La scienza nuova seconda/Libro quarto/Sezione decima/Capitolo secondo

Sezione decima - Capitolo secondo - Corollario - De' duelli e delle ripresaglie

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Sezione decima - Capitolo secondo - Corollario - De' duelli e delle ripresaglie
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[CAPITOLO SECONDO]

corollario
de’ duelli e delle ripresaglie

959Talché furon una spezie di giudizi divini, nella barbarie delle nazioni, i duelli, che dovettero nascere sotto il governo antichissimo degli dèi e condursi per lunga etá dentro le repubbliche eroiche. Delle quali riferimmo nelle Degnitá quel luogo d’oro d’Aristotile ne’ Libri politici, ove dice che non avevano leggi giudiziarie da punir i torti ed emendare le violenze private: lo che, sulla falsa oppenione finor avuta dalla boria de’ dotti d’intorno all’eroismo filosofico de’ primi popoli, il quale andasse di séguito alla sapienza innarrivabile degli antichi, non si è creduto finora.

960Certamente, tra’ romani furono tardi introdutti, e pur dal pretore, cosí l’interdetto «Unde vi» come le azioni «De vi bonorum raptorum» e «Quod metus caussa», come altra volta si è detto. E, per lo ricorso della barbarie ultima, le ripresaglie private durarono fin a’ tempi di Bartolo; che dovetter essere «condiczioni», o «azioni personali» degli antichi romani, perché «condicere», secondo Festo, vuol dire «dinonziare» (talché il padre di famiglia doveva dinonziare, a colui che gli aveva ingiustamente tolto ciò ch’era suo, che glielo restituisse, per poi usare la ripresaglia); onde tal dinonzia restò solennitá dell’azioni personali: lo che da Uldarico Zasio acutamente fu inteso.

961Ma i duelli contenevano giudizi reali, che, perocché si facevano in re praesenti, non avevano bisogno della dinonzia; onde restarono le vindiciae, le quali, tolte all’ingiusto possessore con una finta forza, che Aulo Gellio chiama «festucaria», «di paglia» (le quali dalla forza vera, che si era fatta prima, dovettero dirsi «vindiciae»), si dovevano portare dal giudice, per dire, in quella «gleba» o zolla: «Aio hunc fundum meum esse ex iure quiritium». Quindi coloro che scrivono i duelli [p. 79 modifica] essersi introdutti per difetto di pruove, egli è falso; ma devon dire: per difetto di leggi giudiziarie. Perché certamente Frotone, re di Danimarca, comandò che tutte le contese si terminassero per mezzo degli abbattimenti, e si vietò che si definissero con giudizi legittimi. E, per non terminarle con giudizi legittimi, sono di duelli piene le leggi de’ longobardi, salii, inghilesi, borghignoni, normanni, danesi, alemanni. Per lo che Cuiacio ne’ Feudi dice: «Et hoc genere purgationis diu usi sunt christiani tam in civilibus quam in criminalibus caussis, re omni duello commissa». Di che è restato che in Lamagna professano scienza di duello coloro che si dicon «reistri», i quali obbligano quelli c’hanno da duellare a dire la veritá, perocché i duelli, ammessivi i testimoni, e perciò dovendovi intervenire i giudici, passerebbero in giudizi o criminali o civili.

962Non si è creduto della barbarie prima, perché non ce ne sono giunte memorie, ch’avesse praticato i duelli. Ma non sappiamo intendere come in questa parte sieno stati, nonché umani, sofferenti di torti i polifemi d’Omero, ne’ quali riconosce gli antichissimi padri delle famiglie, nello stato di natura, Platone. Certamente Aristotile ne ha detto nelle Degnitá che nell’antichissime repubbliche, nonché nello stato delle famiglie, che furon innanzi delle cittá, non avevano leggi da emendar i torti e punire l’offese, con le qual’i cittadini s’oltraggiassero privatamente tra loro (e noi l’abbiamo testé dimostro della romana antica); e perciò Aristotile pur ci disse, nelle Degnitá, che tal costume era de’ popoli barbari, perché, come ivi avvertimmo, i popoli per ciò ne’ lor incominciamenti son barbari, perché non son addimesticati ancor con le leggi.

963Ma di essi duelli vi hanno due grandi vestigi — uno nella greca storia, un altro nella romana — ch’i popoli dovettero incominciar le guerre (che si dissero dagli antichi latini «duella») dagli abbattimenti di essi particolari offesi, quantunque fussero re, ed essendo entrambi i popoli spettatori, che pubblicamente volevano difendere o vendicare l’offese. Come, certamente, cosí la guerra troiana incomincia dall’abbattimento di Menelao e di Paride (questi ch’aveva, quegli a cui era stata rapita la [p. 80 modifica] moglie Elena), il quale restando indeciso, seguitò poi a farsi tra greci e troiani la guerra; e noi sopra avvertimmo il costume istesso delle nazioni latine nella guerra de’ romani ed albani, che con l’abbattimento degli tre Orazi e degli tre Curiazi (uno de’ quali dovette rapire l’Orazia) si diffiní dello ’n tutto. In sí fatti giudizi armati estimarono la ragione dalla fortuna della vittoria: lo che fu consiglio della provvidenza divina, acciocché, tra genti barbare e di cortissimo raziocinio, che non intendevan ragione, da guerre non si seminassero guerre, e si avessero idea della giustizia o ingiustizia degli uomini dall’aver essi propizi o pur contrari gli dèi: siccome i gentili schernivano il santo Giobbe dalla regale sua fortuna caduto, perocch’egli avesse contrario Dio. E, ne’ tempi barbari ritornati, perciò alla parte vinta, quantunque giusta, si tagliava barbaramente la destra.

964Da sí fatto costume, privatamente da’ popoli celebrato, uscí fuori la giustizia esterna, ch’i morali teologi dicono, delle guerre, onde le nazioni riposassero sulla certezza de’ lor imperi. Cosí quelli auspici, che fondarono gl’imperi paterni monarchici a’ padri nello stato delle famiglie e apparecchiarono e conservarono loro i regni aristocratici nell’eroiche cittá e, comunicati loro, produssero le repubbliche libere alle plebi de’ popoli (come la storia romana apertamente lo ci racconta), finalmente legittimano le conquiste, con la fortuna dell’armi, a’ felici conquistatori. Lo che tutto non può provenire altronde che dal concetto innato della provvidenza c’hanno universalmente le nazioni, alla quale si debbono conformare, ove vedono affliggersi i giusti e prosperarsi gli scellerati, come nell’Idea dell’opera altra volta si è detto.