La storia di Colombo narrata alla gioventù ed al popolo/VI
Questo testo è completo. |
◄ | V | VII | ► |
Il 2 agosto 1492 la piccola flotta di Colombo era pronta alla partenza nel porto di Palos. Si componeva di tre caravelle: una chiamata S. Maria e detta la Capitana che accoglieva l’Ammiraglio, l’altra nominata la Pinta ed era comandata da Martino Alonzo Pinzon, la terza detta la Niña, ed era al comando di Vincenzo Yañez Pinzon fratello del precedente. L’equipaggio saliva complessivamente a circa un centinaio di persone.
Colombo innanzi di partire tolse il figlio Diego dalla Rabida, dove l’aveva lasciato, e lo affidò alle cure di un ecclesiastico e di altro abitante di Moguer perchè ricevesse una certa istruzione, dovendo entrare in Corte quale paggio del principe ereditario Giovanni.
Spiegate le vele al vento, davanti a tutta Palos accorsa ad assistere a quella partenza che alla gente ignorante e fors’anco ai dotti sapeva di fantastico e di avventuroso, le tre caravelle si allontanarono dal porto radunandosi all’isoletta di Saltes, rimpetto alla città di Huelva, da dove la mattina di venerdì 3 agosto pigliarono le mosse verso le Canarie.
La piccola flotta era appena in viaggio da tre giorni, che alla Pinta saltò il timone. Aggiustatolo alla meglio con funi, il domani si verificò lo stesso inconveniente, non senza sospetto di malizia da parte di qualcuno. Per il che arrivati alle Canarie il 9, Colombo vi si trattenne per tre settimane onde vedere di poter cambiare quella nave che faceva rallentare il cammino alla flottiglia; ma dovette contentarsi di rimontare il timone alla Pinta e di assestare la velatura della Niña, e partire con Dio.
Passando per Teneriffa la spedizione assistè al meraviglioso spettacolo di un’eruzione vulcanica che mise in timore gli equipaggi ignoranti e superstiziosi; poco appresso intesero che in vicinanza dell’isola del Ferro erano tre caravelle portoghesi incaricate di assalire e sequestrare Cristoforo Colombo; ma la flotta spagnuola sorpassò quell’isola senza veder alcun nemico. Piuttosto a 150 miglia dall’isola stessa videro galleggiare un grosso albero di nave, la qual cosa i marinai interpretarono sinistramente; e corse altre 50 miglia, lo stesso Ammiraglio ebbe ragione d’impensierirsi d’un fenomeno mai per lo addietro conosciuto, non essendo mai arrivata una nave in quei mari. «La sera del 13 di settembre (narro con le parole del Sanguineti) osservò che la punta dell’ago magnetico deviava dalla stella polare una mezza quarta e un’altra mezza il seguente mattino. Notò segretamente la cosa; perchè portata a notizia dei suoi prevedeva che avrebbe porto occasione d’ansietà e spavento. Andando però innanzi e crescendo la deviazione non isfuggì all’occhio de’ piloti che ne furono costernati. Il magnete, secondo essi, perdea la sua nota virtù: da ignoto cielo piovevano ignoti influssi: e qual mai poteva essere la loro sorte, quando privati del principale sussidio a riconoscer la loro direzione andrebbero vagando a discrezione delle onde e dei venti? Tale era il gemito di quegli sfiduciati. Ma l’Ammiraglio prese a confortarli colla sua eloquenza, a cui prestavano forza le sue cognizioni astronomiche le quali, per quel che si poteva aver di quel tempo, erano somme. Diceva esser chiaro per questa apparenza che la stella polare non era il punto preciso della tramontana, e che perciò doveva anch’essa percorrere la sua orbita (Così credeasi allora che facessero tutte le stelle, non essendo ancora stato messo in chiaro dagli astronomi il moto della terra). Ma ci doveva essere un altro punto fisso verso il quale l’ago mirasse. Conchiudeva non esser cosa da doverne sgomentare. Questa fu la spiegazione colla quale l’Ammiraglio, credessela o no egli stesso, si affrettò di calmare le inquietudini de’ suoi; è però noto che in seguito egli se ne persuase; ma la scienza con tutti i progressi che ha fatto non ha finora trovato via di darne una probabile ragione».
Proseguendo, i marinai trovavano motivo ora di rianimarsi e sperare prossima la terra, ora di spaventarsi e temere di smarrire la via tanto da non poter più tornare in patria. Dopo la metà di settembre la vista di alcuni uccelli e grandi quantità d’erba galleggiante sul mare fecero sospettare la terra vicina. Anzi ad un certo punto, Alonzo Pinzon credette di averla intraveduta e ne diede il segnale dalla Pinta; ma l’Ammiraglio subito scoperse ch’era illusione prodotta dalle nuvole.
Più andavano innanzi, non vedendo mai la terra sperata, i marinai s’impazientivano e temevano scorgendo i grandi massi d’erbe natanti che quasi impedivano il corso delle navi. Aggiungi che a’ 23 di settembre una fiera tempesta mise al colmo la disperazione di quella gente ignorante e superstiziosa che ormai si credeva smarrita sulle navi di un avventuriere; onde non si peritarono di levare grida sediziose contro l’Ammiraglio e minacciarlo di morte, per tornarsene quindi in patria.
Il 25 Martino Alonzo Pinzon sparò un colpo di cannone, gridando: «Terra, terra». Tutti guardarono nella direzione accennata e allo stesso Colombo parve di vedere la terra tanto bramata; ma il giorno seguente si accorse che anche quella volta era illusione dei sensi.
Cosi andò innanzi la flottiglia spagnuola, segnalando ancora terra che poi non c’era, in timori e speranze, sovente con pericolo dell’Ammiraglio cui mal riusciva domare tanta gente senza fede nel suo genio, fino all’11 ottobre, quando per diversi segni Colombo s’avvide che questa volta era prossimo a qualche terra, e quindi rinacquero in tutti le speranze.