Giuseppe Gioachino Belli

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Li mariti (1835) Li portroni
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LA TARIFFA NOVA.

     Quelli che cciànno,1 co’ sto novo editto,2
Doppie, luviggi, pezzette,3 zecchini,
Napujjoni e ggijjati,4 poverini!
Pònno dì ppuro5 d’avé ffatto er fritto.6

     Nun z’era inteso mai ch’avé cquadrini
A sto monno che cqua7 ffussi delitto;
E cquesto è er primo bbanno8 che vva dritto
Contro a li grossi e nno a li piccinini.

     Co sta bbuggera nova de tariffa,
Chi spaccia d’èsse9 ricco com’e jjeri,
Disce una farzità, spara una miffa.10

     Figurete Turlonia,11 co’ ste12 ladre
Combriccole futtute de bbanchieri,
L’accidenti che mmanna13 ar Zanto Padre.

11 gennaio 1835.

Note

  1. Ci hanno: hanno.
  2. Al giungere di questo nuovo editto: pubblicato il 10 gennaio 1835. [E che era appunto la nuova tariffa per regolare il corso legale delle monete, a forma del chirografo della Santità di Nostro Signore, Papa Gregorio XVI ecc.]
  3. [Pezzetta, moneta d’oro, spagnola: peseta. La vecchia, sino al 1785, era apprezzata nella tariffa sc. 1,00; la nuova, dal 1786 in poi, sc. 0,96.]
  4. [Gigliato, l’antico scudo d’argento, di Francia, equivalente, secondo la tariffa, a uno scudo e sei baiocchi romani.]
  5. Possono dir pure.
  6. Di essere rovinati. [Si badi che, per conto dell’autore, tutto il sonetto è ironico; giacchè in realtà la tariffa non escludeva dal corso legale nessuna delle monete qui nominate, ma solo ne determinava più equamente il valore. E l’esclusione d’altre monete più rare, per chi ne possedeva qualcuna non era certo un gran danno.]
  7. A questo mondo qua.
  8. Bando.
  9. Essere.
  10. Essere.
  11. Menzogna.
  12. Don Alessandro Torlonia, soprannominato il Salvatorello di Roma in grazia delle usure fatte al Governo nelle urgenze del 1831: di che vedi il sonetto... [I sonetti in cui si parla delle urgenze del 1831 sono molti, e quindi io non potrei precisare a quale il Belli qui alluda. Tra essi però non ce n’è nessuno, che accenni espressamente al Torlonia; il quale è bensi nominato a proposito d’altro in altri sonetti, e in uno che metto qui, perchè rimasto incompiuto. Per intenderne il nono verso, bisogna ricordare che il Torlonia aveva ottenuto, a patti molto rovinosi per il Governo, l’appalto de’ sali e tabacchi:

    UN PAESE SUR UN TETTO.

         Che ccià cche ffà ll’acqua arta o ll’acqua bbassa,
    E i fumi e ll’antenatichi e ll’onore!
    Mo Turlòni è un bravissimo siggnore,
    E ha ssempre pronto er mijjoncino in cassa.

         Che cc’entra, pe’ imbrojjamme la matassa,
    Si er nonno era o nun era un zervitore?
    Er nonno è morto, e cquann’un omo more,
    Nun ze penza ppiù a llui, ma a cquer che lassa.

    Sortanto co’ li sigheri che venne,
    Cosa j’ ha da importà si l’archidetti
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . fàllo spenne.

         . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  tetti
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  castell’in aria.]

  13. [Con queste: e queste.]