La scienza nuova seconda/Libro terzo/Sezione prima/Capitolo terzo
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[CAPITOLO TERZO]
dell’etá d’omero
792Ci assicurano dell’etá d’Omero le seguenti autoritá de’ di lui poemi:
I
793Achille ne’ funerali di Patroclo dá a vedere quasi tutte le spezie de’ giuochi, che poi negli olimpici celebrò la coltissima Grecia.
II
794Eransi giá ritruovate l’arti di fondere in bassirilievi, d’intagliar in metalli, come, fralle altre cose, si dimostra con lo scudo d’Achille ch’abbiamo sopra osservato. La pittura non erasi ancor truovata. Perché la fonderia astrae le superficie con qualche rilevatezza, l’intagliatura fa lo stesso con qualche profonditá; ma la pittura astrae le superficie assolute, ch’è difficilissimo lavoro d’ingegno. Onde né Omero né Mosé mentovano cose dipinte giammai: argomento della loro antichitá.
III
795Le delizie de’ giardini d’Alcinoo, la magnificenza della sua reggia e la lautezza delle sue cene ci appruovano che giá i greci ammiravano lusso e fasto.
IV
796I fenici giá portavano nelle greche marine avolio, porpora, incenso arabico, di che odora la grotta di Venere; oltracciò, bisso piú sottile della secca membrana d’una cipolla, vesti ricamate, e, tra’ doni de’ proci, una da rigalarsi a Penelope, che reggeva sopra una macchina cosí di dilicate molle contesta, che ne’ luoghi spaziosi la dilargassero, e rassettassero negli angusti. Ritruovato degno della mollezza de’nostri tempi!
V
797Il cocchio di Priamo, con cui si porta ad Achille, fatto di cedro, e l’antro di Calipso ne odora ancor di profumi, il qual è un buon gusto de’ sensi, che non intese il piacer romano quando piú infuriava a disperdere le sostanze nel lusso sotto i Neroni e gli Eliogabali.
VI
798Si descrivono dilicatissimi bagni appo Circe.
VII
799I servetti de’ proci, belli, leggiadri e di chiome bionde, quali appunto si vogliono nell’amenitá de’ nostri costumi presenti.
VIII
800Gli uomini come femmine curano la zazzera; lo che Ettorre e Diomede rinfacciano a Paride effemminato.
IX
801E, quantunque egli narri i suoi eroi sempre cibarsi di carni arroste, il qual cibo è ’l piú semplice e schietto di tutti gli altri, perché non ha d’altro bisogno che delle brace: il qual costume restò dopo ne’ sagrifizi, e ne restarono a’ romani dette «prosiicia» le carni delle vittime arroste sopra gli altari, che poi si tagliavano per dividersi a’ convitati, quantunque poscia si arrostirono, come le profane, con gli schidoni. Ond’è che Achille, ove dá la cena a Priamo, esso fende l’agnello e Patroclo poi l’arroste, apparecchia la mensa e vi pone sopra il pane dentro i canestri; perché gli eroi non celebravano banchetti che non fussero sagrifizi, dov’essi dovevan esser i sacerdoti. E ne restarono a’ latini «epulae», ch’erano lauti banchetti e, per lo piú, che celebravano i grandi; ed «epulum», che dal pubblico si dava al popolo, e la «cena sagra», in cui banchettavano i sacerdoti detti «epulones». Perciò Agamennone esso uccide i due agnelli, col qual sagrifízio consagra i patti della guerra con Priamo. Tanto allora era magnifica cotal idea, ch’ora ci sembra essere di beccaio! Appresso dovettero venire le carni allesse, ch’oltre al fuoco hanno di bisogno dell’acqua, del caldaio e, con ciò, del treppiedi; delle quali Virgilio fa anco cibar i suoi eroi, e gli fa con gli schidoni arrostir le carni. Vennero finalmente i cibi conditi, i quali, oltre a tutte le cose che si son dette, han bisogno de’ condimenti. — Ora, per ritornar alle cene eroiche d’Omero, benché lo piú dilicato cibo de’ greci eroi egli descriva esser farina con cascio e mèle, però per due comparazioni si serve della pescagione; ed Ulisse, fintosi poverello, domandando la limosina ad un de’ proci, gli dice che gli dèi agli re ospitali, o sien caritatevoli co’ poveri viandanti, danno i mari pescosí, o sia abbondanti di pesci, che fanno la delizia maggior delle cene.
X
802Finalmente (quel che piú importa al nostro proposito) Omero sembra esser venuto in tempi ch’era giá caduto in Grecia il diritto eroico e ’ncominciata a celebrarsi la libertá popolare, perché gli eroi contraggono matrimoni con istraniere e i bastardi vengono nelle successioni de’ regni. E cosí dovett’andar la bisogna, perché, lungo tempo innanzi, Ercole, tinto dal sangue del brutto centauro Nesso, e quindi uscito in furore, era morto; cioè, come si è nel libro secondo spiegato, era finito il diritto eroico.
803Adunque, volendo noi d’intorno all’etá d’Omero non disprezzare punto l’autoritá, per tutte queste cose osservate e raccolte da’ di lui poemi medesimi, e, piú che dall’Iliade, da quello dell’Odissea, che Dionigi Longino stima aver Omero essendo vecchio composto, avvaloriamo l’oppenion di coloro che ’l pongono lontanissimo dalla guerra troiana; il qual tempo corre per lo spazio di quattrocensessant’anni, che vien ad essere circa i tempi di Numa. E pure crediamo di far loro piacere in ciò, che noi poniamo a’ tempi piú a noi vicini, perché dopo i tempi di Numa dicono che Psammetico apri a’ greci l’Egitto, i quali, per infiniti luoghi dell’Odissea particolarmente, avevano da lungo tempo aperto il commerzio nella loro Grecia a’ fenici; delle relazioni de’ quali, niente meno che delle mercatanzie, com’ora gli europei di quelle dell’Indie, eran i popoli greci giá usi di dilettarsi. Laonde convengano queste due cose: e che Omero egli non vide l’Egitto, e che narra tante cose e di Egitto e di Libia, e di Fenicia e dell’Asia, e sopra tutto d’Italia e di Sicilia, per le relazioni ch’i greci avute n’avevano da’ fenici.
804Ma non veggiamo se questi tanti e sí dilicati costumi ben si convengono con quanti e quali selvaggi e fieri egli nello stesso tempo narra de’ suoi eroi, e particolarmente nell’Iliade. Talché,
ne placidis coëant immitia,
sembrano tai poemi essere stati per piú etá e da piú mani lavorati e condotti.
805Cosí, con queste cose qui dette della patria e dell’etá del finora creduto, si avanzano i dubbi per la ricerca del vero Omero.