La secchia rapita (1930)/A chi legge

A chi legge

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La secchia rapita (1930) Paulino Castelvecchio ai lettori

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A CHI LEGGE

La Secchia rapita, poema di nuova spezie inventata dal Tassone, contiene una impresa mezza eroica e mezza civile, fondata su l’istoria della guerra, che passò tra i bolognesi e i modanesi al tempo dell’imperador Federico secondo, nella quale Enzio re di Sardigna, figliuolo del medesimo Federico, combattendo in aiuto de’ modanesi, restò prigione e prima d’esser liberato morì in Bologna, come oggidí ancora può vedersi dall’epitafio della sua sepoltura nella chiesa di San Domenico.

La secchia di legno, per cagion della quale è fama che nascesse tal guerra, si conserva tuttavia nell’archivio della catedrale di Modana, appesa alla volta della stanza, con una catena di ferro, quale dicono che servisse a chiudere la porta di Bologna, per onde entrarono i modanesi quando rapiron la secchia.

Di tal guerra ne trattano il Sigonio e ’l Campanaccio istorici, e alcune croniche in penna della cittá di Modana, donde si può vedere che il poema della Secchia rapita ha per tutto ricognizione d’istoria e di veritá.

L’impresa è una e perfetta, cioè con principio, mezzo e fine; e se non è una d’un solo, Aristotile non prescrisse mai ai compositori così fatte strettezze. E oggidì è chiaro che le azioni di molti dilettano piú che quelle d’un solo, e che è piú curiosa da vedere una battaglia campale di qual si voglia duello. Perciò che il diletto della poesia epica non nasce dal vedere operare un uomo solo, ma dal sentir rappresentare verisimilmente azioni maravigliose; le quali quanto sono piú, tanto piú dilettano. Ma facendosi operare un sol uomo, non si può [p. 4 modifica]

rappresentare in una impresa sola gran numero d’azioni; adunque sará sempre piú sicuro l’introdurre piú d’uno. E per questo veggiamo che l’Ariosto, tutto che non abbia unitá di favola e introduca gran moltiplicitá di persone, diletta molto piú dell’ Odissea d’Omero per la quantitá e varietá delle azioni maravigliose ben collegate insieme.

Ma comunque si sia, quando l’autore compose questo poema (che fu una state nella sua gioventú) non fu per acquistar fama in poesia, ma per passatempo e per curiositá di vedere come riuscivano questi due stili mischiati insieme, grave e burlesco; imaginando che se ambidue dilettavano separati avrebbono eziandio dilettato congiunti e misti, se la mistura fosse stata temperata con artificio tale che dalla loro scambievole varietá tanto i dotti quanto gli idioti avessero potuto cavarne gusto. Perciò che i dotti leggono ordinariamente le poesie per ricreazione e si dilettano piú delle baie, quando sono ben dette, che delle cose serie; e gl’idioti, oltre il gusto che cavano dalle cose burlesche, sono eziandio rapiti dalla maraviglia, che le azioni eroiche sogliono partorire.

Or questa nuova strada, come si vede, è piaciuta comunemente. All’autore basta averla inventata e messa in prova con questo saggio. Intanto, com’è facile aggiugnere alle cose trovate, potrá forse qualch’altro avanzarsi meglio per essa.

Egli nel rappresentare le persone passate s’è servito di molte presenti, come i pittori che cavano dai naturali moderni le faccie antiche; perciò che è verisimile che quello che a’ dí nostri veggiamo, altre volte sia stato. Però dove egli ha toccato alcun vizio, è da considerare che non sono vizi particolari, ma comuni del secolo. E che per esempio il conte di Culagna e Titta non sono persone determinate, ma le idee d’un codardo vanaglorioso e d’un zerbin romanesco. E tanto basti etc.