La putta onorata/Lettera dell'autore al Bettinelli
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Carlo Goldoni - La putta onorata (1748)
Lettera dell’autore al Bettinelli
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LETTERA
DELL’AUTORE
AL BETTINELLI.
Scrittagli l’anno 1751 da Turino, mandandogli
la presente Commedia1.
D
APPOICHÈ pare a voi che la Putta Onorata possa apportarvi qualche utilità coll’essere data al pubblico, io voglio compiacervi anche di questa, quantunque non abbia quella opinione di essa, che voi avete. Sia stata qual si voglia la sua riuscita sul Teatro, non potrà certamente ritrovare quel gradimento fra’ Leggitori fuori di Venezia, che ritrovò fra gli Spettatori sulle Scene Veneziane. Otto personaggi, che dentro vi favellano nel nativo linguaggio di quella Città, mi fanno dubitare che perdendosi nella non bene intesa lingua il sapore de’ sentimenti, rimanga scipita e forse rincrescevole. Nè mi sgomenterei gran fatto, se la favella in essa usata fosse stata tratta dal parlare degli uomini colti, perciocchè non si discosterebbe lungo tratto da quella, che per tutta l’Italia è intesa; ma avendo io in più luoghi imitato le azioni e i ragionamenti della minuta gente, mi convenne attenermi a que’ modi di dire, che più a tal qualità di persone si confanno. È a ciascheduno palese, quanto sia diverso in ogni Città il ragionare degli uomini qualificati, da quello delle genti d’altra condizione e che queste ultime sì dagli altri lo hanno diverso, che quasi nati sembrano in altro Paese; perciocchè oltre alla differenza di molti vocaboli e della pronuncia ancora, hanno altresì certe forme particolari o di sentenze, o di proverbi, o di diciture in gergo, che piacevolissime sono a chi le intende, ma riescono a chi non è più che pratico oscurissime. Fra tutti quelli che hanno grandissima copia di sì fatte forme di favellare, sono i Gondolieri di Venezia, i quali furono da me nella presente Commedia imitati, con attenzione2. Questa stessa esattezza, che fece così grata la mia fatica in una Città, dove tali cose sono sotto gli occhi ogni dì, e tali vocaboli si odono sempre; temo che la renderà forse noiosa a quelli che, nati lontani da essa, non intendono la proprietà de’ vocaboli Veneziani. E più mi conferma l’osservazione che ho fatta nel vederla a recitare; poichè in Venezia dovete ricordarvi quante e quante sere fu replicata la prima volta, e come in calca venivano le persone per aver luogo nel Teatro ad udirla, e nell’anno susseguente ancora non ebbe peggior fortuna; nè minor piacere diede agli ascoltanti di Verona, come quelli a’ quali quel ragionare non è affatto nuovo; ma allontanata di là, non ebbe la stessa riuscita; appunto perchè, rimanendo oscura per metà, non poteva più essere gradita interamente. Quello ch’io vidi quando fu rappresentata, dubito che accada quando sarà venuta alla luce, e tanto più perchè nel leggere il movimento dell’azione è perduto; che pur tal volta dà tanto spirito anche alle cose non affatto evidenti, che le fa comprendere agli ascoltanti. Raccomando almeno che i più oscuri modi di favellare sieno con alcune postille dichiarati, e quanto si può venga aperto il senso di quelli, acciocchè il non intenderli non disgusti altrui dal leggere. In questa forma facendo, son certo che, se non darà tutto quel diletto a’ Forestieri che può dare a’ Leggitori Veneziani, si renderà almeno men faticosa, e perciò più facilmente si potrà ritrovare chi la legga senza rincrescimento. Non dubito che adoprerete in ciò tutta la diligenza, e promettendovi pel venturo ordinario la Buona Moglie, che a questa, quasi secondogenita vien dietro, col cuore vi abbraccio.
- ↑ Così nell’ed. Paperini di Firenze, t. IX (1755).
- ↑ Nella lettera al Bettinelli (t. II, ed. Bettin. di Ven., 1751) l’autore aggiunge: «i quali furono da me nella presente Comm. imitati con tanta attenzione, che più volte mi posi ad ascoltargli quando quistionavano, sollazzavansi, o altre funzioni facevano, per potergli ricopiare nella mia Commedia naturalmente».