevole supporre che le impostazioni troppo “fondamentaliste” lasceranno facilmente il passo ad altre più rispettose degli interessi di tutti gli attori coinvolti. Per esempio, si è visto come, in passato, si sia estremamente ridotto il ricorso a varie licenze create in ambito universitario negli anni ‘80, i cui estensori pure sono stati costretti (come si vedrà) ad abbandonare determinate restrizioni.

In prospettiva, anche le licenze della Free Software Foundation corrono questo rischio: sebbene sia eccessivo dire che esse si avviino entro breve all’estinzione, le polemiche sorte riguardo il rilascio della versione 3.0 della GNU GPL – particolarmente aggressiva nei confronti dei meccanismi di digital rights management,32 al punto da scatenare la clamorosa decisione di Linus Torvalds di non rilasciare Linux con questa nuova versione, ma di mantenere ancora la licenza 2.0Conversion isn’t going to happen»)33 – sollevano ben più di un interrogativo sulla necessità di continuare a mantenere una posizione di manicheo rifiuto nei confronti di tutto ciò che è “proprietario”.

È, in effetti, estremamente condivisibile la posizione di Torvalds su quello che una licenza libera dovrebbe essere: «I really want a license to do just two things: make the code available to others, and make sure that improvements stay that way. That’s really it. Nothing more, nothing less. Everything else is fluff».34 Fatta salva quella che è la volontà dell’autore nei confronti della sua opera, le modalità decise sull’uso e la distribuzione dovrebbero, infatti, dipendere da valutazioni pragmatiche e non ideologiche, per quanto condivisibili.

Anche per questo, si è ritenuto opportuno in quest’analisi focalizzarsi maggiormente sulle licenze Creative Commons, come esempio di licenze che coprono con efficacia tutte le combinazioni esistenti fra il copyright e il pubblico dominio e che vengono il più possibile incontro all’utilizzatore, sia in termini di comprensibilità che di adattabilità alle varie legislazioni nazionali.

È opportuno rimarcare, tuttavia, come questa “polemica” interna non sia altro che una normale dinamica «di un processo sociale complesso, all’interno del quale vi sono posizioni più radicali», come quelle di Stallman e della Free Software Foundation, «e posizioni meno estremiste», come quelle della Open Source Initiative o della Creative Commons Foundation.35

Note

  1. Il termine hacker nasce intorno agli anni ‘60 e indica inizialmente un appartenente al gruppo universitario di programmatori per computer, prevalentemente gravitante intorno alle strutture del Massachusetts Institute of Tecnology (MIT). L’hacker è «[a] person who delights in having an intimate understanding of the internal workings of a system, computers and computer networks in particular». Col tempo, tuttavia, il termine ha assunto connotati dispregiativi, essendo così chiamati i c.d. “pirati della rete”, laddove sarebbe più corretto parlare di crackers, ossia «an individual who attempts to access computer systems without authorization. These individuals are often malicious, as opposed to hackers, and have many means at their disposal for breaking into a system». Per entrambe le definizioni, cfr. Internet Users’ Glossary, Request for Comments 1392, gennaio 1993. Disponibile al sito: http://www.rfc-editor.org/rfc/rfc1392.txt.
  2. Unix era un sistema operativo “proprietario” particolarmente usato all’epoca.
  3. Cfr. R. Stallman, op. cit.
  4. Stallman afferma che usò il termine copyleft «to name the distribution concept I was developing at the time» perché ispirato da una lettera ricevuta dall’amico e collega programmatore Don Hopkins. Cfr. R. Stallman, op. cit.
  5. Per un commento della licenza, cfr. infra, par. 2.4.1. “La GNU General Public License.
  6. La definizione, decisamente appropriata, viene riportata in M.S. Spolidoro, “Open Source e violazione delle sue regole”, in L.C. Ubertazzi (a cura di), op. cit., pag. 96.
  7. Per un commento della licenza, cfr. infra, par. 2.4.2. “La GNU Lesser General Public License.
  8. Per un commento della licenza, cfr. infra, par. 2.4.3. “La GNU Free Documentation License.
  9. R. Stallman, op. cit.
  10. Il messaggio originale, in lingua inglese, è disponibile al sito: http://groups.google.com/group/comp.os.minix/msg/b813d52cbc5a044b.
  11. Il nome iniziale scelto da Torvalds fu Freax, ma i suoi amici insistettero per chiamarlo (quasi) come il suo ideatore.
  12. H. Yamagata, “The Pragmatist of Free Software: Linus Torvalds Interview”, Tokyo Linux Users Group, 30 settembre 1997. Disponibile al sito: http://www.tlug.jp/docs/linus.html.
  13. In realtà, il nome GNU/Linux viene utilizzato quasi esclusivamente dalla Free Software Foundation, per rimarcare il fatto che Linux sia rilasciato con la licenza GNU GPL. Il nome Linux resta comunque quello più diffuso in assoluto e, dunque, per comodità lo si utilizzerà di qui in avanti.
  14. Per “distribuzione”, spesso abbreviata con “distro”, si intende un pacchetto preconfigurato di programmi facile da installare, particolarmente utile in ambito open source per permettere anche a utenti non esperti di installare programmi liberi sul proprio computer.
  15. Per “versione beta” si intende una versione non ufficiale (ossia una sorta di prototipo) di un programma, che viene rilasciata a un gruppo di utenti più o meno ristretto per verificarne l’efficienza e il funzionamento.
  16. Per “versione stabile” si intende la versione ufficiale di un programma, rilasciata dopo una serie di test sul funzionamento ritenuta sufficiente dagli sviluppatori.
  17. Dati aggiornati a febbraio 2010, disponibili al sito: http://greatstatistics.com/.
  18. D. Tapscott, A.D. Williams, op.cit., pag. 87.
  19. Cfr. i dati disponibili al sito: http://marketshare.hitslink.com/os-market-share.aspx?qprid=9.
  20. La ricostruzione che segue è basata principalmente su M. Bertani, “Open source ed elaborazione di software proprietario”, nota 98, in L.C. Ubertazzi (a cura di), op. cit., pag. 135.
  21. G. Olivieri, L. Marchegiani, “Open source e innovazione tecnologica: il ruolo del diritto antitrust”, in L.C. Ubertazzi (a cura di), op. cit., pag. 478.
  22. A tal proposito, Eben Moglen, avvocato che ancora oggi cura le questioni legali per la Free Software Foundation, nota che: «[a]s to its trade secret claims, which are the only claims actually made in the lawsuit against IBM, there remains the simple fact that SCO has for years distributed copies of the kernel, Linux, as part of GNU/Linux free software systems. [...] There is simply no legal basis on which SCO can claim trade secret liability in others for material it widely and commercially published itself under a license that specifically permitted unrestricted copying and distribution». Cfr. E. Moglen, FSF Statement on SCO v. IBM, Free Software Foundation (ultimo aggiornamento: 29 luglio 2008). Disponibile al sito: http://www.gnu.org/philosophy/sco/sco-v-ibm.html.
  23. Un provvedimento di subpoena è un atto di convocazione a testimoniare o a fornire prove documentali riguardo un procedimento, ovvero affrontare un giudizio per renitenza.
  24. R. McMillan, “SCO: IBM cannot enforce GPL”, InfoWorld.com, 27 ottobre 2003. Disponibile al sito: http://www.infoworld.com/t/platforms/sco-ibm-cannot-enforce-gpl-892.
  25. “Novell Challenges SCO Position, Reiterates Support for Linux”, Novell Press Release, 28 marzo 2003. Disponibile al sito: http://www.novell.com/news/press/archive/2003/05/pr03033.html.
  26. SCO intentò causa anche contro la DaimlerChrysler nel dicembre 2003 (poi ritirata nel 2005) e contro AutoZone nel marzo 2004 (con cui si raggiunse un accordo extragiudiziale nel 2009).
  27. Il pagamento fu però sospeso, poiché SCO chiese l’applicazione del Chapter 11, ovvero l’amministrazione controllata della società in seguito a fallimento.
  28. Una traduzione non ufficiale in inglese della sentenza originale è disponibile al sito: http://www.groklaw.net/article.php?story=20040725150736471.
  29. Traduzioni della sentenze riportate in N. Boschiero, op. cit., pag. 227.
  30. La clausola 4 prevede la cessazione della licenza stessa in caso di sua violazione. Cfr. infra, par. 2.4.1. “La GNU General Public License.
  31. N. Boschiero, op. cit., pagg. 231-232.
  32. M. LaMonica, “New open-source license targets DRM, Hollywood”, ZDNet News, 18 gennaio 2005. Disponibile al sito: http://news.zdnet.com/2100-1040_22-146399.html. In merito cfr. anche infra, par. 2.4.1. “La GNU General Public License.
  33. S. Shankland, “Torvalds: No GPL 3 for Linux”, ZDNet News, 26 gennaio 2005. Disponibile al sito: http://news.zdnet.com/2100-3513_22-146510.html.
  34. S. Shankland, “Torvalds: A Solaris skeptic”, CNET News, 21 dicembre 2004. Disponibile al sito: http://news.cnet.com/Torvalds-A-Solaris-skeptic/2008-1082_3-5498799.html.
  35. M.S. Spolidoro, op. cit., pag. 104.